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Clan Sinesi-Francavilla aiutò il boss del Gargano durante la latitanza

Smantellata la rete di fiancheggiatori del gruppo criminale dei Libergolis. 14 le persone indagate.

 

Ciò che fino a qualche tempo fa era un "sospetto investigativo", oggi, è diventato certezza. Il boss del Gargano, Franco Libergolis, durante i suoi 566 giorni di latitanza aveva stretto un solido legame con esponenti del clan Sinesi-Francavilla, una delle batterie più pericolose della mafia foggiana. Ad accertarlo è l’operazione di questa mattina che porta la firma congiunta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e dei Carabinieri del Comando Provinciale del Capoluogo, inquirenti che hanno smantellato una rete di fiancheggiatori, composta da 14 persone, queste ultime tutte accusate di aver aiutato il super latitante durante la sua fuga. Il boss, Libergolis, lo ricordiamo, venne arrestato il 26 settembre dello scorso anno all’interno della sua abitazione a Monte Sant’Angelo. Tornò a casa per festeggiare insieme alla sua famiglia l’anniversario di nozze. Attualmente sta scontando nel carcere di L’Aquila una condanna all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio. Un sodalizio, dunque, tra la mafia garganica e la cosiddetta società confermato – così come emerso dalle indagini – dalla partecipazione del boss di monte e della sua famiglia alla prima comunione della figlia di Mario Clemente, pregiudicato foggiano legato ai Francavilla. Nel corso della sua latitanza sia il gruppo foggiano che quello dei "montanari" si sono presi letteralmente cura del boss: lo hanno praticamente accudito in tutte le sue necessità, sia di carattere pratico, sia di carattere sentimentale. Gli hanno assicurato rifugi sicuri fra Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Zapponeta e Foggia, somme di denaro, armi, generi alimentari e di conforto, vestiti griffati, ma soprattutto hanno garantito al boss la possibilità di essere continuamente in contatto con la propria famiglia. Il ricercato telefonava di contino a sua moglie e alla sua bambina utilizzando schede telefoniche "usa e getta", alcune delle quali intestate anche a ignari utenti. Compito dei fiancheggiatori era anche quello di agevolare gli incontri della coppia. Alla propria famiglia il boss forniva non solo il sostentamento quotidiano, ma anche le somme che servivano per pagare gli avvocati. In alcuni casi anche regali come un anello con diamante alla donna in occasione del suo compleanno, dei giocattoli alla piccola. Ruolo di "braccio destro" era affidato, invece, a Enzo Miucci, detto Renzino, figlio di Antonio ucciso il 14 agosto del 1993, nell’ambito dello scontro tra i Libergolis e i Primosa-Basta-Alfieri. 14 in tutto le ordinanza di custodia cautelare, di cui tre ordinanze ai domiciliari e due obblighi di dimora.