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Storia/ VIESTE E I TEMPLARI

E’ nota l’importanza assunta da Vieste fin dal periodo paleolitico per la sua posizione sul mare e per il suo porto rifugio tanto che dai vari regnanti dell’Italia Meridionale fu sempre tenuta nella massima
considerazione. Aveva un suo Castello nella parte più elevata della città, classificato
"fortezza di prima classe, che dominava sull’immensità del mare e che
svolgeva nel corso dei secoli una molteplice funzione, da quelle della
difesa a quelle politiche e a quelle sociali ed anche come Semaforo, per
indicare la rotta alle navi di passaggio e annotare ai pescatori del luogo
le condizioni del mare e del tempo.
Inoltre aveva  il privilegio di essere sede del baglivo e del protontino. Il
primo era il giudice delle cause civili, fiscali e anche criminali, ad
esclusione di quelle che prevedevano la mutilazione del corpo o la pena di
morte. Aveva, inoltre, il compito di riscuotere le tasse della popolazione
sia di Vieste che dei paesi viciniori, di infliggere ammende ai proprietari
di greggi e di armenti che arrecavano danni nei territori altrui e punire
coloro che defraudavano l’assisa, i pesi e le misure. Il protontino, invece,
era il console del mare, il giudice, cioè, che attendeva esclusivamente alle
liti inerenti il diritto marittimo, sia in tempo di guerra che di pace,
stabilito negli Statuti di Trani sulla navigazione, promulgati nel 1063 , e
la giurisdizione si estendeva da Siponto fino a Termoli. Questo perché la
posizione di Vieste molto avanzata nel mare, era ritenuta da sempre un
importante crocevia della navigazione e uno dei maggiori capisaldi di
strategia e di difesa del Gargano.
E forse per queste motivazioni subì spesso le razzie dei pirati e dei
saraceni e le incursioni dei nemici durante i periodi bellici. Qui, inoltre,
vennero stipulati accordi politici e alleanze fra regnanti, vi soggiornarono
papi e re  e, senz’altro, fu sede dei Templari.
Di questi ultimi mai nessuno fino a questo momento ne aveva parlato o
scritto, anche se io, da qualche tempo in qua, ne avevo ipotizzato una loro
presenza senza avere la certezza di una testimonianza. Mi occorreva
assolutamente una prova, e questa, incredibile ma vera era sotto gli occhi
di tutti e nessuno se n’era mai accorto!:
Si tratta della Triplice Cinta, incisa sulla parete esterna della
Cattedrale, attigua all’ingresso della porta laterale, coperta per un terzo
dal muro parietale della cappella del SS. Rosario e che i Templari se ne
servivano per contrassegnare i luoghi di particolare sacralità tellurica.
Veniva incisa su pareti o, sui muretti, in verticale e in orizzontale o sul
frontale dei gradini delle chiese medievali fino al XIII-XIV secolo. Da una
ricerca effettuata su Internet scopro che essa è presente in molte altre
Cattedrali d’Europa, e in tante località della Puglia . Sul Gargano se ne
trovano nella chiesa di S. Maria di Devia (o d’Elio) nel territorio di S.
Nicandro, a Monte S, Angelo su alcune pietre tombali, sulle mura medievali
di Castel Pagano, sito sul crinale del monte poco distante da Apricena. A
Peschici, presso il monastero di S. Maria di Calena, finora se ne sono
segnalate tre e questo spinge a pensare che vi fu un reiterato passaggio dei
Cavalieri di Cristo.
Oltre alla Triplice Cinta altri simboli caratteristici si rinvengono in
altre sei chiese della Capitanata, da Lucera a Monte S. Angelo, lasciate
molto probabilmente a testimonianza di un "percorso templare" diretto verso
il punto d’imbarco per le Crociate (Siponto e Vieste).
A che epoca risale questo tipico segno dei Templari a Vieste? Senz’altro
subito dopo il terremoto del 1223 che distrusse Siponto o, con maggior
sicurezza, dopo quello del 1227, che arrecò gravissimi danni a Vieste. E non
fu l’unico, perché fu ancora funestata con i sismi del 1361 e del 1414, i
cui epicentri erano poco distanti, tanto che si dovette ricorrere a
consolidare la facciata centrale della Cattedrale e, più di tutto, la parete
rivolta a settentrione, terribilmente minata. Si costruirono, infatti, all’
esterno dei possenti supporti, in cui vennero ubicate le tre cappelle della
navata sinistra, quella del Battistero, di S. Giorgio e del SS. Rosario.
Proprio con la costruzione del muro parietale di quest’ultima, la Triplice
Cinta venne coperta solo per un terzo, incisa a circa una trentina di
centimetri al disotto del leone stiloforo inglobato interamente nel muro.
Questo leone è simmetrico a quello di destra ed è  posto anch’esso alla base
dell’estradosso dell’archivolto della porta laterale.
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La Triplice Cinta non è l’unica a testimoniare a Vieste la presenza dei
Cavalieri del Tempio, perché altri emblemi (come minimo dieci), scolpiti,
però, in bassorilievo sui due lati attigui sopra lastre di pietre, spesse
una ventina di centimetri, sono poste a spigolo al terzo piano di un’
abitazione in via Diaz. Sulla prima delle lastre , rivolte verso il
terrazzino posto sull’arco di vico Cirillo, è riportata la caratteristica
croce patente ad otto punte e, fra due segni simmetrici, una stella; sulla
seconda riporta l’immagine di due tozze colonne che sostengono la facciata
di una chiesa con scritta illeggibile; sulla terza due figure separate da
una sottile losanga che potrebbero rappresentare due personaggi; sulla
quarta vi è un cerchio con raggi e una losanga delimitata in un rettangolo
nei cui spigoli vi sono piccoli quadratini; nella quinta emergono due figure
romboidali. Le immagini rivolte, invece, verso la strada sono poco
intelligibili e il teleobiettivo della macchina fotografica, per la
ristrettezza della strada, non riesce ad evidenziarle con chiarezza.
Bisognerà attendere i proprietari dell’abitazione frontale, assenti da
Vieste, per fotografarle dal loro terrazzo.
Indubbiamente sono simboli misteriosi che soltanto un esperto potrà svelarne
il significato. E’ notorio che i Templari erano maestri di crittografia ed
utilizzavano per il loro linguaggio segreto fatti di segni particolari,
conosciuti solo dai loro adepti.
In origine queste immagini non dovevano essere murate a tanta altezza, ma su
uno spigolo forse dello stesso palazzo o in altro luogo ad altezza molto più
bassa. Indubbiamente con la sopraelevazione, avvenuta senz’altro dopo il
terribile terremoto del 1646, sono state recuperate e collocate, dove
nessuno poteva toccarle.
Altra testimonianza potrebbe trovarsi sul coperchio di sarcofago, rinvenuto
durante gli ultimi lavori di restauro della Cattedrale, ora esposto nella
cappella di S. Anna, insieme ad altri cimeli. Si tratta di una croce patente
in bassorilievo, racchiusa in un cerchio, anche questo è un simbolo templare
molto diffuso. Alcuni, però, considerano questa pietra tombale del periodo
longobardo.
Potrebbero essere di fattura templare anche le due croci incise sugli
stipiti  dell’ingresso centrale della Cattedrale se si riferiscono a quelle
della  sua consacrazione avvenuta nel 1242.
Come mai i Templari a Vieste e sul Gargano?
Indubbiamente per l’importanza già accennata di questa nostra città e per la
sua posizione strategica sul mare. A queste bisogna aggiungere che era anche
allettante la feracità del territorio della Capitanata e la notorietà
europea del promontorio garganico per il Santuario di S. Michele, che senz’
altro stimolava, come sostiene anche lo studioso Salvatore Antonio Grifa,
gli appetiti e gli interessi di questi gloriosi cavalieri, sempre alla
ricerca di importanti e sicure basi logistiche e di centri di assistenza e
di protezione per i pellegrini di passaggio per il territorio garganico e
per quelli che con navigli erano diretti verso la Palestina .
E’ risaputo che i Cavalieri del Tempio erano presenti in tutte le regioni d’
Italia in ossequio alla loro regola di difendere i pellegrini in viaggio
verso i santuari, quasi sempre derubati e malmenati dai ladroni della strada
e, inoltre, di sorvegliare i traffici delle merci che dall’Italia in
direzione verso l’oriente e spesso depredati dai pirati del mare e dai
musulmani. Più di tutto avevano le loro postazioni fatte normalmente di
castelli agli imbocchi delle vallate e lungo le coste per meglio sorvegliare
il movimento dei viandanti e il tragitto delle navi e intervenire con azioni
improvvise in loro soccorso.
Sul Gargano i posti più rilevanti erano quello di Castel Pagano e quello di
Vieste. Il primo in territorio di Apricena, sul crinale del versante nord,
quasi all’imbocco della valle di Stignano, con un’ampia visuale sulla parte
piana del Tavoliere verso la grande vallata che conduce a S. Marco in Lamis,
a S. Giovanni Rotondo e a Monte S. Angelo. I templari, senz’altro, tenevano
sottocchio i pellegrini durante il loro tragitto fino all’hospital (ora noto
come il Santuario di S. Maria di Stignano), fondato dalla regina Ansa dei
Longobardi, dove avevano la possibilità di trovare ricetto e sicurezza nei
momenti di stanchezza e durante la notte. Altri luoghi di ospitalità erano
senz’altro il monastero di S. Matteo, fuori l’abitato di S. Marco, il
monastero di S. Croce all’imbocco di S. Giovanni rotondo e sul sagrato del
piccolo convento di S. Egidio prima di raggiungere la tanta agognata meta
del Santuario Micaelico.
Il porto di Vieste prestava lo stesso servizio di sicurezza sul mare per i
pellegrini e i crociati di passaggio provenienti dall’altra sponda dell’
Adriatico, diretti al Santuario di S. Michele, e anche alle navi in rotta
verso la Palestina.

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La Puglia fu una delle prime regioni d’Italia ad accogliere i Templari e le
notizie più antiche si rinvengono nella città di Trani risalenti al 1143.
Successivamente, a pochi anni di distanza l’una dall’altra, a Molfetta, a
Barletta e a Bari e man mano si estesero verso Foggia e Siponto, come è
attestato dalle considerevoli acquisizioni di possedimenti terrieri, di
casali, saline, chiese, vigne ed orti.
Nei primi decenni del XIII secolo la loro presenza è testimoniata anche nel
Sub Appennino, nel Tavoliere e sul Gargano e, per la fama di essere tutori e
difensori della fede cristiana, ebbero dalle popolazioni ingenti donazioni.
Fra l’altro a Foggia, oltre la chiesa di S. Giovanni Battista, possedevano
un ampio territorio dove ebbero a costruire un sobborgo. Vi possedevano
anche 5 Domus, 12 casalini, 8 vigne e una decina di appezzamenti di terreno
da coltivare.
Altri possedimenti sono annotati a Montecorvino con 4 appezzamenti di
terreno e una vigna; ad Alberone con 8 appezzamenti di terreno e 1 vigna; a
Siponto con 16 Domus, 3 casali, 3 saline, 2 orti, 1 vigneto e 1 pezza di
terra; a S. Quirico con 2 Domus, 1 vigna, 2 oliveti, e 2 pezze di terreno; a
Monte S. Angelo con 3 domus, 2 vigne e a Mattinata con altre 2 vigne. A
queste bisogna aggiungere le tantissime altre proprietà sparse nei territori
di Fiorentino, di Rignano, di Apricena, di S. Marco in Lamis. ecc.
Queste proprietà, dopo la soppressione dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio,
in gran parte, furono assegnate ad altri Ordini similari e altre, invece,
furono incorporati fra i beni della Chiesa e nelle proprietà di Federico II.
A Vieste non si sa cosa possedevano, poiché notizie precise, fino a questo
momento, non se ne hanno: si può solo supporre che siano state avocate ai
beni svevi. Infatti si potrebbero così spiegare i possedimenti di Federico
II elencati nel Quaternus excadenciarum, quali: la chiesa di S. Giacomo con
tre orti, vigne a Focareto, a Precomagno e a S. Caterina; appezzamenti di
terreni a Pietra de Mando, a Lago de Vita e al vallone del Ventre; uliveti a
S. Marco, a Pozzobuono, a Romattino e una casa presso l’Episcopio .
Ma chi erano i Templari: un gruppo di individui che accolsero l’invito di S.
Bernardo di Chiaravalle, su iniziativa di Ugo di Payns e che fondò nel 1118
un Ordine religioso militare, con il nome di "Poveri Cavalieri di Cristo",
con l’impegno di proteggere tutti coloro che si recavano a visitare i luoghi
della Terrasanta. Esso fu riconosciuto ufficialmente nel Concilio di Troyes
del 13 gennaio 1128, sotto il papato di Onorio II. Mai ordini religiosi
ebbero tale riconoscimento da un Concilio. Vi aderirono subito i personaggi
protagonisti delle crociate, monaci e soldati, agricoltori, muratori e
artigiani, alchimisti e architetti, banchieri e diplomatici, che elessero
come loro capo un Gran Maestro ed ebbero come sede, assegnata da Baldovino
II re di Gerusalemme, il palazzo dell’Harem di Sharif nei pressi delle
rovine del Tempio di Salomone. Per questa vicinanza al Tempio assunsero un
nuovo titolo quello di Milites Templi o Templari.
La loro principale missione, come si è già detto, era quella di garantire la
sicurezza sulle strade. Infatti il più delle volte i pellegrini erano
costretti a pagare un tributo ai Saraceni, pratica già messa al bando dalle
Crociate. I Cavalieri, allora, per assicurare anche la incolumità dei
pellegrini custodirono le strade da essi praticate e vi costruirono fortezze
nei luoghi più critici sia nella Palestina che in molte parti dell’Europa.
L’ascesa dei Templari fu fulminea e durante i primi cento anni, essi
acquistarono una potenza che mai nessun Ordine religioso riuscì a
raggiungere. Il loro potere era allo stesso tempo militare, politico e
morale. Vi accumularono un immenso patrimonio con donazioni, specie da parte
dei nobili e con le tante concessioni di feudi e denaro ricevuti da re e
principi per servizi che andavano rendendo. Essi, inoltre, divennero i
governanti occulti dell’Europa del XIII secolo e misero a frutto i loro
patrimoni e, nel creare prestiti, inventarono la professione di banchiere e
di tutti quei benefici derivanti dagli interessi.
Questa immane ricchezza, intanto, preoccupava non poco i vari governanti,
fra cui Filippo IV il Bello re di Francia. Questi pretendeva di essere
nominato gran Maestro, pretesa, che i Templari non accordarono. E il Re per
non restituire l’ingente somma a lui prestata per costituire la dote alla
figlia, li accusò di eresia e fece arrestare nel 1307 ben 138 Templari. Due
anni dopo, senza attendere il giudizio del Papa, li fece trucidare e
condannare al rogo come eretici.

Matteo Siena