Menu Chiudi

26 Giugno/ LA NAVE E LA TEMPESTA

Non si deve abbandonare la nave in mezzo alle tempeste solo perché non si possono estinguere i venti: si deve operare, invece, nel modo più adatto per cercare di rendere se non altro minore quel male che non si è in grado di volgere al bene.

Tommaso Moro

Così scriveva Tommaso Moro nella sua opera più celebre, Utopia (1516). La sua è una riflessione di stampo realistico che si modella sulla tesi del male minore, di fronte all’impotenza di raggiungere il bene. L’immagine della nave sballottata da forze naturali che supe­rano ogni capacità umana ben illustra la scelta da compiere che non è quella della rassegnazione inerte e scoraggiata ma neppure quella della sfida prometeica e suicida. Si ha, così, una lezione sulla pazien­za operosa, sulla perseveranza nelle piccole cose.

Aveva ragione Luigi Pirandello (1867-1936) quando metteva in bocca a un personaggio di un suo dramma, Il piacere dell’onestà, que­ste parole: «È molto più facile essere un eroe, che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’essere sem­pre».

Certo, per vincere la bufera della vita spesso bisogna accettare umiliazioni, tollerare molte prove, lavorare con costanza attorno a piccole cose. E questo non dà né medaglie né grandi elogi o consola­zioni.

Eppure è solo così che si riescono a superare ostacoli a prima vista invalicabili. Nel Nuovo Testamento ricorre 32 volte una parola greca, hypomonè, che di solito è tradotta con «perseveranza, pazienza, sopportazione»: essa, però, letteralmente significa «rimanere sotto» un peso da portare. È solo così che si merita la promessa dell’Apoca­lisse: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita» (2,10).

Gianfranco Ravasi