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I TALK SHOW TELEVISIVI NAZIONALI E IL SUD

La sera del 19 gennaio, nel corso della trasmissione “Non è l’arena”, il conduttore Massimo Giletti ha lamentato l’attacco che la sua trasmissione riceve dai tanti che ritengono ingiustamente – a suo dire – che il Sud esca dalla trasmissione sempre discriminato. Secondo Giletti il talk show che conduce porta all’attenzione del pubblico i fenomeni mafiosi, la corruzione, il malgoverno di regioni e comuni, il malaffare nella pubblica amministrazione, le devianze sociali, al di là del luogo geografico in cui essi avvengono.

Gennaro De Crescenzo, il giorno dopo la trasmissione, da presidente del Movimento culturale dei Neoborbonici, scriveva agli sponsor della trasmissione “Non è l’arena” che non ne poteva più «del Sud raccontato prima in RAI poi a La7 da Massimo Giletti tra truffe, criminali o furbetti sempre e solo al Sud, senza mai entrare negli scandali (milionari) del Nord e contribuendo alla costruzione dell’immagine di un Sud che nessuno potrà mai salvare… senza mai un (vero) dibattito e con la complicità di qualche meridionale/figurante».

Per quanto mi riguarda sono particolarmente amareggiato perché, nonostante la presenza del noto imprenditore calabrese Maurizio Talarico, nessuno ha saputo o voluto spiegare le vere ragioni economiche, sociali, culturali, politiche, per cui la Calabria e il Sud si trovano agli ultimi posti in Europa per sviluppo e crescita.

A Giletti, a Cecchi Paone, alla De Girolamo e ai tanti conduttori e opinionisti onnipresenti sulle reti nazionali (Sallusti, Sgarbi, Feltri, Cruciani, Del Debbio, Giordano, Belpietro, Santanché, Mughini, ecc. ecc.) consigliodi leggere il testo “La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo”, pubblicato nel 2015 dai veneti Stefano Cristante e Valentina Cremonesini, gli studiosi più idonei per formazione professionale a documentare statisticamente come e quanto il Sud sia stato rappresentato dai media nazionali negli ultimi decenni, in quanto docenti di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università del Salento.

I dati elaborati dai due docenti lasciano sconcertati e increduli, ma anche l’amaro in bocca in chi vive al Sud, crede nel Sud, è emigrato dal Sud: il TG1 della RAI, negli ultimi 35 anni, ha dedicato solo il 9% delle notizie al Mezzogiorno. E quasi sempre per parlare di cronaca, criminalità, malasanità, meteo.

Ai due docenti sarà sembrato del tutto inutile e superfluo fornire i dati di quei media di proprietà privata che quasi naturalmente vedono del Mezzogiorno solo il lato oscuro, tuttavia colpisce che il Corriere della Sera e La Repubblica abbiamo dedicato spazi esigui al Sud, passando dai 2000 articoli nel ventennio 1980-2000 ai 500 del decennio 2000-2010, occupandosi quasi solo di metterne in rilievo i mali e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.

Quella che esce fuori dall’indagine scientifica dei due docenti è una convergenza perfetta, e sospetta, tra potere politico, affari e media negli ultimi 30 anni. Non sfugge ai più accorti osservatori, nessuno dei quali onnipresente nei talk show nazionali (perché?), che il Sud comincia ad essere oscurato da stampa e tv soprattutto dagli anni Novanta del secolo scorso, quando, documenti e statistiche alla mano, con la fine della classe politica della prima Repubblica e l’avvento della Lega Nord, il Mezzogiorno viene totalmente escluso da qualsiasi prospettiva di sviluppo economico per scelte prettamente politiche e ideologiche, che relegano l’annosa, e per molti versi fastidiosa, “Questione Meridionale” candidamente in soffitta, ritenendola come un problema secondario nell’ambito dello sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.

Le tappe che hanno portato il Sudin questo stato sono illustrate dal giornalista de “Il mattino” di Napoli, Marco Esposito, nel testo “Separiamoci” alla terza edizione nel 2019. Nel 1990 la legge del piemontese Giuliano Amato trasforma il sistema creditizio italiano, spingendo con incentivi fiscali le banche, enti di diritto pubblico, «a separare la propria attività in due: una fondazione e una banca società per azioni», con il risultato finale che le banche passano ad un sistema di diritto privato che permette le scalate del più forte. Ed ecco che «le fondazioni bancarie erogano fondi e sostengono servizi per il 93% al Centro-nord e per il 7% al Sud». Aggiungiamoci, come scrive ancora Esposito, la fine dell’intervento straordinario e l’eliminazione della fiscalizzazione degli oneri sociali e il quadro dello “smantellamento” del Mezzogiorno è completo.

Ovvio chiamare in causa le gravi responsabilità di una classe politica, di destra, di centro, di sinistra, a nord e a sud, che non è stata all’altezza della funzione primaria, perché costituzionale, di ridurre il divario Nord-Sud e che, invece, ha la piena responsabilità di averlo fatto crescere a dismisura fino a determinare nuovi e preoccupanti fenomeni di degrado, di abbandono, di emigrazione, di miseria, di illegalità.

È su queste tematiche che – a mio parere- i talk show televisivi nazionali dovrebbero porre la propria attenzione, evitando slogan populistici, urla e strepiti.

Michele Eugenio Di Carlo