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1 DICEMBRE/ FELICE DI CIÒ CHE HAI

Il dio Yishnu promise a un suo fedele di esaudire tre e solo tre sue suppliche. L’orante chiese innanzitutto di essere liberato dalla moglie petulante che subi­to morì. Ben presto, però, quell’uomo comprese la follia di questa richiesta, sentendo la mancanza di quella sua compagna di vita. Implorò, allora, Vishnu di riportarla in vita e così avvenne. Gli rimaneva ormai una sola possibilità di domanda e, non sapendo decidersi, chiese al dio di suggerirgli la giusta invoca­zione. E Vishnu rispose: «Prega di essere felice di ciò che la vita ti porterà».

PARABOLA INDIANA

Abbiamo riassunto una più lunga parabola indiana che ha per te­ma l’incontentabilità umana. È qui che si annida l’insoddisfazione, è in questa tensione che germoglia l’infelicità. Certo, non si deve vive­re lasciando che il fato ci conduca là dove non vorremmo, perché siamo dotati di una libertà, di una volontà e di una capacità di agire. Tuttavia si deve essere consapevoli che la vita fa parte di un più alto e grande contesto che il credente vede affidato alle mani divine.

Ecco, allora, un equilibrio da conquistare: cercare con tutte le pro­prie energie la felicità, ma essere anche felici di ciò che si ha e che la vita offre. Non essere rinunciatari ma neppure aggressivi, non preci­pitare nell’inoperosità ma neppure diventare esagitati e isterici. E fa­re qualche volta di più la preghiera dell’abbandono alla Provvidenza divina, come suggerisce il testo indiano: «Fa’, o Dio, che io sia feliée di ciò che la vita mi porterà». Senza fatalismi o rassegnazione, ma an­che senza ribellioni e proteste infinite. Il poeta greco Pindaro (V sec. a.C.), nelle sue odi Pitiche consigliava: «Non desiderare, anima mia, la vita degli immortali, ma godi a fondo i beni a tua portata».

Gianfranco Ravasi