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29 Maggio/ FINGERE DI NON VEDERE

Quanti colpi dovrà ancora sparare un cannone prima di tacere per sempre? Quanti anni potrà resistere un popolo prima di essere un popolo libero? Quante volte dovrà un uomo voltare la testa per far finta di non vedere? La risposta, amico mio, è sospesa nel vento.

BOB DYLAN

Il suo vero nome è Robert Zimmerman, ma è celebre come Bob Dylan, cantautore americano, uno dei miti della «controcultura» de­gli anni Sessanta, grande creatore di canzoni, di ballate, di blues, nei quali s’intrecciano temi pacifisti, ecologisti, populisti a tensioni mi­stiche e a inquietudini più profonde. I versi da noi citati rivelano ap­punto questo impasto, ma pongono domande serie che, purtroppo, nella storia non riescono a essere esaudite perché «la risposta è (e ri­mane) sospesa nel vento».

Vorrei porre l’accento su uno solo di questi interrogativi, quello che riguarda il «voltare la testa per far finta di non vedere». Questa scelta, oppure quella dello struzzo che nasconde la testa nella sabbia, è infatti, una pratica costante.

Lo ricordava già lo stesso Gesù nella parabola del Buon Samaritano, quando del sacerdote e del le­vita diceva che, di fronte a quello sventurato incappato nei briganti, essi erano «passati oltre dall’altra parte» della strada (Luca 10,31-32). Quante volte anche noi preferiamo distogliere lo sguardo o fingere di non vedere o essere colpiti da improvvisa fretta di fronte ai dram­mi degli altri.

Oppure siamo pronti a reclamare l’intervento delle autorità o della polizia o delle istituzioni latitanti. Aveva certamente ragione – almeno parzialmente – Pier Paolo Pasolini (1922-75) quan­do in una sua poesia scriveva: «Peccare non significa fare il male: / non fare il bene, questo significa peccare». Dobbiamo più spesso confessare il peccato grave di «omissione».

Gianfranco Ravasi