Maglia rigorosamente scura, barba un po’ meno. Dal suo incedere e parlare, il noir e mistero che siamo abituati a leggere sembrano dissolversi e viene fuori l’ingenuità dell’artista assetato di sapere e curioso della vita. Il giallo, il mistero sono un gioco con cui esorcizzare il brivido stesso che il solo pensare provoca. Lo scenario è quello che mi compete, sullo sfondo l’abbazia benedettina e al microfono Carlo Lucarelli. Il suo ultimo romanzo, i suoi personaggi, l’eventuale racconto su Tremiti.
Benvenuto a Carlo Lucarelli, autore di “Intrigo Italiano” che vede il ritorno del commissario Deluca. Ambientato nella Bologna dei primi anni 50. Perché quello specifico periodo?
Carlo: Quell’epoca perché da ragazzino ricordo di aver scoperto a casa mia un patrimonio di giornali e riviste vecchie, tra cui ho trovato dei settimanali degli anni cinquanta. Quest’ambientazione un po’ in bianco e nero, un po’ strana. Un’Italia appena uscita dalla guerra, ma che contemporaneamente sta già entrando nel boom economico, un’Italia che sogna di essere americana ma allo stesso tempo è molto italiana. Quando mi è venuta in mente un’idea per il mio commissario Deluca che potesse essere ambientata in quel momento, ecco il 1953-54; Bologna perché è una città particolare soprattutto in quegli anni.
Deluca esce dal coma e questo fa felice tanto i suoi lettori. Però pure Coliandro ha il suo seguito. Proviamo a confrontare i due?
Carlo: Sono due persone molto diverse. Deluca è il primo personaggio di cui ho scritto ed è un poliziotto molto contraddittorio. Da una parte ha il senso della legge, rispetto della giustizia, ma contemporaneamente si trova a farlo sempre in condizioni particolari. Durante il regime o dopo, durante la guerra, quando è ricattabile. E’ una persona sempre molto tormentata. L’ispettore Coliandro è diventato un personaggio televisivo. E’ nato per il romanzo ma poi è diventato il volto di Giampaolo Morelli, le inquadrature dei fratelli Manetti, è un personaggio della televisione. Per noi è molto divertente, ha la caratteristica di essere un poliziotto che, invece di essere il genio della situazione, caratteristica dei detective soliti, questo invece non sa fare assolutamente niente. Però come dice lui, resta fermo a pigliare cazzotti finché in qualche maniera non si risolve tutto.
Sia Deluca che Coliandro sono una parte di Lucarelli o nascono da incontri che lo scrittore ha fatto?
Carlo: (ride) Oh dio!!! Si nascono da me… non sono io, perché cerco di scrivere personaggi diversi da me, mi incuriosiscono molto di più. Io sono abbastanza noioso quindi non ci sarebbe nessun interesse. Sono degli incontri. Deluca è stato un incontro mentre scrivevo la mia tesi di laurea, ho intervistato un poliziotto che è stato nella polizia politica dal 41 all’81. Mentre lo intervistavo ho pensato subito a lui come un personaggio di un romanzo. Coliandro è un insieme di tanti poliziotti, di tante gag che amici poliziotti mi raccontavano che succedevano durante le loro giornate di lavoro. Poi tutti e due, come tutti i personaggi, partono da uno spunto iniziale e poi diventano quello che sono.
Lei è già la seconda volta a Tremiti. Chi dei due personaggi porterebbe qui, e dove precisamente?
Carlo: eh! Sarebbe interessante. Coliandro a Tremiti farebbe un sacco di confusione, impiegherebbe un sacco di tempo e in questo caso porteremmo la televisione qui e ci resteremmo almeno un mese.
Lei sa dell’attentato al faro di San Domino nel 1987? Magari Coliandro potrebbe far luce sul mistero.
Carlo: Se portiamo Coliandro sta qua un mese, ci divertiamo, e non combina niente. Deluca forse scoprirebbe qualcosa, o forse ce li portiamo tutti e due.
Ma torniamo a quelli che sono i suoi argomenti preferiti, i misteri. Perché il nostro paese ha più misteri irrisolti che chiariti?
Carlo: Un motivo fondamentale è che le persone che dovevano chiarire i misteri italiani e quindi storie di mafia, strategie della tensione, storie che legano politica, crimine e finanza; invece di chiarire questi misteri spesso hanno contribuito a complicarli. Quando tu hai le guardie e i ladri, e le guardie fanno il gioco dei ladri, la cosa non funziona più. Questo è uno dei motivi. L’altro è che, in effetti, sono misteri abbastanza complicati. Mettono insieme tanti interessi. Interessi di una mala politica, mala finanza, mala economia, con una malavita spesso organizzata. Non è facile. E’ vero però che sappiamo un sacco di cose adesso su quei misteri, basta mettersi un po’ a studiare libri, sentenze e i meccanismi di quei cosiddetti misteri italiani li conosciamo quasi tutti. Poi chi è stato questo ancora non lo sappiamo.
Noi siamo in radio e abbiamo a che fare continuamente con la musica, so che ha trattato già il mistero del 27, anno comune a grandi del rock morti tragicamente.
Carlo: Si lo abbiamo trattato anche in radio. Io devo dire che sono dell’idea che si tratti più di una coincidenza. Sono ormai più di quarant’anni della musica e non possiamo pensare che ci sia dietro qualcuno o un complotto. Ne, tantomeno pensare, che il numero 27 o avere una J nel nome porti sfortuna. E’ che per la legge dei grandi numeri, quando cominci ad analizzare che parecchi cantanti, musicisti o star del rock muoiono giovani, sarà per la vita che conducono, allora è chiaro che le coincidenze sono tante.
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