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CENNO STORICO SUI TOPONIMI E SULL’ETNOGENÌA DELLA COSTA GARGANICA.

Nello studio dei toponimi (nomi di luogo) bisogna partire dal presupposto che essi significhino sempre qualcosa. Può trattarsi di nome proprio di persona (un eroe fondatore) o di un dio tutelare (assunto a protettore del luogo) o ancora di una caratteristica del luogo (presenza di piante o animali particolari, di un popolo specifico, di una costruzione od installazione tipica, di una peculiare conformazione costiera, ecc.). Inoltre se il toponimo nella lingua attuale è incomprensibile, necessita risalire a lingue anteriori parlate sul posto; ovvero, ammesso che uno stesso popolo abbia ininterrottamente abitato il luogo, bisogna ripercorrere le fasi evolutive dell ‘unica sua lingua. Orbene, per la costa garganica può parlarsi di “stabilità” etnica soltanto a decorrere dall’ Alto Medioevo (VII e VIII secolo), essendo stata la zona interessata in precedenza da continui afflussi di gente perlopiù per via di mare.
Gli attuali centri abitati della costa, da Lesina a Manfredonia, sorgono infatti a partire dall’ Alto Medioevo lentemente intorno ad un castello o luogo fortificato. Pertanto la loro toponomastica è da ricercarsi prevalentemente in idiomi medievali.
Dei toponimi in voga in epoca imperiale romana sono sopravvissuti pochi: Siponto, Gargano e Urianos (Varano), Matino (Mattinata) e qualche altro dell’entroterra garganico. Peraltro per luoghi da sempre abitati, come quello di Vieste, la fluidità etnografica dei residenti ha potuto determinare anche il totale cambiamento del topos originario. Per la zona garganica e per Vieste in particolare possiamo distinguere le seguenti età storico-linguistiche.
Età pre-romana (sino alla fine del IV sec. a. C.). L’esame linguistico rivela chiaramente che lo strato primigenio del dialetto è costituito da una base illirica con tracce di sovrapposizione della parlata greca. E quindi presumibile che i nostri “indigeni”, colonizzati da popoli greci nell’ambito geopolitico della Magna Grecia, provenissero dall’Illiria (odierna costa dalmata e albanese). Per tale epoca non conosciamo documenti scritti attestanti la toponomastica locale.
Età romana (sino al V sec. d. C.). Il dialetto si consolida sulla parlata latina. Da diversi autori (Strabone, Pomponio, Mela, Plinio il Vecchio, Tolomeo ed altri) emergono i primi riferimenti toponomastici per la costa garganica.
Fra i vari appellativi proposti per Vieste (Hestia, Vibesti, Apeneste, Uria, Portus Agasus) il più probabile per quest’epoca è Portus Agasus.
Età Alto Medioevo (sino al X sec.). In questo periodo il territorio è conteso tra Bizantini, Goti, Longobardi e Saraceni, In particolare l’influenza longobarda, attraverso il Ducato di Benevento che si estendeva sino a Canosa, ha insistito sul posto, fra alterne vicende, per oltre tre secoli. Di qui la permanenza ancora oggi nel dialetto di termini germanici attinenti soprattutto ad usi giuridici e parti anatomiche del corpo umano.
Anche i Saraceni ci hanno lasciato più di un vocabolo arabo.
In documenti stilati verso la fine di quest’ epoca appare per la prima volta il topos Besti-Vesti che condurrà all’odierna denominazione Vieste. L’antico porto romano, che rimane molto importante sulle rotte Nord-Sud-Nord dell’ Adriatico viene fortificato dai Longobardi. Il latino Portus Agasus potrebbe essere stato soppiantato dal topos longobardo Besti-Vesti < Feste, Fest (ung) piazzaforte militare, fortezza, ovvero, più verosimilmente, tradotto da Portus Agasus prima in Portus Bestis e poi in Porto di Bestia.
Età normanno-angioina (sino a circa prima metà del X1- secolo). In questo periodo vengono rilasciati diversi termini francesi afferenti soprattutto il campo agricolo-­artigianale. I Normanni erano popoli di lingua germanica del tutto francesizzati da diversi secoli di permanenza in Normandia (odierno dipartimento della Francia), da cui provennero in Italia Meridionale.
Età della dominazione spagnola (sino alla prima metà del XVIII sec.). Nei due secoli “spagnoli” il dialetto aderisce alla lingua iberica, attraverso processi di ripopolamento di Vieste con abitanti di origine campana.
I molti termini spagnoli presenti nel dialetto sono di questo periodo.

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1. Pare che nel III e IV secolo vi sia stata sulla costa una estrema rarefazione della popolazione.
Il sito di Vieste risulta nel periodo de] tutto disabitato (cfr. M. Petrone, “Note di storia antica garganica e viestana” ed. Centro di Cultura “N. Cimaglia”, Vieste).
È possibile, come spiegato più oltre, che la popolazione abbia cercato rifugio e maggior difesa nel vicino borgo di Merino. Merinum o Marinum è topos tipicamente latino. In forma aggettivata esso sottende un Oppidum (villaggio) cui riferirsi e vuoi significare “villaggio posto in prossimità del lido del mare”.
È molto improbabile che i suoi abitanti fossero i Merinates ex Gargano di Plinio. In verità la quasi totalità delle copie più antiche dell’opera pliniana (Naturalis Historia) riporta Metinates o Matinates, ovvero gli abitanti del “Territorio Matino”. Inoltre i risultati degli scavi effettuati a Merino, con poco metodo e scarso costrutto, inducono a credere che la sua nascita sia avvenuta qualche secolo dopo Plinio, agli albori del Cristianesimo legalizzato.
In mancanza di meglio, ci sia consentito ricostruirne la storia con l’aiuto della fantasia. Il villaggio potrebbe essere stato fondato dal grosso degli abitanti di Uria, sprofondata all’incirca nel III d.C. nell’allora Golfo di Varano. In fondo Uria e Merino dal punto di vista geofisico si assomigliano: entrambi i villaggi erano situati sull’immediato lido del mare e addossati a zona paludosa. Per di più le due città sono state accomunate dallo stesso tragico destino: essere sommerse dalle acque.
Merino nel III – IV secolo s’accresce degli abitanti di”Vieste”, il cui porto viene abbandonato perché soggetto alle continue vessazioni di naviglio ostile in transito. Essa offre maggior protezione, essendo situata in zona defilata sulle rotte adriatiche e con alle spalle la Foresta Umbra, dove cercare riparo nell’estremo pericolo. Inoltre il villaggio dispone all’intorno di terre fertili e ricche di selvaggina, nonchè di acque molto pescose che assicurano un abbondante nutrimento. La vita sul posto diviene molto difficile nel IX sec. per le continue e mirate incursioni saracene, talchè la popolazione inizia a rifluire nel sito di Vieste, nel frattempo (VII – VIII secolo) fortificato dai Longobardi. Probabilmente non più tardi del X secolo Merino è abbandonata del tutto, a seguito dello sprofondamento dell’ abitato nelle acque alluvionali dell’ adiacente Torrente Macchia.
Di qui l’indissolubile legame affettivo Vieste-Merino, il cui vicendevole soccorso d’altri tempi permane impresso nell’inconscio collettivo di noi Viestani. Un vincolo consacrato dal comune ex – vescovado creato intorno al Mille dall’ Amministrazione Bizantina, e alimentato da pie leggende sul rinvenimento – nelle acque (o sul lido) della città sepolta – della veneratissima immagine della nostra Patrona, Santa Maria, la quale ogni anno il 9 maggio ab immemorabili è portata a braccia da Vieste a Merino per un tragitto complessivo di 14 chilometri, con fede commossa e vivissima partecipazione di tutto il popolo viestano (Marco Della Malva, La città e la Madonna di Merino, ed. tipo Tecnostampa, Foggia 1970).

2. Nel Basso Medioevo nasce Peschici (medv. Pesclize) come Vicus Slavus < serbo-croato pesak sabbia e lice fronte, quindi luogo sabbioso, fronte di banchi di sabbia. Gli altri centri della costa, tutti di origine medievale, verranno indagati nella prossima edizione.

3. La nostra ricerca etimologica sulla toponomastica muove in totale indipendenza dalla storia, la quale, interrogata solo a posteriori, talvolta ci ha alimentato dubbi preesistenti, più spesso ha confortato i nostri risultati.

4. Che tale strato risalga a quest’epoca è provato dalle tendenze dialetto poste in risalto nella fonetica. Inoltre tracce illiriche sono presenti nelle trascrizioni messapiche rinvenute sul “Carmine” (cfr. Michele Petrone, op. cit.). Tuttavia l’impronta dialettale definitiva appare provenire, più che da antefatti lontani, da vicende medievali con sovrapposizioni sulla struttura dialettale di elementi d’importazione irpino-molisana.

5. Da sud a nord della costa: Siponto, Matinum-Apeneste (Mattinata), Portus Agasus (Vieste), Portus Garnae (all’imbocco dell’allora Golfo Varano) e Uria (poco interna allo stesso golfo, da cui si scorgevano le Isole Diomedèe, le Tremiti).
Vengono inoltre nominati due popoli: i Metinates o Matìnates ex Gargano (con nucleo urbano su monte Saraceno sopra Mattinata) e gli Irini (con nucleo urbano nella nominata Uria) .
A partire dai primi secoli della nostra era, vuoi per cause geodinamiche (bradisismi, terremoti, insabbiamenti, ecc.), vuoi per ragioni socio-politiche si ha una completa riallocazione dei centri abitati. Scompaiono via via:
– Uria i cui abitanti si disperdono nella costa centro-settentrionale del Gargano fondando, fra gli altri, forse anche il nucleo urbano più consistente in Merinum o Marinum ( successivamente assorbita da Vieste);
– Matinum-Apeneste, che si urbanizza in Monte Sant’ Angelo e moltissimo tempo dopo anche in Mattinata;
– Siponto, inglobata verso la fine del XIII secolo in Manfredonia.
Portus Garnae s’insabbia e non è più annotato nelle carte nautiche medioevali.

6. Si conoscono circa trecento vocaboli longobardi, di cui un centinaio di nomi propri personali e locali sparsi nella lingua e nei . dialetti italiani (cfr. Piergiuseppe Scardigli, Manuale dì filologia germanica, Sansoni Editore, 1992).
GARGANO
La radice grgr o gr o grn, d’origine illirica, è quella che più si adatta al contenuto semantico dello Sperone d’Italia. Tale radice appare ragionevolmente la risultante della parola ripetuta slava gora (gora gora) monte, montagna. Ovvero gornja gora complesso montuoso silvano di livello superiore o ancora gorenja gora complesso montuoso silvano in fiamme, ardente (per i frequenti incendi a cui i boschi del Gargano erano soggetti sin dall’ antichità, soprattutto d ‘ estate).
Una derivazione d’origine ebraica, “Kharkhar” zona vulcanica, appare poco o affatto convincente, come bene ha evidenziato don Salvatore Prencipe nella sua Storia di Mattinata”.
Ma diciamo di più. Etimologicamente garg è anche voce onomatopeica imitativa del suono rauco che viene emesso nella gola, quando ci si sforza di liberarla dalla eccessiva salivazione. Tale radice risulta presente nelle lingue indoeuropee meridionali (greco e latino) con significati che danno l’idea di:
a) gola (per analogia canale, condotto, inghiottitoio, gravina).
b) gorgoglio, gorgoglìo (ad imitazione del suono confuso emesso nella gola).
c) vortice (ad imitazione immaginifica della manovra posta in atto nel cavo della bocca per raccogliere la massa di saliva da espellere).
d) nucleo filamentoso, polipo, testa della Medusa (ad imitazione immaginifica della saliva espulsa e spiaccicata al suolo).
e) torrente, acqua schiumosa (ad imitazione immaginifica della saliva che scorre).
Tali significati sono rimasti tutti nelle lingue neolatine in quei vocaboli che contengono la radice grg, grgr, grgrn. Il Gargano contiene in sé sublimata una mirabile sintesi di tutti questi significati.
E ciò ben fu compreso fin dall’ antichità dal navigante greco che vi giungeva dal mare, o vi navigava intorno per i sessantacinque chilometri di coste piene di anfratti e di insenature e si avventurava ad esplorarne le sue immense foreste in lungo e in largo, risalendo per monti, vallate incassate e canaloni.
Sappiamo da Orazio: Garganum mugire putes nemus aut mare tuscum tu pensi che muggisca il bosco Gargano o il mare Tirreno (epistole II, l, 202) e ancora aut Aquilonibus querqueta Gargani laborant né i querceti del Gargano resistono a fatica ai venti impetuosi di tramontana. Il poeta descrive il Gargano come una fitta selva sopraelevata, tormentata da venti tempestosi che soffiano urlanti e furibondi, attraverso i suoi folti alberi, sulle creste dei monti e lungo i canaloni vallivi da o verso il mare, sul quale si accumulano (aggiungiamo noi) onde schiumose e paurose e si formano gorghi che ben reggono il paragone con il mare in tempesta del Tirreno.
Il colono greco (e poi romano) dovette apprendere con meraviglia dagli indigeni illirici che il territorio era da essi nomato con radice grgr o grgrn ed adottarono volentieri il toponimo che ben sintetizzava, nella loro immaginazione, quanto loro ultimi avevano colto del luogo.

1. È improprio voler conferire al Gargano un’ etimologia greca, basandola su nomi di popoli (i Gargari) o di città (Gargaro in Misia e/o Frigia) dell’antica Grecia. È dimostrabile infatti che tali toponimi greci sono di origine preellenica e più precisamente illirici. Gli Illiri, per quanto qui ci riguarda, erano popoli della Bassa Danubiana, da dove si infiltrarono in tempi preistorici in Grecia, nei Balcani ed Epiro (l’odierna Albania). Essi erano per i Greci popoli barbari, quindi non di lingua greca, e si accontentavano di abitare le zone più inospitali, prevalentemente montagnose. Tracce molto profonde delle loro parlate si rinvengono nelle lingue balcaniche (serbo-croato-sloveno) e soprattutto nella lingua albanese. Quest’ultima lingua è considerata per la sua peculiarità la più diretta erede delle parlate illiriche.
Ciò premesso, che Gargano è di origine preellenica (illirica) può essere provato dal fatto che:
a) la radice gr o grn, oltre che nello slavo balcanico, sussiste oggi pure nell’albanese (Gjere catena montuosa, montagna rocciosa e gur pietra) con analogo significato. Inoltre nell’albanese meridionale è presente la rotazione intervocalica r > n, per cui Gargaro > Gargano;
b) Nei Balcani di villaggi montagnosi di nome Gargaro ve ne sono diversi. Uno si trova in Slovenia a pochi chilometri da Gorizia. Sono villaggi rigorosamente slavi, il cui topos è slavo. È impensabile una loro fondazione greca od un imprestito linguistico dal greco.
c) la stessa radice illirica kr- è presente nel toponimo greco Kerkira _ Corcira – Corfù (kerkira = pietrosa).

2. S. Prencipe, Storia di Mattinata, Marigliano, 1967.

 

Dialetti garganici: dizionario etimologico di voci proprie del dialetto viestano di Marco Della Malva e dei fratelli Franco e Vincenzo Lopriore
(Ed. Libreria Gogliardica Trieste)

 

 

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