C’è ormai un sostanziale accordo nella comunità scientifica nell’identificare Vieste con l’antica Uria del Gargano. Scoperte effettuate nel corso del tempo, la raccolta di materiali e di documenti, alcuni convegni tenuti negli anni Ottanta e più recenti Indagini archeologiche hanno significativamente accresciuto le conoscenze su questa importante realtà garganica, posta strategicamente in un tratto fondamentale della navigazione adriatica di ogni epoca.
L’accesso all’area portuale di Vieste è inarcato dall’isolotto detto di Sant’Eufemia (o di Sant’Eugenia), posto di fronte alla città, caratterizzato dalla presenza dell’imponente Faro, costruito intorno alla metà del XIX secolo, e da grotte in cui si conservano iscrizioni e simboli incisi sulle pareti rocciose da naviganti che hanno voluto lasciare traccia del loro passaggio, a partire almeno dal ll-l sec. a.C. .Sebbene le grotte fossero note già dal XVII secolo, spetta ad Angelo Russi il merito di avere per primo richiamato l’attenzione in particolare sulla grotta cd. di Venere Sosandra. Russi diede vita a un gruppo di lavoro per una indagine storico-archeologica sistematica, che, però, non andò al di là dell’edizione preliminare di alcune iscrizioni. Il complesso, pertanto, è rimasto sostanzialmente inedito, mentre nel corso degli ultimi decenni ha subito un grave incremento lo stato di degrado, come emerge dal confronto tra fotografie risalenti agli anni Ottanta e foto recenti.
In questo scarno panorama di conoscenze si inquadra dunque l’interesse a indagare questo contesto di straordinaria importanza per ricostruire la ‘geografia sacra’ di un tratto strategico del mare Adriatico, con il progetto IL MARE E IL SACRO. Approdi degli uomini e degli dei, nell’ambito di una più ampia ricerca sull’archeologia dei paesaggi adriatici costieri e subacquei, condotta sia sul versante apulo che sull’opposta sponda adriatica. La prima tappa del progetto viestano si è svolta nel novembre 2019 e ha previsto una breve campagna di documentazione e rilievi delle due grotte conservate, che offrono un interessante spaccato sulla Vita religiosa di marinai e di viaggiatori impegnati nella navigazione di questo settore del basso Adriatico che si connota per la presenza di numerosi ‘santuari’ costieri marittimi.
Le ricerche
Nell’ambito delle indagini preliminari, per acquisire dati più puntuali sui contesti ipogeici, è stato realizzato un rilievo fotogrammetrico dell’intero fronte roccioso, posto immediatamente a Sud del faro, in cui sono presenti le due grotte. È stata inoltre effettuata un’indagine speleologica all’interno di un pozzo, che ha permesso di confermare la presenza di una sorgente d’acqua dolce, suggerendo che l’isolotto fosse un punto utile per il rifornimento di acqua dolce. È stata condotta infine anche una ricognizione della fascia costiera dell’isola, limitatamente al versante prospiciente Vieste, che ha portato all’individuazione, lungo il profilo della costa, di una cava di macine, verosimilmente riutilizzate come bitte nel corso dei secoli, per le soste temporanee delle imbarcazioni. Non è invece stato possibile indagare la fascia costiera rivolta verso il mare aperto, né effettuare ricognizioni subacquee a causa delle avverse condizioni meteomarine.
Le due grotte indagate costituiscono le parti meglio conservate del più ampio sistema rupestre in cui si articolava il complesso: ne rimangono segni ben leggibili su tutto il fronte roccioso, la cui superficie, pur fortemente erosa, presenta ancora tracce dello scavo di numerosi archi, nicchie e altre cavità. In modo analogo, anche le pareti interne dei due ipogei risultano ampiamente lavorate sia nelle volte che nelle pareti. Lo stesso piano di campagna su cui si affacciano le grotte, che oggi si presenta come uno spiazzo aperto disseminato di frammenti di roccia, potrebbe essere il residuo di un sistema di cavità, con ingresso ipotizzabile più a Sud-Ovest. Il livello pavimentale di questi ambienti era infatti sicuramente più in basso, come testimoniano sia alcune nicchie nel fronte roccioso, di cui solo la parte superiore affiora dal piano di campagna, sia la quota molto ribassata della volta della grotta più piccola, oggi difficilmente accessibile. L’ipogeo minore è un vano di ridotte dimensioni, dotato internamente di un arcosolio sul lato corto nordoccidentale, e di alcune piccole nicchie sulla parete orientale. Chiusa a Sud-Ovest da una raffazzonata muratura a secco, è stata trasformata in tempi recenti dai fanalisti in stalla e ricovero per animali di piccola taglia.
La grotta principale è un ampio ambiente di circa 45 mq, dalla forma molto irregolare, pavimentato con lastre di terracotta, poste circa 80 cm più in basso rispetto al piano di campagna. Il pavimento, di epoca recente, non corrisponde ai livelli più antichi della grotta: molte delle iscrizioni e incisioni presenti sulla parte più bassa delle pareti sembrano infatti continuare al di sotto del piano stesso. Moderna è anche la parete in muratura che delimita la cavità a Sud-Ovest e interrompe la continuità del profilo della grotta, appoggiandosi alla parete rocciosa e coprendo, sul lato settentrionale, una nicchia. Anche in questo caso, è facile immaginare che questa cavità sia in realtà solo la parte terminale di una grotta più ampia, di cui non è conservata la parte frontale.
Il rilievo fotogrammetrico mette bene in evidenza l’articolazione della grotta in due parti morfologicamente diverse. Quella più vicina all’ingresso, di forma quadrangolare, presenta due ampie nicchie sui lati corti: a destra dell’ingresso una nicchia absidata, a sinistra una nicchia a pianta circolare, rastremata verso l’alto in forma vagamente troncoconica.
A marcare la cesura con la parte posteriore della cavità è un massiccio architrave modanato, con al centro una piccola nicchia trapezoidale di cui si conserva solo la parte superiore. Il crollo della parte inferiore dell’architrave rende difficile immaginare la presenza di pilastri di sostegno alla volta, la cui esistenza sembra però suggerita dalle tracce delle ipotetiche parti sommitali di due aperture arcuate. È in questa parte della grotta e nell’architrave che si conservano le iscrizioni più antiche del complesso, mentre la nicchia di destra presenta numerosi graffiti di epoca medievale, nonché l’iscrizione del doge Pietro II Orseolo.
La forma della parte posteriore della grotta è molto più irregolare, caratterizzata da, due ampie nicchie absidate sul fondo. Sulle pareti di questa parte posteriore si concentra il maggior numero di iscrizioni, in gran parte incorniciate in tabelle e di epoca più recente rispetto alla parte anteriore.
L’intero vano è stato a lungo utilizzato fino a tempi recenti con finalità diverse. Numerose tracce di incassi sulle pareti e nel pavimento mostrano un uso come magazzino e abitazione durato fino a tempi recenti. Se molti di questi segni non hanno comportato danni importanti alle pareti e alle iscrizioni, è proprio la nicchia a sinistra dell’ingresso a risultare fortemente rimaneggiata da interventi moderni connessi all’installazione di una cucina o di una stufa. Anche in questo caso, risulta molto difficile stabilire una cronologia delle diverse parti e delle modifiche intercorse nel corso del tempo. Ma sicuramente un’indagine stratigrafica e la auspicabile intercettazione dei livelli pavimentali potrebbe contribuire alla comprensione di quello che oggi appare come un intricato palinsesto.
Le iscrizioni e il culto di Venere Sosandra
Le pareti rocciose di entrambe le grotte conservano un ampio repertorio epigrafico. Sono state rilevate, sulla base di una preliminare ricognizione, circa 250 iscrizioni, molte delle quali illeggibili, e segni di vario tipo, databili tra età romana ed età contemporanea. Nello specifico, il nostro censimento ha portato a individuare circa 120 iscrizioni con testi di varia epoca, 83 croci e altri simboli (palmette, ecc.), 1 iscrizione greca, riferibile a un certo Gaios Gellios, 6 latine di età tardo repubblicana-imperiale (di cui 5 con dedica a Venere Sosandra), 32 latine databili tra Tarda Antichità e Medioevo, 1 di età moderna, 51 databili tra Ottocento e Novecento (l’iscrizione più tarda si data al 1926).
Tra le dediche più antiche rivestono particolare interesse quelle rivolte a Venere Sosandra, una divinità legata alla sfera del mare e soprattutto al viaggio marino, che lasciano supporre la presenza di un luogo sacro adibito al culto della divinità, a cui potrebbe forse alludere Catullo quando, nel Carme 36, tra le località collegate alla venerazione della dea, menziona Uria, se è valida, come crediamo, l’ipotesi dell’identificazione di Vieste con l’antica Uria ( Nunc o caeruleo creata ponto, quae unctum Idalium Uriosque apertos quaeque Ancona Cnidumque harundinosam….). A tale proposito può essere utile il ricordare che a Vieste fu rinvenuta nel 1930, all’estremità della penisola di Santa Croce, di fronte all’isolotto di Sant’Eufemia, una statuetta di Venere panneggiata purtroppo andata smarrita e ormai documentata solo dalle preziose foto allegate dal Petrone a una lettera con la quale segnalava la scoperta al soprintendente A. Quagliati.
Com’è noto i santuari di Afrodite-Venere, celebre divinità euploia, protettrice dei naviganti, punteggiavano i litorali mediterranei, in particolare in corrispondenza di punti strategici lungo le rotte di cabotaggio, luoghi di approdo, foci fluviali, promontori. Si pensi, ad esempio, al santuario di Afrodite Ericina in Sicilia, a quello extramuraneo di S. Venera a Paestum, a quello di San Giovanni in Venere alle foci del Sangro sulla costa adriatica, o infine a Populonia, dove il culto di Venere è ben attestato, come confermano un bollo laterizio e anche un famoso mosaico policromo, databile agli inizi del I sec. a.C., con raffigurazioni marine, che ornava un ambiente absidato. Il mosaico contiene un’immagine doppia, leggibile a seconda del punto di osservazione come un pesce e una conchiglia oppure come una nave durante un naufragio con tre marinai che si rivolgono, al cielo verso una colomba, simbolo di Afrodite, su cui ha richiamato l’attenzione Daniele Manacorda. È nota anche l’associazione tra tali santuari e la pratica della prostituzione sacra: ancora una volta Populonia restituisce una possibile traccia relativa a una ierodula (cioè una schiava sacra), Filica, il cui nome parlante (‘amorevole’, ‘dilettevole’, ‘amabile ben disposta’) è graffito su una coppa a vernice nera. Nel caso dell’isolotto viestano, è probabile che il culto fosse limitato al santuario rupestre, senza alcuna costruzione più strutturata, com’è tipico di questi ‘santuari’ che talvolta sono a cielo aperto, senza particolari dispositivi, ad eccezione di un altare. L’aspetto architettonico e monumentale, infatti, non costituiva un elemento rilevante per queste tipologie di luoghi di culto che, in particolare nell’Adriatico, si connotano per la loro integrazione nel paesaggio naturale. Fattori prioritari, alla base della dislocazione e della fama di tali santuari costieri, erano la loro posizione geografica, la visibilità marittima, il ruolo di marcatore topografico e la funzione di approdo per la navigazione. Non si può però escludere che un ipotetico tempio di Venere fosse collocato sulla punta più alta e sporgente sul mare della città, nell’area del castello, anche se l’ipotesi andrebbe verificata con specifiche ricerche.
Non sappiamo quando sia cessato il culto di Venere Sosandra. Verosimilmente l’ipogeo divenne luogo di culto cristiano in età tardoantica, rivestendo un ruolo di rilievo anche nei secoli successivi. Un’iscrizione, datata al 3 settembre 1002, ricorda il passaggio del doge Pietro II Orseolo durante la spedizione, con 100 navi da guerra, in soccorso di Bari assediata dai Saraceni. Numerosi sono poi i graffiti tracciati da presbiteri, accompagnati da croci o da altri simboli.
Le testimonianze più recenti sulle pareti rocciose delle grotte viestane sono quelle lasciate dai fanalisti, a cui è da collegare, come si è detto, un riuso degli ambienti come stalle/deposito.
Un santuario costiero marittimo
L’isolotto di Sant’Eufemia si configura, dunque, come un caso emblematico di punto cospicuo per la navigazione e di approdo connesso a un luogo di culto, come altri contesti costieri attestati nel canale d’Otranto e, più in generale, in ambito adriatico. Il paesaggio costiero del basso Adriatico, in particolare, è infatti segnato dalla presenza di piccole baie, promontori, falesie e isolotti, luoghi cruciali della navigazione, connotati anche come luoghi di culto. Si tratta talvolta di veri e propri ‘santuari costieri marittimi’, che non rappresentavano solo meri riferimenti geografici o rifugi di emergenza, ma simboleggiavano l’interazione tra esigenze legate al viaggio in mare, credenze religiose, superstizione, devozione e, in alcuni casi, pratiche economiche.
Nello spazio marittimo del basso Adriatico la dimensione religiosa e devozionale connessa alla navigazione e, in alcuni casi alla sfera economica, hanno assunto forme peculiari che definiscono una ‘geografia sacra’ e un paesaggio del sacro del tutto originali. Casi emblematici sono, lungo la costa salentina, il promontorio di Roca con il santuario di Grotta Poesia, e Punta Matarico con la grotta di San Cristoforo, gravitanti sull’insenatura di Torre dell’Orso; o ancora, Punta Ristola, con Grotta Porcinara, in connessione con l’approdo di Leuca. Anche la baia di Grammata, con il suo santuario a cielo aperto, lungo la penisola del Karaburun, sul versante albanese, rientra in questa casistica, trattandosi di un luogo isolato localizzato in corrispondenza di un passaggio ‘strategico’ per la navigazione, lo stretto d’Otranto, connotato nell’Antichità anche da una sinistra fama di pericolosità. Estremamente significativa è peraltro anche la corrispondenza toponomastica tra i siti delle opposte sponde. Un sito di Grammata è attestato anche nell’isola di Syros, nelle Cicladi, dove sono documentate iscrizioni datate prevalentemente tra V e VII sec. d.C.
Molti di questi ‘santuari’ appartengono ai cosiddetti santuari d’«euploia», identificabili con luoghi frequentati da naviganti che hanno lasciato tracce della loro devozione, delle loro credenze e delle loro speranze di fronte ai pericoli del mare attraverso iscrizioni, incise direttamente sulle rocce, che esprimono o voti prima della partenza, o ringraziamenti dopo la traversata, o attraverso altre manifestazioni. l’isolotto di Sant’Eufemia, dunque, quando appariva all’orizzonte, non doveva rappresentare solo un approdo temporaneo, un punto di ancoraggio dove effettuare una sosta in attesa del miglioramento delle condizioni meteomarine ed effettuare il rifornimento dell’acqua. Questo scoglio si configura sia come scalo della rotta di cabotaggio e degli itinerari di più lunga percorrenza che si snodavano in questo tratto della costa adriatica, sia come punto di orientamento nautico e nello stesso tempo come luogo di devozione, destinatario delle preghiere dei naviganti a cui doveva essere evidentemente ben noto.
Le prospettive future
Saranno le indagini future a chiarire i numerosi aspetti rimasti irrisolti. Il progetto
mira a effettuare uno studio completo delle grotte, con una parallela analisi del contesto archeologico, anche attraverso l’apertura di saggi di scavo all’interno e all’esterno degli ipogei. Ci si propone di realizzare una mappatura completa dei tagli, dei segni di cava e delle altre tracce leggibili sulle superfici calcaree, indicative di attività estrattive di cui ci si propone di ricostruire cronologia, caratteri e contesti di lavorazione. Verranno effettuate ricerche subacquee nei fondali circostanti per poter disporre di un quadro più completo del contesto e per verificare l’eventuale presenza di indicatori archeologici sommersi, da mettere in relazione alla frequentazione dell’isolotto.
Si conta inoltre di estendere le indagini anche ad altri contesti rupestri costieri, primo fra tutti la Grotta dell’Acqua, in contrada Sfinale, a pochi chilometri da Peschici, ugualmente interessata dalla presenza di iscrizioni sulle pareti rocciose. Il contesto rupestre, caratterizzato da un ampio accesso che si restringe in un corridoio stretto e lungo, parzialmente allagato, è stato solo parzialmente esplorato. La grotta, dotata di un originario accesso diretto lungo la costa, si connota per la presenza di graffiti di età preistorica e di iscrizioni di epoca romana. Il patrimonio epigrafico è poco noto, a causa delle difficoltà di accesso e del cattivo stato di conservazione, ad eccezione di alcune epigrafi databili tra I sec. a.C. e I sec. d.C. Non si può escludere una specifica valenza cultuale per le acque della sorgente presente nella grotta, connessa alla sacralità insita in questi luoghi, come documentato in altri contesti in grotta, in cui talvolta la valenza ‘terapeutica’ era collegata alle probabili proprietà termali delle risorgive.
Accanto alle indagini archeologiche future, si auspica un intervento di consolidamento e di restauro, potrebbero contribuire anche a limitare il degrado dell’area. I rilievi potrebbero garantire l’accessibilità alla grotta, non direttamente fruibile da tutti, attraverso una visita virtuale e immersiva in una postazione presso il Museo Archeologico di Vieste.
Giuliano De Felice, Danilo Leone, Maria Turchiano, Giuliano Volpe
VIESTE IL FARO DI SANTA EUFEMIA