Menu Chiudi

ALLA RICERCA DI ADRIA, ALL’ORIGINE DEL NOME DEL GOLFO ADRIATICO

         La tradizione vuole che Adria sia stata la metropoli di una grande terra, o di una grande isola sprofondata sul fondo del mare che da essa prese il nome, l’Adriatico, e della quale le varie isole (Tremiti, Pelagrosa, Lagosta Meleda, ecc.) si identificano con le sue cime più alte (Del Viscio. Uria). Come Adria pure Vieste col nome di Uria sprofondò nel giro di una notte e un giorno proprio come avviene per la Troia di Omero, l’Atlantide di Platone e altre città continentali tra cui la mai più trovata omerica Scheria capitale del Continente Apeira, ora definito introvabile.

Complice sia Strabone quando scrive (Italia, V.1,8) : “Dicono che Adria fu città illustre, che diede anche il nome al Golfo Adriatico, con un piccolo cambiamento” sia la perdita della memoria dei Veneti sulla sacralità della loro città di origine dalla quale, per un destino comune a tutti i popoli remoti e non furono costretti da successive ondate migratorie a spostarsi sul suolo italico (Seneca. A Elvia) fino a restringersi nell’attuale Veneto (nome proveniente dagli omerici Oinetoi, o Heneti, alleati dei Troiani) e nel Friuli Venezia Giulia (l’ultimo nome deriva dall’omerica Ilio, come pure da Iulo, figlio di Enea), alcuni editori, dando dimostrazione della superficialità con cui è stata redatta la storia remota dell’Italia, e non solo di questa nazione, hanno creduto di interpretare Strabone identificando Adria con la cittadina veneta di Atria (Ediz. Bur), che in realtà, dista 5 km dal mare e che non ha potuto assolvere alla funzione di punto di riferimento geografico e marittimo.

La tesi di Atria, del tutto errata, è stata supportata dal silenzio dei Viestani, un popolo che, proprio per l’arrivo di continue ondate migratorie nel loro antico porto naturale del Pantanella, ha perso la continuità delle sue memorie con una involuzione che bene si sintetizza con la loro attuale confusione tra il:

1- <Pizzomunno>, che indica la remota funzione storico-geo-demografica di angolo, di origine, di atlante del mondo della città di Vieste e toponimo presente negli omerici abitanti di Scheria, Feaci, che Nausica descrive come abitanti che vivono lontani, isolati (non isolani), separati nel mare grandi flutti dell’estremo del mondo, da cui Vieste come Pizzomunno;

2- e il <Puzmume>, che dal greco pougx-momos è un bastione smisurato marchio d’infamia vomitato da Poseidone perché, a suo dire, i Feaci, ora Viestani, erano navigatori superbi.

        A tale involuzione ha giocato un ruolo determinante la particolare marginalità geografica e culturale degli antichi Viestani; un fatto che li ha resi incapaci di rivendicare ad alta voce la loro importante e infinita storia di remota metropoli (= città madre, che è lo stesso di città Pizzomunno) tanto che la loro città, oggi Vieste, ancora nel 1800 viene indicata come <la perduta> dal Gregorovius e la <sperduta del Gargano> dal Beltramelli nel 1907 e da un certo D.O..

Ciò premesso, va detto che in realtà il piccolo cambiamento di cui scrive Strabone non riguarda la permuta della d presente in Adria con la t presente in Atria, poiché del nome Adriatico:

1- il suffisso tico è la forma contratta del verbo greco ticto: origino, do alla luce, genero;

2- prima ancora del latino Adrias, la radice Adria deriva dal greco adros: forte, fertile, prospero. Anche geograficamente per la sua prominenza nel mare. I primi a citare il Golfo Adriatico sono stati Erodoto, cinquecento anni a.C., Tolomeo e Strabone nel primo secolo a.C. che indicano Vieste come punto di separazione del Golfo Adriatico con il mare Ionio, che parte già dagli omerici Feaci abitanti della capitale del continente Apeira, Scheria dalla quale, Omero e per bocca del suo re Alcinoo, padre di Nausica, nel presentare il naufrago Odisseo, divideva in due lo stesso mare in gente esperion: (Occidentale, ora Golfo Adriatico), da cui l’Esperia per l’Italia, ed in gente eonion: (Orientale, ora Mare Ionio);

3- con il nome romano di Maris Superius, l’Adriatico si identificava con il mare che nasceva sopra il punto in cui si doppiava un capo, ovviamente marittimo e non terrestre, oltre tutti gli altri significati comuni sia ad adros, sia a superius tra i quali si evidenziano quelli di prospero (anche geograficamente), forte, fertile e, se riferito a persona, matura.

Di Adria e del suo territorio si sa poco perché il suo mitico affondamento (il mistero si risolve pensando anche a un affondamento in orizzontale nel mare da cui la prosperità) di questa città e della sua terra altro non è che una palingenesi di Uria per Vieste, in virtù della quale essa risorge con nomi diversi, a seconda dei popoli in essa approdati e da essa via via adottati cambiando di volta in volta il suo nome, ma città il più delle volte identificata con analogo significato a quello di Adria come città forte, che è presente in fes di Festi e ves di Vesti, o Vesta, o Veste, e forza che si trova nel significato del suo Montarone.

Quale era allora l’Adrias romana che si trovava sul capo marittimo da cui originava il Golfo Adriatico? Lo deduciamo da alcuni antichi documenti che sono i seguenti: nella sua relazione <ad limina> il 6 Maggio 1752 il vescovo viestano N. Cimaglia scrive: “la città (che) ora (è detta) Vestana .. è situata .. alla bocca del mare Adriatico” (Spedicato). Questa identità di Vieste direttamente con la bocca dell’Adriatico non è altro che quella più recente. La più remota risalirebbe al suo abbandono da parte di quelli che si identificarono col nome di Celtici, come tramanda Seneca (A Elvia). I Celtici, infatti, hanno il nome formato dal greco kella, bocca, e dal tico, origino.

L’identità di Vieste con la bocca dell’Adriatico, quindi con Adria e con buona parte degli altri nomi citati per lo stesso punto geografico, è tanto più vera se consideriamo ciò che di essa scrivono alcuni antichi scrittori, che non sono tutti. Il matematico-geografo Strabone (Italia. VI.3.8): “il Gargano, che si protende verso levante per 300 stadi. Doppiando il capo del promontorio si incontra la piccola città di Ourion, (..). Tutta questa terra è fertile e produce ogni genere di prodotti“; Tolomeo (Geografia): “nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40 Monte Gargano 42,20,41. E adiacente (juxta) il mare Adriatico, Hyrium”; Polibio (Storie II.14,4-5): “L’Italia nel suo insieme, ha la forma di un triangolo e il lato che si piega verso oriente è delimitato dallo <Stretto Ionico> e subito di seguito, dal Golfo Adriatico“. La differenza tra i predetti numeri, che sono le coordinate geografiche di cui nessuno si è accorto prima, riferiti al Gargano e al suo capo Uria di Strabone, é la stessa di Apeneste e di Uria adiacente il Golfo Adriatico di Tolomeo, fanno scaturire i 300 stadi di Strabone, cioè i circa km 50 della prominenza nel mare del capo del Gargano identificato come Apeneste di Tolomeo che situa Uria adiacente il Golfo Adriatico; Platone (Crizia) scrive: “E per fermo (è l’identità di Vieste come puntello di navi, terminale marittimo dello Stretto Ionico. Vieste col nome di Estia (sacrario, santuario), o Istia, che dal greco isthemi = fondamento, statua, sisto ), quel tanto mare che è dentro alla bocca (lo stesso di Stretto Ionico di Polibio) della quale favelliamo (Uria all’origine del Golfo Adriatico), è un porto dall’entrata stretta a vedere (il Pantanella viestano); ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare (il mare Ionio) e continente la terra che lo ricigne (il Pantanella, all’origine dell’omerico continente Apeira: aperta, che è lo stesso dell’attuale Europa: vasta vista)”, ricordando Vieste come Pizzomunno e che ugualmente P. Mela tramanda <l’entrata stretta e difficile del porto “incinto” dalla continuità del litorale apulo (= greco òuròs), di nome Uria>, cui danno sostegno molti altri riferimenti letterari che qui non è il caso di presentare. L’entrata stretta di questo porto viestano compare in alcuni porti dell’Odissea di Omero, in particolare con quello dei Lestrigoni con la fonte Aretusa e il trascinamento al suo interno della nave di Odisseo e compagni. Oltre il punto di vista geografico, vi è anche un dato mitologico che collega Adria sia all’indoario Uria, forte, prospera in quanto miticamente Oria è una fanciulla matura, pronta per il matrimonio, ma non ancora sposata, che poi è la principale prerogativa della dea Vesta; l’Uria greca è anche una bocca, un alveo con canale per trarre le navi da e per il mare. Il nome di Vesta, che ha nel suffisso ta-te il significato di estremità e nella sua radice indeuropea ves il significato di cinto, incinto, fortificato: da rupi, come è fin troppo evidente per il Montarone e per l’òuròs di Uria per Vieste.

Premesso che Adria ha in comune con Uria quello sprofondamento nel mare che si transla nella leggenda della bella fanciulla viestana, amata dal bel pescatore, la quale viene incatenata (cinta con la forza, incinta) sul fondo del mare per l’invidia delle sirene (Beltramelli), si evidenzia che c’è una identità comune ad Adria e Uria pure nella fertilità della sua terra viestana e garganica

1-Strabone (Italia, VI. 3,8), oltre a ricordare un piccolo fiumeche guarisce tutte le malattie del bestiame”, che scorre ai piedi della collinetta di Drion (nome greco, poi latino trio-onis: toro), posta alla sommità (= estremità del triangolo garganico) della Daunia, il quale fiume è da identificare con il fiumicello del Pantanella, che scorre ai piedi del Montarone (dal greco moun-taurone: peduncolo isolato dalla forma di corna di toro possente) viestano, la cui punta di destra, guardando il mare, conserva tuttora il toponimo di Trione: toro, ma anche per altri motivi. Strabone, citando il Gargano (ivi 3,9), scrive che “Tutta questa terra è fertile e produce ogni genere di prodotti; inoltre è la migliore per l’allevamento dei cavalli e delle pecore” e infine aggiunge che (ivi. VI.3.11: “In tempi precedenti, dunque, l’intero paese era prospero, ma fu poi devastato da Annibale e dalle guerre successive”;

2- Polibio (Storie, III. 86, 8-9-10), scrive: “Annibale, ormai certo del successo finale, per il momento rinunciò all’idea di avvicinarsi a Roma; durante la marcia si diede a saccheggiare indisturbato la regione, dirigendosi verso l’Adriatico. Attraversò quindi il territorio degli Umbri e quello dei Piceni, e al decimo giorno giunse sulla costa Adriatica” (ivi III. 87,1) “A questo punto si accampò vicino all’Adriatico, in una zona particolarmente ricca di prodotti di ogni genere, e si dedicò con grande impegno a ristorare e a curare tanto gli uomini, quanto i cavalli “ (ivi 87.3); “In questo frattempo inviò anche a Cartagine, via mare, dei messi per far sapere quanto era successo; e questa fu la prima volta che toccò il mare, da quando si era mosso per invadere l’Italia“(III. 87.4): “Perciò, una volta occupata questa fertile regione Adria fu distrutta da Annibale (ivi III. 88,3) dopo che “In questa stessa città sostò per ritemprare uomini ed animali, colpiti dalla scabbia della fame” (ivi III 88,2). Il percorso di Annibale, che ha come obiettivo la conquista di Roma, aiuta a capire come Adria non si trovi nel Veneto, ma al di sotto del territorio degli Umbri e dei Piceni. Inoltre, ricordando che Strabone tramanda l’amore meretricio di Annibale nella città dauna di Salapia, l’associazione di Adria con la città principale di una terra particolarmente ricca di prodotti di ogni genere è una ragione in più per affermare che la cura della scabbia degli uomini e degli animali, sulla costa adriatica, nella città di Adria da lui distrutta dopo aver ritemprato uomini e animali, avvenne nel territorio di Vieste e specificamente nel porto del <Pantanella> (che dal greco panta-ne-el-laàs = tutto nave puntello rupe; cioè rupe tutto approdo di nave); da qui dovettero necessariamente partire via mare i messi per Cartagine. Ciò vale anche se l’unica moneta di Cartagine ritrovata a Vieste viene fatta risalire al IV sec. a.C.). Una città di Vieste strategica conosciuta perché protetta da una parte da boschi e foresta, dall’altra dal mare con la possibilità di tante vie di fuga. Ciò che fece pure Spartaco che soggiornò a Vieste per due anni prima di scontrarsi con i Romani nella Battaglia di Canne, secondo E. Bacco e altri). Come quelle delle tante <correnti> viestane tutte salmastre, così pure le uniche acque dolci interne del porto viestano erano rese leggermente salmastre per il loro contatto con le acque marine alla sua foce. Queste acque buone da bere provenivano dalla sorgente della Chiatà, toponimo derivante dal greco kyathos (= ciato, coppa per attingere, coppa, tazza), diventando così per davvero curative per quei tempi, soprattutto per le malattie della pelle detta scabbia. A u Puzze de la Chiatà, o della Biatà, che sta per: al Pozzo della Chiatà o della Biatà, si recavano gli acquaioli femmine e maschi che attingevano acqua che alcuni di loro fino agli anni 1950 vendevano come ambulanti a chi ne aveva necessità. Ma pozzo che venne coperto definitivamente negli anni 1980 per la cattiva abitudine di alcuni ragazzacci che avevano preso l’abitudine di buttare dentro gatti e cani, che dopo la loro inevitabile morte, rendevano imbevibili le acque anche per i cavalli, per i muli e per gli asini che qui erano soliti fermarsi per abbeverarsi in apposite vaschette laterali riempite dai proprietari coi secchi. Ragazzacci che gettavano animali anche nei pozzi delle monumentali fontane anticamente situate una nello slargo di fronte al Municipio, l’altra poco fuori dall’abitato di Vieste che dava il nome alla Via Fontana Vecchia, ora Via Giovanni XXIII, che furono completamente distrutte intorno agli anni 1960. Mentre ora questo pozzo della Chiatà, con a fianco una fessura della roccia nella quale chi andava per attingere acqua lanciava qualche obolo e sulla quale è stata edificata la minuscola chiesetta della Chiatà, funge da terminale di scolo delle acque pluviali che si raccolgono nella vallata della Chiatà che come polla sorgentifera appartiene alla parte terminale del Pantanella. Il fiumicello della Chiatà era già mitico per la guarigione di tutte le malattie del bestiame (Strabone), per sanare il gregge poiché per l’occasione questo fiume viene chiamato pure Filàmo, cioè che cura gli animali (Licofrone. Alessandra). Questo fiumicello, che sgorga ai piedi della collinetta che ha il toponimo di Costa Martino, che dal greco martys diventa il testimonio, era pure conosciuto anche con altri nomi, perchè sanava sia gli uomini dai loro peccati (diventò presto un rito sacro il fatto che quanti sbarcavano nell’adiacente porto viestano si tuffavano nelle sue acque per la gioia, da cui il nome I-talia: isola in fiore, lussureggiante, pronunciato per la prima volta da giovani immigrati) e per lavare le loro lordure sia fisiche e sia morali, cioè dalle colpe del passato da cui iniziare al meglio una nuova vita. Questo risanamento avveniva anche per alcune dèe tra cui Era, che dopo ogni rapporto con suo marito/figlio Zeus, qui si immergeva per ogni volta ritornare vergine. A questa si aggiunge Demetra, che sempre in queste acque salmastre viestane si immergeva per lustrarsi. Infatti Demetra, dea della Terra, è presente come damatira in un’iscrizione su pietra in lingua greca arcaica trovata in un fabbricato rurale sulla collina viestana detta del Carmine dal cui contesto il viestano Petrone traduce con: Porta della Gran Madre Terra (damatira). Acqua Sorgiva. Che, a sua insaputa, si riferisce all’antica funzione di Vieste come Porta della Gran Madre Terra (l’omerica Demetra). Acqua Sorgiva invece si riferisce alle numerose sorgenti presenti nel territorio di Vieste, la quale come Porta della Gran Madre Terra si certifica nel suo toponimo di Pizzomunno, Pizzo del Mondo. L’omerica Demetra, che da De equivalente di Ge, o Geos, o Gaia che a Vieste è presente nel toponimo “La Gioia” che si trova subito dopo il porto del Pantanella; matira è l’equivalente di meter e della latina mater, che porta damatira a Terra Madre, cioè Madre (della ) Terra da cui Demetra come dea della Terra. Demetra viene sedotta da Zeus e in un secondo momento da Poseidone del cui seguito mitologico per opportunità non si aggiunge altro. Il predetto toponimo di Carmine è attribuito alla fiancata occidentale dell’istmo del Montarone ed è la stessa che appartiene alla fiancata orientale del porto del Pantanella visti dalla base del monte. Carmine è un toponimo che la dice tutta di questa antica e poetica Vieste poiché questo nome riassume la funzione di questa città e del suo territorio come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi omerici poiché dall’italiano carme, radice di Carmine, principalmente indica un poema cantato fatto pervenire dal latino carmen a sua volta fatto derivare da canere, cantare, che principalmente significa: opera: quindi un’opera cantata, cosa che avviene per i poemi omerici raccontata da cantori. Il verbo latino carmino, proveniente dal greco carmina, indica il mettere in versi; in senso assoluto: poetare (del fantasioso Omero). Il greco karma indica: gioia, letizia, giubilo, soggetto a letizia, mentre il greco karme, proveniente da kairò, significa: ardore bellico, cioè battaglia, pugna, combattimento, zuffa. Significati che riassumono l’appartenenza a Vieste del contenuto della guerra di Troia nell’Iliade come pure nell’Odissea, poemi scritti da Omero che li fa cantare da personaggi da lui inventati. Per Scheria, il cieco cantore Demodoco: il venerato dal popolo, poi da tutti scambiato con il del tutto vedente poeta Omero; per Itaca il cantore è Femio: il famoso; per Argo il cantore è anonimo. Ma città che sono sempre Vieste, che finora soltanto dallo scrivente è stata accertata come patria del loro autore Omero. Sulla collina del Carmine esisteva la strada vicinale, ora comunale, di (S.) Margherita che si prolunga con il Viale XXIV Maggio, zona anticamente definita Sope la Rene, Sopra la Rena, derivante dal toponimo viestano di Renazze, che indica una terra frammista a sabbia incrostatesi, detta in viestano crusca, in italiano crusta, che viene fatta risalire dai geologi a cinque milioni di anni fa e che si trova su questa parte iniziale del roccioso Montarone. Ed è la stessa crusta che Diomede avrebbe voluto tagliare scavando un canale per rendere la falsa isola di Teuthria (altro nome del Montarone viestano) che dal greco teuthrion è: biancastro, bianco antico, canuto, una vera isola ma che non riuscì perché morì, venendo seppellito sull’isola disabitata chiamata Diomedea che è l’isoletta di (S.) Eufemia, o del Faro viestano, secondo i racconti di Plinio, Strabone e altri. G. Pisani (Platea del reverendo capitolo) scrive: “causa di piogge abbondanti numerosi blocchi di pietra lunghi 10 palmi, larghi 4 palmi e alti (spessi) 2 palmi sono comparsi nel 1666 fuori la Porta di Basso, che è quella esistente all’entrata della piazza di “mizze u Fusse”, di Mezzo al Fosso, unitamente a “un fondamento bellissimo di muraglia”. Su questa Renazze, T. Masanotti (Vieste 1734-1895 e Ode Alla Patria Vieste del 1848) scrive che: “per gli scavi fatti per vigna da Nicola Martino dal 1800 in poi, verso il convento (che si trova sul fianco della chiesa del SS. Sacramento detta pure “chjèse du Cumménde”, chiesa del Convento)fino alla chiesa di S. Maria delle Grazie, anticamente detta delle Misericordie (ma ora detta pure della Madonna della Libera); tratto del gran canale, che congiungeva le acque dei due mari dall’Est all’Ovest di Viesti (tratto che viene fatto derivare dalla notevole distanza tra queste due chiese tra le quali, per una più attenta considerazione data l’avvenuta estenzione del centro urbano, compare tuttora un dislivello di alcuni metri che si trova tra l’origine del Montarone e l’adiacente Renazze), un accatastamento di pietre di varie dimensioni, le più grandi di palmi 10 lunghe, 2 di fronte, e 4 di testa; mostrando tutto questo oltre di essere stato ivi una banchina marittima, anche fortificazione rimpetto alla terra opposta, ed al mare a mo di baluardo“, Resti di mura del porto e della città fatte di pietra ben squadrate furono messi in luce durante lo scavo delle fondamenta dell’attuale Pensione S. Giorgio che si trova in vicinanza della chiesa di S. Maria delle Grazie, o della Madonna della Libera. Su alcuni di questi blocchi erano visibili le bitte per l’ancoraggio delle navi: altro segno che, insieme con le bitte presenti sulla roccia ora interamente divelta per fare posto all’Hotel Bikini, su questa parte del Montarone esisteva un secondo porto, come appare nell’omerica Scheria. Massi con le predette dimensioni sono venuti fuori intorno all’anno 2000 durante lo scavo delle fondamenta per l’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo, situato sulle Renazze, sul cui fianco sono tuttora accatastati. V. Giuliani. (Memorie storiche di Vieste) scrive: “Acciò che la città avesse potuto maggiormente difendersi, si conosce evidentemente dalla parte del mezzogiorno un incavo, per mezzo del quale si univano le acque del mare e la lasciavano come un’isola. Al di sotto del Castello, di rimpetto alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, anni sono si scavarono molte pietre grandi ben lavorate, e si riconobbe di essere stata ivi la porta principale della Città, con essersi ritrovato un ferro ben lungo, per mezzo del quale serravasi. Distrutta la Città cadde dalla porta il ponte, per cui davasi l’ingresso; l’incavo si è riempito col tempo di arene, e si è tolta la comunicazione alle acque del mare. Tale incavo certamente dové essere quella fossa, designata da Diomede, per spartire il braccio dal resto del monte, acciocché entrandovi le acque marine, ne risultasse un’isola“. Secondo l’Odissea da questa porta principale e seduti su un carro entrano in Scheria Nausica e Odisseo, provenienti dalla prima corrente e attraversando la località “Scanzatore”, che da Scanz-(z)a-toreyo diventa: un luogo, in questo caso marittimo (il palcoscenico) per mezzo del quale far sentire la voce alta, che venne fatta da tutte le ancelle, compresa Nausica, perché la palla con cui giocavano in attesa che i panni lavati e stesi al sole sulla sabbia si asciugassero: Voce alta che servì a svegliare Odisseo, tramortito dall’ultima ondata di Poseidone, che giunse presso la foce della prima corrente viestana.

3- Il toponimo di (S.) Margherita proviene dal greco margaridés, o margarités equivalente di margaron che significa margarite o perla; margaron è una parola orientale che significa margarita, perla; margaros è una conchiglia margheritifera che è lo stesso di perlifera, che quindi conduce a una borchia (la conchiglia) sulla quale si attacca la perla che viene rappresentato dal Montarone e dalla polla sorgentifera del Pantanella. Il latino margarita conferma il significato di perla. Un fatto che legittima Vieste anche come la vera, unica ed etimologicamente testimoniata perla del Gargano e ora pure del turismo, anche perché Vieste è la città situata alla sua estremità, come avviene per la perla nella confezione degli anelli. Un titolo ora ambito in modo del tutto errato anche da alcuni giornalisti che si ostinano a identificare come perla del Gargano e del turismo pure la bella cittadina di Peschici, nata storicamente nell’anno 1000 in territorio antecedentemente anche viestano. La naturale bellezza di Peschici consiste soprattutto nella sua posizione geografica che permette ai Peschiciani e suoi visitatori la vista di una rosseggiante aurora per via del sorgere del Sole dal mare nei mesi estivi e che al suo tramonto tinge di rosso il Cielo scendendo oltre l’Appennino con la nitida vista della Maiella e del Gran Sasso che si stagliano con le loro cime imbiancate di neve. Uno spettacolo naturale che non è godibile ai Viestani e che rimane talmente impresso che dopo averlo osservato nessuno può mai più facilmente dimenticare.

4- E. Bacco nella (Descrittione della città di Vesta) nel 1646 scrive: “Ha il suo territorio fertilissimo & ripartito dalla Natura in piani e colli con mirabile simetria; & per industria è adornato d’alberi fruttiferi in gran copia & in particulare d’olive & viti di tanta perfezione, che si togliono il vanto ai vini & ogli più celebrati da gli antichi (.) Ha  l’aria perfettissima e  molto salubre; perilchè le donne particolarmente sono assai belle, & hanno una venustà naturale molto notabile: Tiene anche  leggerissime acque e sane“;

5- Il Giuliani (Memorie Storiche di Vieste) fa quadrare il cerchio e risolve il binomio Adria-Vieste, quando scrive: “Fertilissime sono le Vestane campagne, e di bellissime piante adornate (..) Così facilmente e non in altro senso, alcuni alludendo alla nostra città, dal suo territorio che senza coltura frutti produce, l’hanno detta Vesta edificata da Noè“.

       Ciò legittima a pieno titolo, ma solo nella versione biblica, la tradizione di Vieste come luogo di origine, di angolo, di atlante, di telamonio, del mondo (nuovo) finora celata, ma che è presente nella funzione e identità del viestano Pizzomuno da identificare esclusivamente con il suo Montarone, giammai con il suo bastione chiamato Puzmume, che è un monumento vomitato da Poseidone sul fianco della città dopo l’accompagno di Odisseo a Itaca (sempre Vieste) per ammonire i Feaci a non dare più accompagno a nessuno. Il Puzmume, miticamente è un simbolo contro le maldicenze poiché il dio greco Momo, presente nel suo etimo finale, fu cacciato negli Inferi dagli altri dei che venivano spesso derisi da lui anche nei banchetti.

Sulla fertilità degli orti viestani esiste ancora una vasta letteratura. Troppo per il nostro caso.

Prof. Giuseppe CALDERISI