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Ass. Sentimento Meridiano/ Regno delle Due Sicilie: il sistema bancario

Gli istituti di credito del reame erano rappresentati fino al 1808 dagli 8 Banchi pubblici operanti nella città di Napoli dal XVI secolo (Banco di San Giacomo, del Popolo, del Salvatore, di Sant’Eligio, dello Spirito Santo, dell’Annunziata, dei Poveri, della Pietà) e dai Monti Frumentari, Pecuniari [1] e di Pietà [2] nelle province.  I depositi bancari erano tradizionalmente attestati da "fedi di credito" le quali erano a tutti gli effetti un titolo rappresentativo del deposito, liberamente trasferibile e girabile come surrogato della moneta: in un’economia che non contemplava l’uso della moneta cartacea, per effettuare un pagamento occorreva la consegna (o la spedizione) di
moneta metallica, operazione spesso molto difficoltosa. La fede di credito, più facile del denaro da maneggiare e spedire, e provvista di indubbie garanzie di sicurezza fornite dai banchi di emissione, divenne ben presto un valido sostituto del denaro contante.

Nel 1806 i Banchi
napoletani furono coinvolti nella politica innovatrice che Giuseppe
Bonaparte [3] impresse al Regno di Napoli, cercando di modellarli sul
sistema francese. Il Banco di San Giacomo fu quindi trasformato nel
"Banco di Corte" al servizio dello Stato, tutti gli altri banchi furono
riuniti in un unico "Banco dei Privati", al servizio dei cittadini. Nel
1808 Murat [4], divenuto re di Napoli, volle unificare i Banchi
precedenti per dare vita ad un nuovo istituto sul modello della Banca di
Francia [5]: ilBanco delle Due Sicilie [6]. L’innovazione maggiore era
quella di costituire un capitale azionario, chiamando a partecipare alle
sorti dell’istituto gli enti pubblici ed il ceto dei proprietari e dei
risparmiatori.

La restaurazione borbonica nel 1815 non intaccò le
disposizioni emanate durante il decennio francese. Il Banco delle Due
Sicilie si componeva di due sezioni separate: la Cassa di Corte, per il
servizio della tesoreria generale del Regno (alle dipendenze del
Ministero delle Finanze) e la Cassa dei Privati. Nel 1816 fu creata
anche una Cassa di Sconto, a favore del commercio e dell’industria. Per
venire incontro alle esigenze dei clienti ed ai fruitori di fedi di
credito nel Regno (specialmente in Puglia ed in Sicilia), furono aperte
nel corso degli anni alcune succursali: a Napoli nel 1824 fu aperta una
Seconda Cassa di Corte, nel 1844 fu inaugurata una Cassa di Corte a
Palermo [7] e nel 1846 una a Messina [8]. Solo nel 1858, dopo molte
insistenze da parte dei clienti locali, si ebbe l’apertura di una Cassa
di Corte a Bari [9], alla quale fu subito annessa una sezione della
Cassa di Sconto. Negli ultimi anni di vita del reame tra i maggiori
clienti del banco vi erano, oltre ai nobili ed agli enti pubblici,
industriali e numerose società commerciali sorte a partire dal 1830.

Questa struttura molto accentrata del Banco, se da un lato limitava
l’attività finanziaria delle province, dall’altro permetteva un maggior
controllo sui profitti ed una severa limitazione delle perdite. Per
questo motivo il Banco delle Due Sicilie in quegli anni vide il proprio
patrimonio aumentare costantemente. Questa politica economica era
favorita anche dalla severità della legislazione borbonica in materia
finanziaria.

Il reggente del Banco delle Due Sicilie era anche
direttore della zecca, o Amministrazione delle monete, che aveva sede in
Sant’Agostino [10]. La zecca possedeva officine di monetazione,
raffinerie chimiche per l’oro, gabinetti di incisione e macchinari per
la lavorazione dei fili d’argento e dell’acciaio. Compito della zecca
era inoltre quello di fissare il valore delle monete estere.

Nella
Borsa di Napoli, situata presso palazzo San Giacomo [11], si
concentravano i più rilevanti movimenti economici del regno. Tra i
valori più importanti si avevano la rendita, i cereali e gli oli. Il
Ministero delle Finanze approvava ogni anno un calendario di Borsa, che
permetteva agli agenti di poter suddividere la loro attività in turni.
Esistevano inoltre delle "Camere consultive di commercio", di cui erano
presidenti gli Intendenti delle province, che raccoglievano i
commercianti impegnati nel tracciare le strategie da adottare in Borsa.
Nella rendita negoziavano banchieri come i Rothschild di Napoli [12]
(con la loro unica filiale italiana), Forquet, Meuricoffre [13] e
Sorvillo, Gunderschein ed altri.

La Borsa di Napoli era all’epoca una
delle più attive d’Europa nel settore agricolo, caratterizzata da giochi
al rialzo o al ribasso su raccolti ancora in erba gestiti mese per mese
da appositi sensali.Gli oli ed i cereali avevano un posto di primo piano
nelle operazioni di Borsa: il grano delle Due Sicilie (benché subisse la
forte concorrenza di quello russo e polacco) era uno dei più apprezzati
all’epoca e gli oli di Puglia e Calabria erano largamente venduti
all’estero per usi alimentari ed industriali (dato che allora non si
impiegavano ancora gli oli minerali). La case di commercio specializzate
operanti in Borsa avevano magazzini nelle città costiere (in particolare
a Manfredonia, Barletta, Gallipoli, Gioia Tauro e Crotone), messi a
disposizione dei proprietari terrieri locali che vi depositavano i
propri prodotti, ottenendo adeguati compensi fissati da listini di Borsa
giornalieri. I commercianti quindi spedivano i prodotti raccolti nei
magazzini via mare, per raggiungere i rispettivi mercati di consumo
(principalmente Russia, Inghilterra, Belgio e Francia). La case di
commercio avevano generalmente sede a Napoli, e succursali nelle varie
province ed all’estero. La case più importanti venivano dette anche
"firme di piazza", tra queste si ricordano quelle dei Rocca, dei
Cardinale, dei Piria, dei Perfetti, dei Pavoncelli, dei De Martino e la
Minasi&Arlotta. Quest’ultima in particolare si rese protagonista di una
significativa operazione di borsa nel 1856, che portò all’esclusione dei
Rothschild dal mercato degli oli nel regno.

Tutti questi commerci
crebbero sensibilmente negli anni cinquanta, anche grazie alla
leggerezza delle imposte. I maggiori guadagni permisero agli
imprenditori agricoli di migliorare la qualità delle produzioni e di
reggere la concorrenza estera (principalmente quella dei grani russi).
Negli anni cinquanta si ebbe anche un certo risveglio industriale,
spesso applicato all’agricoltura, favorito dalle innovazioni tecniche
registrate dal Real Istituto d’Incoraggiamento e dai concorsi a premi
banditi dalle Società Economiche delle province (che dopo l’unità
divennero Camere di commercio [14]). Lavoro degno di nota delle Società
Economiche fu l’opera di Guglielmo Ludolf (pubblicata nel 1856) sullo
sfruttamento del Canale di Suez [15], allora in costruzione. Si
prevedeva con la sua apertura un forte sviluppo dell’economia delle Due
Sicilie, in quanto nazione essenzialmente produttrice e non
consumatrice, con vasti orizzonti commerciali aperti sul resto del
mondo.

A cura di:

Michele Lopriore

Ass. Sentimento Meridiano