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Monte Sant’Angelo sulle tracce longobarde per un posto all’Unesco

La città garganica come altre candidata a diventare patrimonio dell'umanità. Decisive le testimonianze e i legami attraverso i grandi monasteri. Dal montuoso ducato del Sannio alle piane del promontorio.Seguendo le tracce dei Longobardi, si giunge ai nostri giorni puntando un tragurdo importante: la candidatura all'Unesco di Monte Sant' An­gelo, quale cittadina patrimonio culturale dell'Umanità. Un tra­guardo ambizioso, come ambizio­so fu il progetto dei Longobardi non più considerati dei barbari distruttori ma un popolo colto, raffinato e con un progetto di unificazione del territorio italia­no che incontrò tenaci resistenze e non ebbe esito positivo, si arriva, dopo un percorso non certo breve, alla fioritura artistica di quel trentennio i cui fermenti inno­vativi si prolungheranno nella Langobardia Minor fino ai primi decenni del IX secolo. Si tratta di uno sviluppo culturale che, pur muovendo dall'ambiente delle corti urbane, si diffonde nel ter­ritorio grazie alla fondazione di grandi monasteri (Leno, Nonau­tola, Sesto al Reghena, S.Salvatore sul monte Amiata) e al rilancio di cenobi già esistenti (Montecassi­no> Farfa, S.Vincenzo al Volturno, Bobbio). I fondatori o rifondatori appartengono all'alta aristocra­zia, animata da sincera fede re­ligiosa e dal desiderio di porre il patrimonio familiare al riparo dall'instabilità politica del tempo. Secondo una leggenda il mona­stero fu fondato dai Longobardi nell'anno del Signore 567, un anno prima del loro ingresso in Italia, avvenuto secondo i testi di storia nel 568. L'edizione più aggiornata della leggenda narra come i Lon­gobardi, avendo già fondato da qualche anno il monastero di S. Giovanni in Lamis, nel 567 lo affidarono ai Benedettini i quali gli diedero la bella storica. E come già fecero all'epoca della loro com­parsa quando furono i maggiori protagonisti della definitiva dif­fusione su scala europea del culto micaelico, anche oggi, con la can­didatura Unesco, i Longobardi tornano sulla scena e, ancora una volta, si propongono al ruolo di protagonisti che porterà nuovo interesse, in tutto il mondo, sul Santuario dell'Arcangelo Michele a monte Sant'Angelo. E adesso questa parte di <Italia Longobar­da>, si appresta a candidarsi con Cividale del Friuli, Brescia, Spo­leto, Castelserpio e Benevento quale città patrimonio culturale dell'Umanità. Tra il VI e la metà del VII secolo la fama del Santuario dell'Arcan­gelo Michele sul Gargano comin­ciò a diffondersi e ad attirare pel­legrini provenienti anche dall' Oriente. Tutto questo mentre sul­la scena sociale e politica dell'Ita­lia meridionale fecero la loro com­parsa i Longobardi che, guidati dal duca, Zottone, nel 572 fonda­rono il Ducato di Benevento. Il montuoso Sannio, però, non riusciva a garantire le necessità vitali di questo popolo che ben presto cercò, a più riprese, sboc­chi sul Tirreno e sull'Adriatico, puntando al possesso delle fertili pianure campane e pugliesi. Le loro sortite espansionistiche si spinsero più volte sino a Siponto, allora sotto il dominio bizantino, nella cui diocesi insisteva il santuario micaelico. I Lon­gobardi furono subito attratti da San Michele, nel quale trovavano attributi e caratteristiche del pa­gano Wodan, considerato dai po­poli germanici dio supremo, dio della guerra, protettore di eroi e guerrieri. Quello dell'Arcangelo era un culto congeniale, dunque, alla fantasia dei Longobardi. L'occasione propizia ai Longo­bardi per estendere la propria in­fluenza sul Gargano giunse nel 642 quando Aione, duca di Be­nevento, saputo degli Slavi sbar­cati sulla costa adriatica ed ac­campatisi non lontano da Siponto, mosse contro di essi ma, attirato in una trappola, fu ucciso. Ap­preso dell'accaduto Radoaldo, che poi reggerà il ducato di Bene­vento, accorse sul Gargano in fa­vore dei Sipontini ed inflisse agli Slavi una grave disfatta costrin­gendoli alla fuga. L'episodio con­tribuì in modo decisivo all'au­mento dell'influenza in area gar­ganica dei Longobardi di Bene­vento, che miravano decisamente alla totale conquista della Puglia settentrionale. Il quadro di insta­bilità dell'area preoccupò i Bi­zantini i quali, nel tentativo di ristabilire in modo definitivo la loro supremazia sul territorio e ricacciare i Longobardi nei con­fini del Ducato di Benevento, nel 650 attaccarono il santuario. Il longobardo Grimoaldo I, duca di Benevento, accorso prontamente sul Gargano inflisse ai bizantini una grave sconfitta. Questo scontro tra Bizantini, da una parte, e Longobardi e Sipon­tini dall'altra, costituisce uno de­gli episodi di riferimento, adat­tato alla tradizione, del libretto anonimo più antico che narra del­le Apparizioni dell'Arcangelo Mi­chele. Secondo questo racconto, i Napoletani (= Bizantini) mossero guerra a Beneventani (= Longo­bardi) e Sipontini, i quali, su in­vito del loro vescovo, indissero un digiuno di tre giorni per implo­rare la protezione dell'Arcangelo. La notte precedente la battaglia, san Michele apparve al vescovo dicendogli che le preghiere erano state esaudite e promettendogli la vittoria, puntualmente consegui­ta. Tale episodio influì profonda­mente sulla storia dei Longobar­di. Il culto micaelico cambiò la religiosità di questo popolo e lo condusse al cattolicesimo. Ciò fu alla base della nuova caratteriz­zazione e della maggiore diffu­sione del culto stesso in Occi­dente. Il IX secolo, accanto alla data tradizionale del 29 settembre, vide la comparsa dell'8 maggio come dies festus della dedicazione della chiesa micaelica sul Gar­gano. È su questo dato che la storiografia longobarda entrò con forza facendo risalire proprio a quel giorno l'apparizione di Mi­chele e la vittoria di Grimoaldo sui Bizantini, contribuendo a creare una tradizione che si è perpetuata ininterrottamente nei secoli.