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Donare voce alla Bibbia

Leggere “con la voce” la Bibbia a scuola significa ricostruire il processo di codificazione della sua oralità fontale e interpretarla “dal vivo”, in un processo educativo caratterizzato dalla finalità dell’Ire e dei saperi scolastici.

 

 In principio il suono della parola

Oggi la Bibbia è pur sempre ancora pensata e praticata come parola scritta. A meno che non si evinca che per essere scritta è stata ascoltata oralmente e ospitata in un suono. Perché è il suono che l’ha fatta conoscere e diventare parola e custodire in quell’arca dell’alleanza che è la Scrittura. L’ha messa al mondo, l’ha illuminata di suoni nel tempo, l’ha rivelata, facendo «uscire il Verbo dal silenzio» (s. Atanasio). Ancora di più se il suono, in greco phoné, è etimologicamente documentabile come phos e nou (dell’intelletto). E questo suono ha anche modellato la redazione finale del testo. Potremmo quasi dire che il testo attuale è la partitura definitiva di questa «sinfonia concertante tra Dio e uomini/donne» in tutte le tonalità dei generi e dei modi letterari che gli agiografi hanno adottato . inventato per paterne fare davar, notizia, annuncio, insegnamenti (toròth), memoria udibile e annunciabile.
La parola nel suono
Ma oltre a questa oralità originante il testo biblico scritto c’è quell’oralità mediante la quale il testo biblico è ancora oggi annunciato e proclamato oralmente, per cui continua a essere chiamato «Parola di Dio». Se originariamente il suono ha modellato la parola nel suo farsi scrittura, nella proclamazione attuale il suono modula la parola nel farsi annuncio contemporaneo all’ascoltatore. Cioè diviene un’ulteriore oralità attualizzata che rende contemporanea la parola scritta. Sopratutto nella liturgia cristiana mediante la proclamazione e la liturgia delle ore; nella liturgia ebraica, in sinagoga mediante la cantililazione, ma anche nello studio della Torah: così come avviene nelle yeshivoth (scuole rabbiniche) ebraiche. Dove sono sempre in due gli studenti che si leggono l’un l’altro un versetto della Torah o un insegnamento del Talmud. Lo studio avviene oralmente: il testo scritto viene vivificato dalle loro voci, reso contemporaneo dal loro parlarci intorno, dal farne un quotidiano mìdrash condiviso e dall’invitarsi reciprocamente alla mensa di una parola ascoltata,
riletta, assaporata, "ruminatizzata" … «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo» (Gs 1,8). «Dal cielo [il Signore] ti ha fatto udire la
sua voce per educarti» (Dt4,36). Un evento che stupisce perché inaspettato e perché unico: «Vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?» (Dt 4,32-33). «Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce» (Dt 4,12). Il suono e il canto sono quindi da considerare come mediazioni espressive di una volontà di comunicare (ispirazione) che avrebbe potuto avvenire anche mediante un dettato depositato direttamente nella parola scritta e autenticata dalla voce di un arcangelo (come Gabriele
nella tradizione coranica) che media’ "la voce senza voce" di Allah (come nel Corano).

(1 continua)

L’autore Pasquale Troìa è Idr al liceo scientifico "Farnesina" di Roma, autore del progetto multimediale Bibbia Educational e docente di Bibbia e musica alla Pontificia Università dell’Angelicum.