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24 NOVEMBRE/ CONDANNATI A MORTE

Elizabeth Fry odiava la pena capitale e, nonostante che l’assistere a un’ese­cuzione capitale le logorasse i nervi, ogni volta rimaneva a pregare con le donne condannate a morte nel carcere di Newgate, fino al momento dell’e­secuzione. I prigionieri erano, allora, condannati a morte anche solo per aver rubato somme modeste o per qualche contraffazione. Lei li faceva sede­re deliberatamente davanti a sé, ai primi posti nelle riunioni di preghiera.

CITATO IN «FAR ABOVE RUBIES» DI RICHARD SYMONDS

In un libro sulle «donne dimenticate della Chiesa d’Inghilterra» (Richard Symonds, Far above rubies, del 1993) leggo questa memoria di un’apostola dei carcerati e dei senzatetto, l’anglicana Elizabeth Fry, morta nel 1845 a 65 anni, dopo una vita dedicata alla cura degli ultimi e alla riforma dei sistemi carcerari. Al di là dell’orrore della pena di morte, purtroppo tuttora praticata con pertinacia da molti stati tra i più diversi per tipologia politica (si va dalla Cina agli Stati Uniti), c’è un aspetto molto evangelico nel modo con cui Elizabeth si accostava a quegli sventurati.

Non solo condivideva quelle terribili ore d’attesa pregando coi condannati, ma nelle assemblee oranti che erano celebrate nelle car­ceri, «faceva sedere deliberatamente davanti a sé» questi infelici, uo­mini e donne. Era la stessa scelta di Cristo: sono gli ultimi, i pubbli­cani, le prostitute e i peccatori, a essere i primi nel Regno di Dio, mentre quelli che si ritengono perfetti e inappuntabili ne vengono estromessi. Alle vittime della storia, umiliati e offesi sono da riserva­re quel rispetto e amore che il mondo ha loro sempre negato. Si leg­ge nella Lettera dell’apostolo Giacomo: «Supponiamo che entri nella vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splen­didamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: Tu siediti qui comodamente! E al povero dite: Tu mettiti in piedi là!, oppure: Siediti qui ai piedi del mio sgabello! non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?» (2,2-4).

Gianfranco Ravasi