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VIESTE/ VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013 – DALLA GUERRA ALL’ARMISTIZIO DELL’8 SETTEMBRE –

A luglio del ’43 la guerra è ormai alle porte di casa. A Vieste, oltre alla popolazione residente sono presenti numerose famiglie sfollate dalle città bombardate dagli aerei anglo-americani. In maggioranza sono viestani d’origine, tornati dalle grandi città del Nord dove si erano stabiliti prima della guerra, nonché da Roma, Napoli, Zara, Foggia. I bombardamenti su Foggia hanno per obiettivo la stazione ferroviaria da cui transitano i treni che prima portavano truppe e materiale bellico ai porti d’imbarco per l’Africa settentrionale dove si è combattuto fino alla primavera del ’43, e poi, essendo stata occupata dagli inglesi dopo l’Etiopia, col concorso americano, anche la Libia, da luglio verso la Sicilia dove il 10 luglio sono sbarcati in forze gli Alleati (nome con cui si sono unificati gli anglo-americani). Quelle incursioni oltre a danneggiare pesantemente la stazione arrecano gravi danni alla città di Foggia. Sotto le bombe perdono la vita ventimila cittadini. Le vibrazioni prodotte dalle esplosioni le avvertiamo anche a Vieste, sia pur debolissime, come le avvertii una mattina di luglio sulle scogliere di San Francesco dove alcuni amici eravamo al bagno.

Si sente, è nell’aria che la guerra per noi è perduta. Alla fine di agosto gli anglo-americani hanno completato l’occupazione della Sicilia e si apprestano a varcare lo stretto di Messina, ad invadere la penisola. I tedeschi, dal canto loro, dopo le folgoranti vittorie dei primi tre anni di guerra, che li avevano portati ad occupare gran parte dell’Europa, alla fine del ’42, in Russia, sono rimasti inchiodati alle porte di Mosca e Leningrado e sono impegnati in un’immane battaglia a Stalingrado. Che occupano in parte, per poi essere ricacciati dai sovietici e costretti a ripiegare. E’ dal febbraio del ’43 che sono in costante ripiegamento su tutto il fronte, seppure ancora in grado di impegnare violenti aspri combattimenti nei quali sono in campo, da entrambe le parti, milioni di uomini ed enormi quantità di mezzi. Per di più incombe sui tedeschi la minaccia di uno sbarco degli anglo-americani in Francia.

Con questo quadro avanti agli occhi ci è difficile credere che Germania e Italia possano rovesciare le sorti della guerra, come promette la propaganda nazista lasciando circolare la voce che in Germania sono state messe a punto armi segrete di straordinaria potenza, prossime ad essere impiegate. Nei commenti della gente c’è sconcerto. Non si sa se più rattristarsi per la sconfitta cui noi stiamo andando incontro o rallegrarsi perché la guerra è prossima a finire.

 Il 25 luglio il gran consiglio del fascismo vota, sebbene in modo ambiguo, la sfiducia a Mussolini. Il re lo fa arrestare, ma non lo rende noto. Agli italiani fa dire, attraverso la radio, che Mussolini si è dimesso. Al suo posto è nominato capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio il quale, a sua volta, rivolge un proclama altrettanto ambiguo alla nazione, in cui tra l’altro annuncia che “la guerra continua”. Appare evidente che l’avvenuta svolta politica italiana, ulteriormente sanzionata con lo scioglimento del partito fascista, è senza ritorno. Ed è anche preludio al nostro crollo finale. Con chiunque si parli a Vieste, questo è il convincimento.

Non però di un ufficiale tedesco qui in servizio. C’era in quel tempo, “Sopra il Carmine”, da un anno o forse più, una postazione militare tedesca con un cannoncino e pochi soldati comandati da un tenente. Un giovane tenente che avevo conosciuto per caso alcuni giorni prima, garbato, dall’aspetto poco militaresco, colto per quanto ne capivo allora. Dopo la caduta del fascismo c’incontrammo una mattina in piazza. Restammo un po’ a parlare. Si esprimeva discretamente in italiano. Il discorso cadde inevitabilmente sull’evento politico del momento. Ad un mio accenno sulla drammatica situazione militare in cui Germania e Italia ora si trovavano, il tenente mi disse d’essere certo che la situazione presto sarebbe cambiata, che le forze armate dei nostri due Paesi sarebbero passate alla riscossa. Il tono era disteso, senza enfasi. Ma la risposta non era quella che mi aspettavo. Mi sembrava impossibile che potesse credere ancora alla vittoria delle armi tedesche. La conversazione finì lì. Pochi giorni dopo, quel piccolo presidio andò via da Vieste.

Intanto, a capo del Governo italiano l’uomo-mito non c’è più. Consumato il suo prestigio dall’andamento disastroso del conflitto, dalla situazione interna in continuo peggioramento, da malcelate divergenze con e tra gli alti gradi dell’esercito, dal serpeggiante malumore del re Vittorio Emanuele e tra gli stessi gerarchi fascisti, Mussolini, il Duce, che si diceva ci fosse invidiato da tutto il mondo, l’uomo della Provvidenza, è stato costretto a lasciare le redini del Paese. La guida dell’Italia è passata in altre mani. Siamo confusi. Forse più di tutti ne risente la mia generazione, quella dei giovani nati negli Anni Venti e dintorni, che eravamo cresciuti nel fascismo, ragazzi e ragazze, adolescenti che avevamo vissuto i giorni entusiasmanti della conquista dell’Impero, che avevamo cantato Faccetta nera, deriso il Negus, passato i pomeriggi del sabato alle adunate e all’istruzione premilitare e fatto il saggio ginnico in piazza il 24 maggio. Gli entusiasmi di allora adesso sono solo un ricordo. Ora ci troviamo immersi in una realtà in cui si mescolano la delusione per come è andata la “nostra” guerra, e la curiosità-attrazione verso la democrazia, verso il nuovo modello politico dello Stato che s’intravede dalla lettura dei giornali.

Degli intrighi che hanno portato a questo terremoto politico, a Vieste nulla si sa. Qui non si svolgono le manifestazioni di giubilo delle grandi città, che negli anni di poi vedremo al cinema nei filmati Luce. Nessuno sa dove si trova e cosa fa Mussolini. Lontani come siamo dai grandi centri, ciò che la radio non dice Vieste non sa. I pochi antifascisti noti di Vieste sono persone tranquille, idealisti, che durante il regime non hanno compiuto azioni politiche proibite, cosicché non hanno subito molestie e ora non ne danno. Ora si limitano a seguire lo svolgersi degli eventi.

L’altro antifascismo, quello strisciante, del mugugno, che si avverte da quando la guerra ha preso ad andar male per noi, appartiene alle persone che si scoprono, oggi, di essere stati, ieri, fascisti di fuori e antifascisti di dentro. Vive però nella nostra città un antifascista d’altro stampo per la sua mentalità, per come ha operato, un uomo di straordinario spessore morale, il magistrato Mauro Del Giudice. Essendo stato giudice istruttore nel processo per il delitto Matteotti, compiuto da elementi fascisti, antepose al fascismo imperante il rispetto della legge, per cui fu esonerato dall’incarico e trasferito in altra sede. In pensione, si stabilì a Vieste, presso il fratello Luigi, nel 1929.  Della sua figura, della sua presenza nella nostra città, che rievocai anni fa sul periodico locale Garnews, ricorderò solo che quando cadde il fascismo non si lasciò andare a pubbliche espressioni di esultanza. Rimase quell’uomo misurato e composto che era sempre stato. Però fu vicino agli uomini del Comitato di Liberazione locale, amico e consigliere dei suoi membri, pur senza far parte del Comitato. A Vieste scrisse, e datò 9 febbraio 1947, la Cronistoria del processo Matteotti, che pubblicò nello stesso anno.  Il libro fu ristampato nel 1985 dal figlio di Matteotti con la prefazione del nostro concittadino, deputato e poi senatore, Antonio Cariglia.

 Mauro Del Giudice se ne partì da noi nell’estate del 1949 e andò a stabilirsi presso una figlia adottiva a Roma, dove si spense il 12 febbraio 1951, all’età di 91 anni.

(2 — continua)

Ludovico Ragno

IL FARO SETTIMANALE