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17 Febbraio/ LA PIETÀ

Diffido della pietà. Esalta in me sentimenti piuttosto vili, un prurito di tut­te le piaghe dell’anima.

Georges Bemanos

Certo, la pietà è un sentimento ambiguo, come dice il protagoni­sta del romanzo II signor Ouine che lo scrittore cattolico francese Georges Bemanos pubblicò nel 1946. C’è, infatti, una pietà che nasce da viltà e sconfina nel disprezzo.

È quell’atteggiamento apparente­mente compassionevole nei confronti della creatura più debole ma che sottilmente nasconde in sé un’arroganza o l’intimo compiaci­mento di non essere in quello stesso stato miserando. Leonardo Sciascia nella sua famosa opera Le parrocchie di Regalpetra (1956) giunge­va al punto di scrivere: «Un terribile sentimento, la pietà. Un uomo deve amare ed odiare: mai aver pietà».

Ribaditi, dunque, tutti i ri­schi che questa esperienza umana comporta, bisogna però anche ri­conoscere il rovescio della medaglia.

Troppo spesso, infatti, ci imbattiamo in persone spietate. In questi casi la loro arroganza è esplicita, la loro crudeltà non si premura di velarsi, la loro indifferenza non cerca alibi ma si ostenta in tutta la sua brutalità.

C’è, però, un altro modo, meno appariscente, di essere senza pietà ed è quello espresso dall’aggettivo «impietoso», meno forte di «spietato», eppure ugualmente «senza pietà». Esso può adattarsi a chi si fa progressivamente indifferente di fronte alla sof­ferenza e alla necessità altrui.

Il suo comportamento è quello egoisti­co del sacerdote e del levita della parabola del buon Samaritano nar­rata da Gesù (Luca 10,25-37): essi «passano oltre dall’altra parte» della strada ove è accasciato a terra chi avrebbe bisogno di quella pietà che è umanità, solidarietà e autentica compassione. La vera pietà è, infatti, sinonimo di amore.

Gianfranco Ravasi