Nel corso della manifestazione “LA SERENATA DELLA TARANTELLA”, che si svolgerà a Vieste dal 19 al 25 agosto, tanti gli appuntamenti in programma. Quest’anno, dopo il convegno dedicato a Matteo Salvatore, della scorsa edizione, la figura garganica che sarà riportata sotto le lenti d’ingrandimento sarà dedicata al poeta viestano Gaetano Dellisanti. Il titolo dell’incontro: ISTANTANEI DI SCENARI SOCIALI NELL’IRONIA DIALETTALE DELLA POESIA DEVIANTE DI GAETANO DELLISANTI. Vedrà come ospite, tra gli altri, lo scrittore e critico di arte Gaetano delli Santi, nipote del poeta “TANINO”.
“Gaetano Dellisanti ha messo a disposizione di intere generazioni e di molte altre che verranno un patrimonio inestimabile, fotografando un periodo della nostra storia, altrimenti sconosciuto. Le sue poesie e le sue prose sono l’espressione della cultura popolare viestana, un bene prezioso che alimenta la curiosità e la voglia del sapere, laddove la descrizione della viestanità è sempre puntuale e partecipata, proprio in quanto l’autore conosce ed ama i suoi luoghi e i personaggi, e scrive perché altri li conoscano e li amino, nel tentativo di far crescere un senso civico critico nella gente comune. Il tutto con il prevalente utilizzo del dialetto, parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed inevitabile segno di appartenenza ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca in un posto preciso della nostra storia personale. Perché amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.”
òòòòòòòòòòòòòòòòò
DELLI SANTI E IL PLURALISMO PIU’ FORTE: QUELLO CHE HA SUBITO QUI, DALLA SUA TERRA
Quando incroci una figura come quella di Gaetano delli Santi, attarverso un altra figura, quella di suo fratello nini delli Santi,capisci di essere di fronte a qualcosa che non accade per caso. Sarebbe difficile in poche righe spiegare dell’uno e dell’altro e sarebbe irriverente provare a farlo, quando uno, Gaetano, ha un curriculum impossibile da sintetizzare e l’altro ha speso e spende la sua vita per il territorio. Prerogativa di famiglia, visto che il loro padre e il loro zio, ma anche il resto della famiglia, hanno avuto la lucidità di formarsi in materie letterarie, storiche, filosofiche e amministrative. Dopo sette lunghi anni Gaetano torna a Vieste, con una paura – quella di vedere cambiamenti e stravolgimenti – una speranza, quella che alla domanda sulla questione culturale a Vieste gli fa rispondere così: “per quello che mi giunge sul ritrovato attivismo e fermento delle tante associazioni nate, il futuro lascia ben sperare”. Alla fine capisci perchè il suo curriculum va dalla letteratura, alla scrittura, fino alla pitture e alla scultura. E’ lui a spiegarlo in maniera chiara e semplice, come gli ha insegnato suo zio: “Il mio lavoro rispecchia il territorio, è un groviglio, come la Foresta Umbra e tutto il Gargano”.
òòòòòòòòòòòòòòòòò
Mi impongo di conoscere ciò che gli altri mi dicono di lasciar stare e scopro un mondo straordinario. L’avanguardia? Inizia dal Barocco, prosegue con il Rinascimento e poi arrivano le avanguardie storiche”.
Migliaia di pagine per ogni settore, dalla drammaturgia alla filosofia, fino alla narrativa, quelle lette e quelle scritte, così come suo padre gli ripeteva sempre tenendolo per mano da piccolo. “Non puoi scrivere di un autore – gli diceva – se non hai letto almeno la sua opera omnia”. E lui, da figlio attento, così ha fatto, andando in crisi. Una crisi produttiva, che ha fatto oggi di Gaetano delli Santiuno straordinario interprete del pluralismo. Nato a Vieste nel 1959. Vive a Milano. Opera nel campo della scrittura come poeta, narratore e critico; e in quello delle arti visive come scultore e pittore. Infiniti tocchi cromatici animano anche la sua voce. Sorride, fa pause, riflette, gioca con le parole. E’ una lectio, la sua, senza volerlo. Mentre ti dice diamoci del tu, sembra parli di poesia e di scrittura e invece è già diventata pittura. “Sto lavorando come un pittore. Ogni volta che scelgo un argomento, scelgo le parole e i colori che possono dare meglio quell’effetto. L’idea è di lavorare a livello cromatico e materico, come faceva D’Annunzio. Fu messo all’indice perché la sua scrittura è sensuale, perché parla di sensualità in maniera chiara”. Questo aspetto lo ha appreso consapevolmente o meno – in alcuni tratti è genetica – dallo zio, suo maestro non solo nel mestiere, ma anche a scuola. “Nelle sue opere c’è l’analisi e la ricerca di parole specifiche, lo sforzo di riuscire a toccare la persona, per trovare nella scrittura un aspetto fisiognomico, caratteriale, diverso da quello che si vedeva della persona. Lui costruiva un apparato linguistico particolare per ognuno, non si ripete mai. Lavora sul tema e ogni poesia ha un tema diverso. E se il tema è simile, lui tratta l’argomento in maniera sempre diversa con linguaggio e anche descrizioni”.
Zio e nipote, ma anche padre e figlio, fratello e fratello, fratello e sorella. La famiglia delli Santi determina la formazione di Gaetano. Suo padre, che gli ripeteva di ricordarsi di Giordano Bruno, che glielo presentava sempre come una figura grandissima, e i fratelli, che dalla filosofia al dialetto gli forniscono esempi e stimoli costanti. Ma più di tutti lo zio-maestro che ha dedicato la sua vita alla formazione e alla cultura. “A scuola, in classe ci spiegò come disegnare il faro. Disegnate il filoncino, ci disse, quello che la mamma compra dal fornaio. Poi ci mettete sopra un pezzo di sapone. E poi ancora, sopra al sapone, una candela. Lui aveva una chiarezza d’espressione sconvolgente, come mio padre aveva una capacità oratoria incredibile e mia sorella ha una straordinaria propensione alla filosofia”.
Gaetano delli Santi sta per tornare a Vieste, dopo anni in cui è volutamente rimasto lontano. “Come tutti quelli che abitano fuori, dice, conservo un rapporto di odio e amore con Vieste”. L’ama, per la terra meravigliosa che è. Il Gargano ha un ecosistema in cui c’è tutto. E quel pluralismo territoriale, lui se lo porta dietro e dentro per sempre. “Sono partito da quello e ho sviluppato l’idea di un plurilinguismo portato all’eccesso, all’estremo, attraverso la ricerca etimologica delle parole dall’antichità ad oggi. Dal dialetto del Duecento fino alla contemporaneità, compresi quei modi di dire dei giovani. E molti non hanno capito che non si trattava di parole inventate, ma del ritorno di espressioni dialettali del passato”. Lui stesso insegnante, e frequentatore dei mondi giovanili, oggi ricorda con il sorriso i suoi periodi da studente, quando era lo zio il suo maestro, per tutte le materie. “Mi diceva che dovevo essere ancora più attento degli altri, perché ero suo nipote e a quei tempi si usava ancora la bacchetta. Non per punire o fare male, lui la usava per sottolineare a volte comportamenti scorretti e io, una sera, insieme ad altri compagni, sono entrato a scuola e abbiamo fatto un blitz per rubargliela”. Il dialetto di Vieste e Peschici, il dialetto che cambia in pochi chilometri e che è influenzato da francese, inglese, greco, spagnolo, latino, croato è un groviglio di lingue.
“E’ come la nostra Foresta Umbra”, dice, a sottolineare la corrispondenza fra paesaggio e produzione linguistica. “Vieste l’ho odiata negli anni 70, quando da ragazzo ho visto gli scempi sul piano dell’urbanistica, l’esplosione economica arrivata con le strutture ricettive, quando ognuno pensava al suo piccolo orticello da coltivare. E invece chi ama la sua terra, la deve lasciare ricca di persone buone, di principi onesti.
Le persone erano intelligenti, volenterose, lo ricordo che alle quattro del mattino ascoltavo il rumore degli asini e dei muli che andavano in campagna. Era una civiltà umana prima di diventare una civiltà spietata, in cui ognuno pensava ai propri affari- ed è in questo contesto che mio zio ha sempre lavorato, mettendo alla berlina, facendo ironia un po’ pesante un po’ scherzosa, attaccando i politici di allora”.
Gaetano racconta di una infanzia umana che si è persa, come è accaduto in tutta Italia, nei posti che hanno dovuto cedere al turismo: “Se non si costruiscono le basi per mantenere una propria cultura, si rischia di perdere l’anima del luogo. Ogni volta che venivo a Vieste e poi ripartivo, mi portavo dietro il ricordo dei tramonti e delle albe vissute di primo mattino, con l’amico di sempre, con cui ci facevamo trascinare dal canotto fino a Pugnochiuso, entravamo nelle grotte e stavamo lì a osservare i colori, il pluralismo cromatico che cambiava col passare del tempo.
E questo mi ha insegnato che noi siamo mondo, che siamo dentro questo flusso, come nella natura, così a livello sociale. Io la ricchezza del Gargano me la sono ritrovata dentro. Osservavo il mare in tramontana, con colori stupendi. E la burrasca, che ispira e mostra il sublime delle opere dei romantici. Quel mare, che anche quando è calmo, mi lascia immaginare una vitalità enorme sotto di esso. Ecco, io quello ho voluto creare a livello letterario. Un contesto etimologico in cui una parola sembra semplice, come un mare piatto, ma sotto ha una vastità di vita e di contenuti da scoprire”.
Lo sguardo sul sociale e la scelta di non scrivere di se stessi, la condivide con lo zio.
“Lui ha dedicato la sua vita a ritrarre personaggi, ridicoli, che facevano giochi sporchi, piccole furbizie nella comunità di Vieste. E li ha messi alla berlina come lui sapeva fare, elogiando invece il povero, il pezzente, il sofferente, l’abusato. E lo faceva con un linguaggio così ironico che
poi quei personaggi te li fa amare lo stesso. Usava la rima baciata ed era una filastrocca, proprio come faceva da insegnante a scuola, quando ti chiamava all’interrogazione e diceva il tuo nome accompagnato da una originale terzina che raccontava tratti della tua personalità o il tuo stesso modo di stare in classe”.
Il riso. Il sorridere è ancora oggi elemento sociale, battuta di spirito che ti porta a guardare fuori da te.
“I nostri esperti di letteratura sono innamorati di coloro che parlano di se stessi e quelli ci propongono a scuola. Noi su questo siamo diversi, lo, zio, mio fratello ninì. E’ un tratto di famiglia. Ci rivolgiamo a noi, come individui che vedono l’altro fuori da sé. E questo sguardo rivolto verso il mondo è quello dovrebbe avere ogni uomo per conoscere se stesso. Siamo esseri sociali e per questo dovremmo avere rispetto verso gli altri e amare anche il diverso. L’idea è che uno sguardo sul mondo e sul sociale mi aiuta a conoscere me stesso. Non è isolandoti che interiorizzi chi sei, ma solo stando insieme perché crei l’opportunità del confronto. E il pluralismo più forte e determinante è quello che ho subito dalla mia terra”.
Ora quella terra è cambiata ancora: “Ho passato questi giorni in pensiero. Non ci vado da diversi anni e ho sofferto quando ho visto degli stravolgimenti, fatti anche per incapacità sia professionale che politica, luoghi stravolti dal cambiamento che ti fanno riflettere su quello che c’è oggi e quello che c’era in passato, lo credo nella trasformazione, ma che sia accompagnata da una maturità sociale. Il turismo porta anche questo.
Porta a cambiare la mentalità in vista anche di concetti come guadagni più facili. Per me è ancora una ferita che si dilania.
Ma sono ottimista perché vedo segnali che mi fanno dire che c’è una maturità nuova, più attenta e consapevole. Che ci sono persone e associazioni che hanno capito che bisogna conservare una memoria della propria terra, non bieca, né ricurva su se stessa”
tommy guerrieri
l’attacco