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STORIA DELLA MYRINA DI OMERO E DEL SUO ALTARE A VIESTE, CITTÀ SUA INCONTESTABILE PATRIA

 Il geografo e storico Strabone (Italia. V.2,10) scrive: “La Tirrenia confina nella parte più orientale con l’Umbria che inizia dagli Appennini ed ancora più oltre fin dall’Adriatico. Cominciando da Ravenna, gli Umbri occupano il territorio vicino, vale a dire, procedendo con ordine Sarsina, Ariminum, Sena, Marinum“. Premesso che il fin dall’Adriatico sta per il punto da cui esso nasceva, cioè da Vieste, città di divisione di questo mare in due già con il sentiero dell’Ellesponto di Omero e poi certificata da Tolomeo come città di confine tra il Golfo Adriatico e il Mare Ionio, c’è da precisare che mentre Ravenna, Sarsina, Rimini e Senigallia sono città facilmente individuabili, molto meno lo è la già distrutta città di Marinum, ora Merino, cioè Vieste.

Tant’è vero che la traduttrice del testo di Strabone individua, sebbene con qualche dubbio, Marinum con Camerino anche se nel seguito di questo testo viene citata come Camerte. Questa Merinum, che si trova fin dall’Adriatico, sostituisce Vieste in una mappa (Supplemento de <Il Sole 24 ore> del 24.07.95) dei Fari del Mediterraneo del Mondo Classico, periodo relativo  al VI-V sec. a.C., e in una mappa dell’Italia del periodo dell’imperatore a vita Augusto (-44 a.C. +14 d.C.) sulla quale appare Merinum come unica città del promontorio del Gargano e le Isole Tremiti, sebbene in numero di cinque, chiamate erroneamente come Isole Diomedee, che invece sono il disabitato Scoglio viestano, tomba di Diomede, e il viestano Montarone, toponimo di origine greca che da moun-taur(o)-one(m) è un peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di corna di un toro possente, che è l’isola abitata delle due Diomedee poiché su di esso poggia il centro storico di Vieste, chiamata da Strabone col nome di Teuthria per il colore biancastro calcareo delle sue rupi, che Diomede avrebbe voluto tagliare creando un canale, sull’istmo, per farla diventare una vera isola, ma che non riuscì a realizzare per la sua sopravvenuta morte.

L’isolamento del Montarore se fatto provenire dal greco monios serve a qualificarlo pure come una troia, C’è da precisare inoltre che, secondo il vocabolario greco Rocci, l’isolamento del Montarone e di Teuthria, da teuthrion equivale all’essere teucro da cui i Teucri per Troiani che spiega pure la postuma venerazione di Diomede dagli alleati dei Troiani Oinetoi, Veneti, per questo loro acerrimo nemico.

        L’altro nome di Marinum sostituisce Vieste nelle mappe aggiornate del Regno di Napoli del 1721 perché anche con i nomi di Merinum e Mirinum indicano sempre la stessa Merino (sac. Della Malva), città sepolta dal fango ad esclusione del suo soprelevato antico altare, o sacrario, o tomba, che si trova nel greco sema nell’Iliade e che Omero situa su una collina bassa davanti alla città di Troia. Che è il poggio, o tumulo, o cumulo,in dialetto viestano “U Munduncidde”, situato analogamente alla descrizione di Omero proprio davanti alla distrutta città di Merino.

Sul quale Munduncidde la processione prioritariamente tuttora si ferma prima di spostarsi alla chiesetta dedicata a Santa Maria di Merino per la celebrazione della Santa Messa. Da sopra questo poggio, o cumulo, o tumulo, secondo Omero, i Troiani, gli Eneti e tutti i loro alleati aspettavano gli Achei per l’ultima battaglia (iliade. II,811 e seg.).

Da questo Munduncidde il sacerdote tuttora impartisce la benedizione per una più favorevole attività marinara e per calmare le acque del mare perché la statua della Madonna, l’omerico Palladio, viene portata a mano all’andata sulle spiagge col viso rivolto al mare. A questa benedizione segue quella per una più favorevole produzione agricola, in particolare per il grano le cui spighe sono ormai mature e quasi del tutto disseccate e soprattutto per la vite, che dalla prima decade del mese di Maggio, conosciuto come mese Mariano perché dedicato a Maria, ha cominciato a germogliare e da cui l’uva e quindi il futuro vino, che fin dai primi tempi veniva e viene tuttora consumato per dimenticare, liberarsi, dai mali del mondo se bevuto in una certa quantità, e che viene pure bevuto dal sacerdote nei riti sacri, poiché la stessa statua di (S.) Maria di Merino al suo ritorno a Vieste, nella stessa giornata, viene portata a mano con lo sguardo rivolto verso la terra sulla strada vicinale detta di (S.) Maria di Merino, ora strada provinciale Vieste Peschici.

       Marinum, Merinum e Mirinum sono nomi provenienti dall’indeurpeo Ma-ri-amne, o Ay-mari, detta in aramaico Mariam, che è il nome della SS.ma Vergine madre di Cristo, poi Marianne, Mirinna, l’omerica Myrina (A. Morelli. Dei e Miti), l’ebraica, latinae italiana Maria (Enc. Rizzoli Larousse, v. Maria), quindi Marianna e ora direttamente con la remota regina del Cielo col nome Luna adottato per alcune ragazze dell’Italia settentrionale, ma che in origine significava <La Gran Madre Fertile> che come Madre Terra è presente nel toponimo viestano la Gioia, nome proveniente da Gaia, o Gea, o Ge e/o De presente nell’omerica Demetra, Dea della Terra, che sta nel significato del greco de-meter presente a Vieste come damatira scritta in greco arcaico su una pietra. La divina Mariamne, o Ay-Mari veniva venerata dai popoli indeuropei in tutte le regioni del Mare Mediterraneo orientale e fin dentro il Mar Nero già da 8000 anni a.C., ne è prova l’esistenza di una città Ucraina vicina al Mar Nero di nome Mariupol: città di Maria. Il che significa che oltre la più antica miniera di selce trovata a Vieste in località Defensola, datata da archeologi dell’Università di Siena a 6000 anni a.C., che dimostra la presenza di una vita industriale e commerciale a Vieste almeno da questa data, ma che da 8 millenni a.C. c’era già una vita religiosa dovuta alla venerazione di quella che intorno al 1000 a. C. divenne la Myrina di Omero. Poiché Vieste, figlia del Greco, quindi pure Greca, è di fatto la città Magna Greca che ha esteso il nome a tutta la Magna Grecia, laddove il magna sta innanzitutto per grande, maggiore, antica per età, più antica, anche perché originariamente per greco si intendeva tutto ciò che si trovava sul percorso del Sole nel giorno del solstizio d’Estate, tutto il resto era considerato barbaro, In questo giorno a Vieste (figlia del Greco) il Sole si vede nascere frontalmente e in linea diretta verso Oriente, proprio da dietro la punta occidentale dell’isoletta del Faro, detta sia di (S.) Eufemia. la bene famosa: perché ricca di fama, a cominciare dalla sepoltura di Diomede e finire ad altri numerosi fatti che oltre una tomba diventa pure una nave, per l’ideale trasporto delle divinità e dei popoli migranti, e una culla per l’origine, o angolo, o atlante, o pizzo, della vita a cominciare dagli dèi e finire ai popoli; sia col nome di (S.) Eugenia, la ben nata che, per le precedenti identità significa l’origine (gr. genea) di tutto il restante territorio e dei popoli, a cominciare dagli Euganei, cacciati da Vieste dai Pelasgi (Plinio III.8,50), e finire a tutti gli altri popoli italici ed europei, testimoniato da Seneca, anche perché è pure il toponimo del corno di sinistra del Montarone, se guardato da monte.

 L’attuale quattrocentesca statua lignea della vergine di S. Maria di Merino, nome ripetitivo, ora identificata come l’Oreta, che secondo la Chiesa significa “impetrata” dalle preghiere, ma che in realtà si trova nel verbo greco oraò di Oreta, che offre qualche altra possibilità di interpretazione, potendo l’impetrazione rappresentare più realisticamente l’estremità (ta) del monte (greco oreios) o meglio ancora se da Oreia che oltre il significato di monte porta direttamente a Oria, altro nome di Vieste situata sul Montarone e all’estremità del monte Gargano e anche perché le greche Oriadi sono le ninfe dei monti.

Ma che da oria (da oros) porta a un confine, estremità, che equivale alla personificazione del Montarone come confine, o pizzo di Pizzomunno, la cui verginità si trova di fatto nei nomi greci di Vieste come Estia, o Istia, nella romana sempre vergine Vesta, mentre il tempio della altrettanto vergine perenne Minerva, di cui scrive Virgilio, si trova tuttora sulla sommità del Montarone in riferimento specifico all’attuale Cattedrale.

Nella sua attuale statua la singola Vergine Maria di Merino è inginocchiata su una gamba, mentre l’altro ginocchio è sporgente. Un atteggiamento che sintetizza la sua impetrazione dalle preghiere del popolo perché nei tempi remoti alle ginocchia degli dei si gettavano e si rivolgevano gli uomini per chiedere la grazia. Ne è prova il racconto di Omero su Odisseo che, una volta approdato a Skeria, nome che dall’indeuropeo sker significa approdo nei due remoti porti viestani, in particolare nel Pantanella di cui si dirà di più e nella quale Skeria, secondo Omero, gli Dèi si mostravano visibili. Odisseo si rivolge ai regnanti di Skeria (Odissea. VII, 142 e seg.) per implorarli nel modo seguente: “alle ginocchia d’Arètè gettò le braccia Odisseo … alle ginocchia tue vengo dopo molto soffrire … e a me date accompagno, che in patria io ritorni presto, perché da molto, lontano dai miei, soffro dolori”. Le lodevoli referenze dell’omerica Arètè, regina di Skeria, si trovano nel greco aretè con qualità che potrebbero essere comodamente trasferite alla Myrina in quanto Oreta. La mano sul petto della vergine Maria di Merino indica la presa a cuore, l’accettazione della richiesta di grazia per tutto il popolo, mentre con l’altra mano aperta verso il popolo è il segnale tranquillizzante di voler mantenere fede agli impegni assunti con le preghiere.

Dalla estensione di Myrina l’Oreta nasce la Madonna di Loreto che dà il nome alla città di Loreto nella regione detta all’origine La Marca, ora Marche, in cui si trova pure la Repubblica di S. Marino, nome derivante direttamente da Marinum, o Marino, cui si aggiunge la comune venerazione di Venere Sosandra a Vieste e ad Ancona (Catullo), la presenza dei bianchi titanici bastioni calcarei di S. Marino, simili alle ripe del Montarone e della falesia del Monte Cònero, dal cui gomito simile, anche se in forma ridotta, a quello della Mancine da dove originava l’antico porto viestano,si trova nel greco agcona, l’attuale Ancona, e motivi del nome La Marca nel senso di regione con segni viestani più marcati, anche perché per Strabone era una regione Umbra per la presenza di Sena per Senigallia. Umbria (gr. Ombricoi, da ombreò) che etimologicamente è lo stesso di Uria (gr. oureò) per la comune emissione di acqua, quindi regione Viestana.

La prova evidente della parità di significato tra S. Maria l’Oreta e la Madonna di Loreto si trova nel sacerdote Della Malva che, confortato da documenti, scrive: “Antonio da Montecatino, datato 12 Settembre 1480, da cui risulta che i Turchi di Acomàt Pascia, dopo il sacco di Vieste, andarono alla chiesa di S. Maria di Marino, dove vi era una devozione come a S. Maria da Loreto, e la bruciarono. Il Della Malva aggiunge che il suddetto: “Antonio per farsi capire meglio paragonò la devozione di cui godeva S. Maria di Marino a quella della Madonna di Loreto, Si narra poi che il miracoloso trasporto della casa (cassa!) sulla collina da parte degli angeli, secondo la popolare versione della Relatio Teramani, scritta da Pietro di Giorgio Tolomei, da Teramo, e risalente al 1472, avvenne nel 1295.Il nome Loreto, secondo due versioni ufficiali, deriva o da un bosco di lauri circostante il sito, oppure da Loreta, la proprietaria del fondo su cui venne posta la chiesetta” (l’esistente nome Loreta già serve ad identificare la Madonna detta l’Oreta con quella di Loreto). Anche perché, prosegue il Della Malva nel racconto sulla Madonna di Loreto: “Il santuario attuale venne costruito a partire dal 1468 e la sua edificazione durò giusto un secolo, fino al 1568”. Inoltre c’è una leggenda raccontata dall’Ecclesia di Vieste, che per alcuni secoli fu l’unica città diocesi dello Stato Pontificio, di cui tre Papa: Clemente II, Leone VI e Gregorio XIII furono eletti quando si fregiavano di essere Vescovi di Vesta, e che in una mappa del Gargano esposta nella Galleria degli Uffizi viene risaltato un Mo(n)tonello, il viestano Munduncidde, che è il poggio, o cumulo, o tumulo, identificato da Omero come la tomba, o sacrario, o altare della molto balzante Myrina e, quindi, un titolo esclusivo che nasce dalla remota presenza a Vieste dell’altare di S. Maria di Merino in quanto madre di Gesù, suo unico figlio.

L’essere Gesù unico figlio di Dio equivale all’essere solitario, isolato che si  trova nel greco ia: unus e, quindi, nella lettera <I> all’origine di Iesus, come pure nel greco monos da cui il monios del Montarone, che oltre ad essere identificato con i mitici Pilunno,Portuno, Orione che accecato prima dal vino e alla ricerca di Eos con l’ultima pedata sul suolo forma il porto viestano del Pantanella e ancora altri personaggi mitici, va visto anche nell’identità di isolata troia che si consolida nel comunicante toponimo di Caprareza di cui si preciserà in seguito. E quindi nel greco yi, abbreviazione di yios: figlio, che col nome di Gesù viene di fatto sacrificato, come capro espiatorio per riscattare i peccati di tutto il genere umano. Un fatto che è stato copiato dal mito greco di Deucalione, figlio di Minosse presente in Omero, e di Pirra, genitori di tre figli fra i quali Elleno, capostipite degli Elleni, alleati degli Achei capeggiati da Achille, ma nome che proviene da elles dell’Ellesponto di Omero che aveva origine da Vieste e finiva alla frontale Tracia, i cui Traci chiudevano l’Ellesponto (Iliade. II, 844). Deucalione e Pirra dopo il diluvio greco di nove giorni durante i quali sono stati sballottati sui flutti del mare, sbarcano sul Parnaso. Monte sul quale Odisseo, per Omero, viene ferito dalla zanna di un cinghiale da cui il nome Ulisse, ferito, quindi il Montarone.

Di fronte alla cui punta, dopo il Diluvio Universale e della durata di quaranta giorni, sempre per essere risparmiati dalla sorte mortale del peccaminoso mondo, secondo la Bibbia, pure Noè e sua moglie Vesta approdano con la loro Arca, l’isoletta di (S.) Eufemia per le loro stesse dimensioni e forma. Qui, subito dopo l’approdo muore la moglie Vesta, che venne seppellita sullo Scoglio, e sul Montarone Noè fonda la città di Vesta in onore della moglie. Da questa isoletta identificata come arca nasce il popolo degli Arcadi, poiché da qualche particolare inerente Vieste nascono, perché passanti, tutti i popoli italici ed europei secondo Seneca. Il restante indeuropeo esus si trova pure nel greco eus con i significati di buono, prode, valente, nobile, oltre i beni, favori, grazie, cose buone. Esus, o Hesus, è il dio celto-britannico della guerra rappresentato da un cane. Da Kristos morto sulla Croce ha avuto origine il Kristianesimo, un’idea giusta se si è pensato alla riduzione delle numerose e venerate divinità pagane, ma Cristianesimo in fondo generato da menti umane che, come sempre, partono inevitabilmente dal Cielo, dal Sole e dalla Luna e loro percorsi, dalla Terra, dal Mare e traendo le conclusioni dalla remota Mitologia.

Le iniziali indeuropee kr portano a degli uncini fissati sulla croce, o ai corni presenti nel Montarone, o a una falce, che può essere quella dei fasi della Luna anche se è quella miticamente usata da Crono per evirare il padre Urano (il Cielo), sposo di sua madre Gea (la Terra), generando i Titani tra i quali: Oceano, Crio: personificazione della forza e della potenza che deriva dal greco crios indicante un cornuto, poi rappresentato da un montone, ma che può essere pure una cornuta Luna rappresentata dalla cornuta Pallade o, per similitudine, a un toro cornuto quale è in realtà il Montarone, e infine genitori degli omerici Ciclopi. Ma kr presente pure in Kristos, nato da Maria, la Luna, concepito dallo Spirito Santo mandato sottoforma di una colomba dall’attuale Dio del Cielo e paternità fatta attribuire al padre putativo Giuseppe che in aramaico sta per “aggiunto del Signore”.

Le lettere kr sono presenti pure nel mitico figlio di Urano (divinità assente in Omero), il Cielo, chiamato Kronos, figlio del Cielo, e dell’onnipresente e immanchevole Gea, la Terra, che partiva dalla località viestana la “Gioia”. Crono, il Cielo, sposando Era, la Terra, insieme concepiscono Estia, remoto nome greco di Vieste nell’identità di casa comune e di santuario della terra per l’esistenza di Myrina, la Luna, e che col nome Istia si identifica come un monumentale sisto, o pizzo, da cui Vieste come città Pizzo del Mondo in ogni direzione; Demetra, la Madre Terra; la sorella e sposa di Crono Era, metatesi di Rea perché sono entrambi divinità sempre della Terra; Ade che nella spartizione del mondo con i fratelli ottenne il regno delle regioni sotterranee e sui morti, da cui l’Ade per il Regno dei Morti di Omero; Poseidone, dio del Mare e Zeus, Dio del Cielo luminoso, che per Omero tutto vede e tutto sente al pari dell’attuale Dio, Dèi pagani che abitavano sul monte Olimpo da cui il loro nome di Olimpi e ora erroneamente accaparrato e sistemato nell’attuale Grecia, tra la Macedonia e la Tessaglia, mentre si tratta del Montarone o più certamente di un monte della Magna Greca Vieste con le frontali cime del Gargano e del suo Monte Sacro, e città che nella cui identità con l’omerica Skeria gli Dei si mostravano visibili, secondo Omero.

La predetta e del tutto fasulla leggenda dell’Ecclesia viestana riguarda il simultaneo ritrovamento in mare dell’attuale statua di S. Maria di Merino da pescatori viestani e peschiciani che, per stabilire a quale città andava destinata, decisero di trovare la soluzione con l’utilizzo di un bue per parte e che avrebbe vinto quello dalla forza prevalente che avrebbe tirato il carro dalla propria parte con sopra la statua. I Peschiciani misero sotto il carro un forte bue e i Viestani una giovane vacca vergine. Il bue seguì la vacca e da quel momento l’effigie divenne Viestana.

Ma sta di fatto che la viestana Maria l’Oreta viene festeggiata in forma minore nella vicina Peschici con il nome della Madonna di Loreto, il lunedì successivo a quello di Pasqua in cui Gesù è risorto, detto giorno della Pasquetta, forse senza sospettare che si tratta sempre della madre di Cristo morto e resuscitato. Il patrono di Peschici, festeggiato il 20 Luglio di ogni anno con il nome di S. Elia che, a parte il profeta Helias, o Heleias, citato nella Bibbia che, secondo documenti, venne scritta alla fine del 1400, ma festa di certo già esistente a Peschici, è un nome derivante dal greco Helios, il Sole anche nel senso di Oriente detto pure regione del Sole, cui si espone la punta del promontorio sulla quale poggia Peschici, parimenti a Vieste, anche se l’abitato di Peschici era interamente esposto a Occidente, verso il calare del Sole. Helios che è da identificare con il dio che tutto vede e tutto sente che Omero identifica con Zeus, lo stesso di Dieus.

Ma anche perché da elieus come Elieo diventa un titolo di Giove (Zeus) che da helias diventa solare, consacrato al Sole, e da Helias per Eliadi si arriva alle Figlie del Sole, che dal verbo greco heliaò porta all’essere consacrato al Sole. Heli!, Heli! Tutto è compiuto! è l’invocazione al Padre fatta da Gesù fissato sulla croce con degli uncini, o corni (Kr), metodo antico per mettere in croce i colpevoli, non con i chiodi, la cui vita si compie mentre era ancora dritto (istos) sulla croce nell’attimo del suo trapasso all’altra vita per tre giorni per poi essere resuscitato e assunto in Cielo. Nella mitologia Elio, dio del Sole, ha due sorelle: Eos (l’Aurora di cui Vieste è figlia)) e Selene (la Luna, presente nella viestana Myrina) nati dal Titano Iperione (il forte e alto Sole) e dalla Titanessa Eurifaessa, che mitologicamente significa la “splendente lontano” che viene identificata con la Luna, quindi sempre Myrina.

Svegliato da un gallo, animale a lui sacro, e annunciato da Eos (l’aurora) Elio, il Sole, conduce ogni giorno la sua quadriga nel suo percorso nel cielo, partendo dalla Colchide, regione dell’Asia perché regione orientale di origine del Sole, ma reale appartenenza viestana che viene chiarita anche per il seguito del suo mito. Ma Sole che nei mesi estivi, oltre a provenire dall’Oriente, o Asia, spunta nel mare da dietro il costone sul quale è adagiata Peschici dalla quale cittadina si vede il Sole calare anche oltre il mare, offrendo uno spettacolo irripetibile e purtroppo non godibile da Vieste. Da qui il possibile nome di Peschici, anticamente detto Beschizo e Beschizam, che oltre l’iniziale pes e bes, che da pi e bi indica la luce del Sole (Del Viscio; Masanotti e altri) pure presente nel nome Gargano, che dal greco gar-ganos, o ganoò è per davvero luminoso, ora per continuità identificato come la Montagna del Sole. Dal restante chizo e chizam, se fatti pervenire dal greco cyxam riveniente dal verbo greco cyxanò, possibile origine etimologica di Beschizo e Beschizam, quindi di Peschici e Peschiciani, che col significato di colpisco e simili, conduce a un popolo colpito, come è avvenuto per lo scrivente, dal prevalente percorso del Sole in quanto astro che spadroneggia pure in tutti i nomi dei remoti paesi garganici, a cominciare dalla città di loro origine Vieste, figlia dell’Aurora. Paesi garganici che infatti nacquero tutti da dopo la mitica sparizione di Uria (Del Viscio), avvenuta in una notte e un giorno proprio come il Continente Atlantide di Platone, ma che parte dalla scomparsa omerica Troia dopo che era stata bruciata dal fuoco, presente in Uria che dall’indeuropeo ur e nel latino uro sta per fuoco, venendo infine sprofondata da un successivo diluvio di nove giorni, secondo Omero, ma i cui resti si trovano nella viestana località di Merino. Per la cronaca, i cognomi Troia e Troiano sono ancora molto diffusi a Vieste, un po’ meno i Giuliani, che sono Iuliani provenienti da Iulio di Ilio.

Ne sono testimoni i due fatti seguenti: 1- Il nome di Calena, presente nella struttura religiosa peschiciana della Madonna di Calena, che un vescovo viestano di origine peschiciana ha recentemente definito come “bella”, fatto derivare dal greco callos (calos) ma che, a parte il nome maschile di Caleno del greco calènos, se il nome Calena viene fatto più giustamente derivare dal greco caleò che indica il calare, sia del suo territorio che in effetti diventa spianato verso il mare sul quale si trova la chiesa, o monastero, di Calena e sia soprattutto del calare del Sole che, come avviene per Vieste, dopo l’avanzamento nel mare nelle ore del giorno del solstizio d’estate il Sole raggiunge il suo vertice giusto a mezzogiorno verticalmente su Vieste e Peschici, per accorgersi di ciò basterà guardare la massima riduzione dell’ombra del proprio corpo sul terreno, città dalle quali inizia il calare del Sole: Che è l’attimo che ispira Omero per inventare quanto scrive della città di Sirìa, sempre Vieste anche per altri fatti raccontati e puntualmente riscontrati dallo scrivente. Sole che al suo tramonto genera un panorama mozzafiato godibile soltanto da Peschici per la sua posizione geografica leggermente più occidentale di Vieste.

A questo si aggiunge la vicina località di Calenelle, che non è certamente da classificare come una “bellella”, ma che diventa l’estremità del Gargano che si abbassa sul mare come avviene territorialmente per Calena, trattandosi pure di una pianura, ma innanzitutto per il Sole che pure da questa estremità si vede calare nel mare al tramonto, C’è di fatto che l’intera attuale struttura, o monastero, o chiesa di Calena fu donata all’Abbazia delle Tremiti da un Vescovo di Vieste, poi abbandonata e infine usucapita da privati confinanti. Dall’omerica Myrina nasce Maria l’Oreta poi Madonna di Loreto e di tutte le altre Madonne con qualsiasi appellativo che talvolta diventano pure nomi propri di altre Madonne, poiché diventata madre di Cristo, Ne è testimone il nome Ourion fatto per Vieste da Strabone, che con il significato di uovo infecondo che, una volta fecondato, da origine a tutti i fatti non solo storici e geografici ma anche quelli religiosi. E identità che si riassume nell’essere Vieste identificata come città Pizzomunno, che è da intendere come città all’origine del mondo in tutti i sensi. Dall’omerica Myrina in quanto Oreta nascono nomi di Maria e suoi derivati e quelli viestani di Merina, Loreta, Loredana e il molto in voga nome di Laura;

2- La leggenda viestana della fanciulla bella come il Sole, avente l’originale nome di Uria, nome leggendario che proviene giustamente dall’essere Vieste acqua sorgiva e sorgente e madre del mare, che viene incatenata sotto il mare dalle sirene gelose per il suo innamoramento con il bel pescatore Pizzomunno, che va identificato con la personificazione del forte cornuto Montarone come una divinità cornuta nel senso di possente quali sono Zeus e Poseidone sempre a caccia di vergini donzelle, ma anche perché un mitico pescatore è Ditti, nipote di Zeus, che viene umiliato pure da suo fratello Polidette e di cui non si aggiunge altro per non diventare enciclopedico, non con il confuso dai Viestano bastione detto Puzemume, di cui si dirà. Le Sirene di Omero sono tuttora di casa a Vieste e precisamente sui due scogli di Lamicane, nome ora italianizzato e spostato nell’adiacente Lama delle Canne, ma che dal greco lamie significa “un mostro avente la forma del volto (o testa!) di donna e la coda di un pescecane”, come tuttora appare il più piccolo dei due scogli se visto dalla spiaggia di dietro il Ponte. Mentre il dialettale cane proviene dal greco canakeò, latino cano, che significa canto. che è quello fatto dalle Sirene per incantare e trarre in inganno Odisseo e compagni per invogliarli a restare. Pizzomunno, pietrificato dal dolore per l’attesa, e Uria, per la ricca di sorgenti Vieste, sono costretti per volontà delle Sirene a vedersi una volta ogni cento anni e in una notte di luna piena per poter rivivere il loro amore, dopo di che le Sirene tirano la catena e la fanciulla bella come il Sole Uria viene sprofondata per altri cento anni. Da questa leggenda nasce quella Peschiciana raccontata da A. Petrucci che nel 1931 testualmente scrive: “Fosca, o ridente, la fantasia del popolo si trasferisce nei fatti e nei fenomeni naturali e li colora nei suoi sentimenti: Non è solo un gioco di immaginazione: Nello strepito dei marosi che si incavernano sotto lo scoglio di Peschici essa riconosce le ferree ritorte che la gelosia delle Sirene cinse ai piedi di una fanciulla bellissima, la quale gode tuttavia della pietà del Signore ed ogni cento anni è messa in libertà, affinché possa correre incontro al giovinetto, che seguita ad amarla, simbolo del ricordo semprevivo”.

Di questa bellissima fanciulla, forse poco conosciuta ai Peschiciani, si sente tuttora il lamento in una notte di Luna piena in una grotta che ha la sua sommità aperta e che si vede sotto una superficie protetta da una infrangibile vetrata in un ristorante situato sull’antico molo di Peschici. La leggenda delle Sirene si estende fino a Napoli, in quanto città Partenopea che prende il nome dalla Sirena Partenone, nome che dal greco parthen significa vergine, fanciulla, che sta nei panni delle tre sirene una delle quali, Partenone, morì suicida per essere stata rifiutata da Odisseo e il suo corpo dopo avere vagato per il mare approda sulla prominenza di terra sulla quale è edificato il Castel dell’Ovo. Leggenda che si trova pure nel Salento, parte della Puglia che a cominciare dal suo fondatore Idomeneo, figlio di Minosse e personaggi omerici, possiede nomi di cittadine, come Marine, Oria e altri, derivanti da fatti e luoghi viestani e dove nella novellistica sono presenti le incatenanti Sirene che provocano lamenti a una fanciulla in quanto figlia in occasione della visita di suo fratello, o del caro amante: “Mamma sirena mamma sirena, ‘llenta, ‘lienta la tua catena ca è benutu lu miu frate. Ce lamentu ci sta face”.

Ma-ri-amne o Ay Mari, Marianne, Mirinna, Myrina sono la stessa divinità lunare che rende luminoso il cielo soprattutto di notte, quieto il mare che si placa nei mesi più caldi, fertile la Gran Madre Terra, le storiche correnti viestane più ricche di acqua anche per le piogge provocate dalle maree generate dalla Luna, Da qui l’iscrizione in lingua greca arcaica su pietra interpretata nella prima decade del 1900 dal Petrone come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, senza sospettare che fosse un inno alla sua Vieste in quanto Pizzomunno ricco di acque sorgive; senza avere ascoltato le due lavandaie che nel 1907 raccontano al Beltramelli di come il mare si sia formato un <nido> sotto la montagna e senza avere letto quanto afferma Strabone sulle correnti del Timavo, monumento dell’isola di Teuthria, quando delle correnti viestane scrive: “Dice però Polibio che ad eccezione di una, tutte le altre sono di acqua salata e che gli abitanti chiamano il luogo <sorgente e madre del mare>“. Un riferimento a Vieste che parte da Omero secondo il quale il mare si è formato dalle visceri della Terra e che con tutti i fiumi e con tutte le sue sorgenti venivano traboccate da Oceano, altro padre di tutti gli dèi e della viestana Calypso, citata da Omero, che la fa abitare in località viestana di “Sotte u Ponde”, Sotto il Ponte, nome derivante dal greco ponèto col significato di pena, che è quella patita per sette lunghi anni da Odisseo, che agognava il suo ritorno a Itaca. Il predetto poggio, o tumulo, o cumulo, o Munduncidde,viene da Omero (Iliade II,811 e seg.) identificato con il greco sema che presenta il significato di: “altare, sacrario, tomba della molto balzante Myrina” che, sempre per Omero e per la realtà, si trova davanti alla città di Troia, detta pure Ilio per l’originaria natura palustre del luogo sul quale era stata fondata e venendo infine sprofondata col nome di Troia. Città da identificare con la sepolta dal fango Merino, dovuta a una piena del Canale della Macchia, che dal greco make è battaglia, luogo di battaglia, che scorre in mezzo al Piano Grande, nome che sta per Piano Antico e da pochi conosciuto come Piano della Battaglia. Difatti il Giuliani nel 1760 cita un solo tratturo interpoderale chiamato Sentiero della Battaglia. Questo Canale della Macchia è l’omerico divino fiume Scamandro, detto dai mortali Xanto, sul quale si svolge poeticamente la più cruenta battaglia tra gli Achei, o Argivi, o Danai e i Troiani, o Teucri, o Dardani narrata da Omero nell’Iliade. I Danai sono discendenti di Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, da cui gli Argivi, nome e città inventati da Omero che parte dal biancore delle rupi del viestano Montarone, proprio come avviene per il nome di Creta. Acrisio dopo la nascita del nipote concepito da Zeus chiuse la figlia Danae dentro una cassa gettandola in mare, una scena ripresa per la leggenda di Romolo e Remo fondatori di Roma. Gli omerici Achei derivano dalle punte (greco acis) del Montarone viestano.

Nel campo avversario i Dardani provengono da Dardania, l’antica Troia da cui i Troiani, città che secondo Omero, per la prima volta venne distrutta da Eracle a causa di una lite dovuta al commercio di cavalli, che poi diventano i famosi cavalli di Troia. E che durante la fuga di Eracle nel mare per salvarsi si attacca a un bastione di pietra, che è il viestano Puzmume, che dal greco pougx-momos indica un bastione di biasimo, che poi venne identificato come Colonna d’Eracle e poi ancora raddoppiata, dato lo sviluppo del suo mito, come Colonne d’Ercole ora erroneamente traslocate sullo Stretto di Gibilterra. Tra gli affluenti dello Scamandro va incluso il Simòenta che confluisce in località Cutino del Rospo, che secondo lo scrivente è l’omerico Cutino del Rosco, Cutino del Corvo, più evidente di un rospo.

Secondo Omero, dopo un diluvio di nove giorni (il Diluvio Greco mai prima individuato) e dalla piena dello Scamandro e di tutti i suoi affluenti la città di Troia finì sprofondata perché già di natura palustre presente nell’altro nome di Ilio, per volere degli dèi dopo che era stata bruciata da alcuni Achei fra cui Diomede e Odisseo nascosti nella pancia del Cavallo di Troia (Iliade). L’omerica Bellacollina è presente con il nome di Muntincidde, Montincello, un monte piccolo e bello che è indubbiamente lo stesso di una bella collina. La prova di questa Troia viestana si trova nel toponimo di Caprareza attribuito a una rocca che sovrasta la sepolta Merino e che domina tutto il Piano Grande (antico o della battaglia) e tutto il mare di Scialmarino, la cui spiaggia lunga km 5, è poeticamente capace di contenere le circa 2000 navi degli Achei. Caprareza, dal greco capra(ina)-rezò indica una troia sacrificata, o data in sacrificio, poiché la funzione di capro espiatorio è presente in Omero nell’Iliade. Su Caprareza nel 1200 c’era un “Castellum Marini” (A. Russi) i cui residui comparivano ancora nel 1760 (V. Giuliani) ed è il Pergamo di Priamo, a metà della cui strada e affacciati al muro che la delimitava, pure citati dal Giuliani, Omero scrive che Elena indicava a Priamo i principali eroi Achei. La sola presenza di questo Pergamo a Merino vale per il titolo di polis dato per prima alla città di Troia. Una troia è indirettamente presente nel greco monios all’origine del singolare Montarone sul quale è edificato il centro storico di Vieste, isolamento che si trova nella sua identità di Pizzomunno, Pizzo del Mondo.

        L’omerica Myrina in quanto “molto balzante” è una divinità lunare che in effetti rappresenta la Luna che nel cielo balza più del Sole e di tutti gli altri suoi pianeti illuminando il cielo pure di notte, ma che con i suoi quarti e soprattutto con la Luna piena provoca le maree e quindi le piogge che rendono fertile la Grande Madre Terra rappresentata dall’omerica Demetra e presente nel toponimo viestano “La Gioia”, che è lo stesso di Gaia, o Gea, o Ge, o De indicanti la Terra.

Dall’indeuropeo Myrina, o Ay mari nasce il nome di Maria (Enc. Rizzoli-Larousse, v. Maria), la cui festa, ricorrente il 9 Maggio di ogni anno, è avvenuta in modo laico “ab immemorabili”, secondo una testimonianza del 1680 e fino alla fine del 1797, anno in cui per interessamento di un vescovo viestano pure di nascita, intervenuto appositamente presso il Papa, fu riconosciuta come festa religiosa, anche se a dovute condizioni.

Lo dimostra il fatto che la statua della Madonna di Merino viene da sempre depositata nella Cappella del Popolo che si trova nella Cattedrale a confine con il campanile che durante il rovinoso terremoto del 1646 crollò in adiacenza della sua facciata che a sua volta cadde sul frontale Vescovado provocando anche la sua parziale distruzione, ma risparmiando il loculo della Cappella del Popolo in cui era tenuta da sempre l’attuale effigie della Madonna di Merino che rimase miracolosamente intatta.

Contrariamente a quanto viene ufficializzato dalla Chiesa, questa Cattedrale, ora fatta risalire all’Xi sec,, ma storicamente sorta sulle rovine del tempio di Vesta, in precedenza Estia antico nome greco di Vieste e il cui significato di santuario, altare, sacrario conduce direttamente alla funzione religiosa verso la molto balzante Myrina. La data di nascita all’XI sec. della Cattedrale è da riferirsi al sopravvento della Chiesa cristiana su quella bizantina, i cui catipani, o catapani, da cui la Capitanata per la provincia di Foggia ma territorio viestano, risiedevano a Vieste in rappresentanza del restante territorio e città in cui venne ucciso l’ultimo catapano Ciriaco Bennato ad opera di Roberto il Guiscardo. La costruzione della Cattedrale risale almeno a 2900 anni fa, lo dimostra sia l’orologio solare che dopo il predetto terremoto è stato ripristinato e che di fatto è stato realizzato dai Fenici, secondo Omero; sia dal significato delle pietre scritte in greco arcaico che dopo il terremoto furono sottratte da sconsiderati cittadini viestani per edificare qualche palazzo del centro storico, su uno dei quali appare tuttora una di queste pietre situata sullo spigolo alla vista di tutti, come pure per edificare costruzioni rurali tanto da provocare un provvedimento di scomunica da parte del Vescovo viestano di quel tempo per punire i rei di questo peccato; sia da quanto appare sui graffiti scolpiti sui capitelli presenti sui pilastri della Cattedrale; sia dai significati delle monete coniate dalla zecca viestana; sia dall’antica storia di Vieste, a partire da quella insita nei poemi del viestano Omero e sia, ancora, dalla presenza della Cappella del Popolo, che la rende estranea alla Chiesa, poiché questa costruzione in origine apparteneva alla famiglia viestana più nobile che governava la città, fatto dimostrato da Omero nell’Odissea, e in mancanza al popolo viestano che la usava come luogo di assemblee del popolo, o dei suoi delegati.

poi ancora raddoppiata, dato lo sviluppo del suo mito, come Colonne d’Ercole ora erroneamente traslocate sullo Stretto di Gibilterra. Tra gli affluenti dello Scamandro va incluso il Simòenta che confluisce in località Cutino del Rospo, che secondo lo scrivente è l’omerico Cutino del Rosco, Cutino del Corvo, più evidente di un rospo. Secondo Omero, dopo un diluvio di nove giorni (il Diluvio Greco mai prima individuato) e dalla piena dello Scamandro e di tutti i suoi affluenti la città di Troia finì sprofondata perché già di natura palustre presente nell’altro nome di Ilio, per volere degli dèi dopo che era stata bruciata da alcuni Achei fra cui Diomede e Odisseo nascosti nella pancia del Cavallo di Troia (Iliade). L’omerica Bellacollina è presente con il nome di Muntincidde, Montincello, un monte piccolo e bello che è indubbiamente lo stesso di una bella collina. La prova di questa Troia viestana si trova nel toponimo di Caprareza attribuito a una rocca che sovrasta la sepolta Merino e che domina tutto il Piano Grande (antico o della battaglia) e tutto il mare di Scialmarino, la cui spiaggia lunga km 5, è poeticamente capace di contenere le circa 2000 navi degli Achei. Caprareza, dal greco capra(ina)-rezò indica una troia sacrificata, o data in sacrificio, poiché la funzione di capro espiatorio è presente in Omero nell’Iliade. Su Caprareza nel 1200 c’era un “Castellum Marini” (A. Russi) i cui residui comparivano ancora nel 1760 (V. Giuliani) ed è il Pergamo di Priamo, a metà della cui strada e affacciati al muro che la delimitava, pure citati dal Giuliani, Omero scrive che Elena indicava a Priamo i principali eroi Achei. La sola presenza di questo Pergamo a Merino vale per il titolo di polis dato per prima alla città di Troia. Una troia è indirettamente presente nel greco monios all’origine del singolare Montarone sul quale è edificato il centro storico di Vieste, isolamento che si trova nella sua identità di Pizzomunno, Pizzo del Mondo.

        L’omerica Myrina in quanto “molto balzante” è una divinità lunare che in effetti rappresenta la Luna che nel cielo balza più del Sole e di tutti gli altri suoi pianeti illuminando il cielo pure di notte, ma che con i suoi quarti e soprattutto con la Luna piena provoca le maree e quindi le piogge che rendono fertile la Grande Madre Terra rappresentata dall’omerica Demetra e presente nel toponimo viestano “La Gioia”, che è lo stesso di Gaia, o Gea, o Ge, o De indicanti la Terra. Dall’indeuropeo Myrina, o Ay mari nasce il nome di Maria (Enc. Rizzoli-Larousse, v. Maria), la cui festa, ricorrente il 9 Maggio di ogni anno, è avvenuta in modo laico “ab immemorabili”, secondo una testimonianza del 1680 e fino alla fine del 1797, anno in cui per interessamento di un vescovo viestano pure di nascita, intervenuto appositamente presso il Papa, fu riconosciuta come festa religiosa, anche se a dovute condizioni. Lo dimostra il fatto che la statua della Madonna di Merino viene da sempre depositata nella Cappella del Popolo che si trova nella Cattedrale a confine con il campanile che durante il rovinoso terremoto del 1646 crollò in adiacenza della sua facciata che a sua volta cadde sul frontale Vescovado provocando anche la sua parziale distruzione, ma risparmiando il loculo della Cappella del Popolo in cui era tenuta da sempre l’attuale effigie della Madonna di Merino che rimase miracolosamente intatta. Contrariamente a quanto viene ufficializzato dalla Chiesa, questa Cattedrale, ora fatta risalire all’Xi sec,, ma storicamente sorta sulle rovine del tempio di Vesta, in precedenza Estia antico nome greco di Vieste e il cui significato di santuario, altare, sacrario conduce direttamente alla funzione religiosa verso la molto balzante Myrina. La data di nascita all’XI sec. della Cattedrale è da riferirsi al sopravvento della Chiesa cristiana su quella bizantina, i cui catipani, o catapani, da cui la Capitanata per la provincia di Foggia ma territorio viestano, risiedevano a Vieste in rappresentanza del restante territorio e città in cui venne ucciso l’ultimo catapano Ciriaco Bennato ad opera di Roberto il Guiscardo. La costruzione della Cattedrale risale almeno a 2900 anni fa, lo dimostra sia l’orologio solare che dopo il predetto terremoto è stato ripristinato e che di fatto è stato realizzato dai Fenici, secondo Omero; sia dal significato delle pietre scritte in greco arcaico che dopo il terremoto furono sottratte da sconsiderati cittadini viestani per edificare qualche palazzo del centro storico, su uno dei quali appare tuttora una di queste pietre situata sullo spigolo alla vista di tutti, come pure per edificare costruzioni rurali tanto da provocare un provvedimento di scomunica da parte del Vescovo viestano di quel tempo per punire i rei di questo peccato; sia da quanto appare sui graffiti scolpiti sui capitelli presenti sui pilastri della Cattedrale; sia dai significati delle monete coniate dalla zecca viestana; sia dall’antica storia di Vieste, a partire da quella insita nei poemi del viestano Omero e sia, ancora, dalla presenza della Cappella del Popolo, che la rende estranea alla Chiesa, poiché questa costruzione in origine apparteneva alla famiglia viestana più nobile che governava la città, fatto dimostrato da Omero nell’Odissea, e in mancanza al popolo viestano che la usava come luogo di assemblee del popolo, o dei suoi delegati.

L’elezione della Madonna  di Merino a Patrona di Vieste subito dopo il 1797 ha determinato lo scalzo da questa carica già appartenente all’ex Patrono S. Giorgio, che da quell’anno si è dovuto accontentare del titolo di Protettore di Vieste, un fatto per il quale è sorta una diatriba tuttora irrisolta da parte del Comitato Festività di (S.) Giorgio che ancora gli attribuisce la carica di  Patrono. Anche se già il secondo Papa di Roma, Gelasio I°, ebbe a disconoscere come santi (S.) Giorgio e (S.) Filomena perché di dubbia provenienza. Una sentenza ribadita ultimamente da Papa Giovanni Paolo II, anche se finora nessuno ne ha tenuto conto, forse per il fatto che, oltre a Vieste, pure Genova e l’intera Inghilterra hanno tuttora come Patroni (S.) Giorgio. Lo dimostra il fatto che la festa di S. Maria di Merino viene festeggiata per quattro giorni, mentre quella di S.Giorgio dura un solo giorno. Sta di fatto che (S.) Filomena, festeggiata a Vieste fino alla fine degli anni 1950 con il passeggio dei cittadini su corso Tripoli, sul quale c’è tuttora il “Largo di Santa Flumène” dove veniva eretto un palco sul quale si esibiva la banda musicale cittadina, è un nome di origine greca che da filos-mènè indica: “cara alla, o amante della, Luna” che all’origine, non avendo altro da venerare nei primi tempi del mondo, diventa un rafforzamento della festa della dea lunare Myrina e quindi di Maria nome presente in tutte le famiglie viestane di qualche tempo fa e che, qualche volta, veniva associato al nome di Filomena nel battesimo di alcune neonate. Invece (S.) Giorgio, che dal greco ge-orgios indica “terra-orgia” che significa Festa della Terra che in tempi remoti e senza le conoscenze odierne veniva immaginata come un’immensa pizza. Difatti durante il giorno di questa festa dedicata agli adolescenti in quanto rinnovatori delle generazioni umane, una pizza viene tuttora inevitabilmente mangiata dai Viestani in questo giorno, ma che dai ragazzi veniva portata fin dal primo mattino in un fagotto (jnde nu mugghje!) insieme con un quarto (‘na quarte) di vino, mangiata e bevuto sulla Collina di S. Giorgio, allora adiacente la Chiesa di S. Maria delle Grazie, ora divise per la costruzione di una interposta strada comunale, ma che pure e non a caso si identifica principalmente come Chiesa della Madonna della Libera.

       Le Grazie, o Càriti sono presenti nell’Odissea di Omero come figlie di Zeus che vengono identificate come incarnanti la leggiadria giovanile e che appartengono naturalmente al corteggio dell’omerica Afrodite e come divinità che incarnano la grazia e la bellezza, qualità che dopo passano alle mitologiche tre Càriti rappresentanti, non a caso, le Fasi della Luna con nomi significanti: l’invocata, la crescente e la lucente. La venerazione di Libero e Libera, che si dice iniziata nell’VIII sec. a. C. ed è presente in Italia nel VI sec. a.C. essendo nomi di derivazione romana dell’omerico Dioniso (A. Morelli. Dei e Miti), figlio di Zeus e Semele (Iliade), i cui riti orgiastici presenti in orgios di Giorgio, rappresentavano la Festa della Terra. Dioniso come dio della vite viene passato all’altro suo nome Bacco, citati da Omero, che poi diventa dio del vino con l’epiteto romano di Liber, da cui Libero e Libera, per il suo carattere giovanile impetuoso e sfrenato. Questa pizza mangiata e il quarto di vino bevuto dai ragazzi nella mattinata di (S.) Giorgio racchiude la rappresentazione della Festa della Terra che si rinnova poiché come un’immensa pizza veniva originariamente immaginata la Terra. E anche perché la data del 23 Aprile di ogni anno, quindi in piena primavera, in cui (S.) Giorgio viene festeggiato in onore delle nuove generazioni, rappresenta la preparazione (festa) della Terra per i nuovi raccolti. A cominciare dalla maturazione del grano, elemento necessario per la produzione di pasta, pane, pizza e tutto il resto, come pure la produzione di vino dalle viti i cui tralci iniziano a germogliare proprio da questa data. Mentre la denominazione di Madonna della Libera, proveniente da Dioniso-Bacco con il nomignolo di Lieo: colui che scioglie, anche per giustificare il suo giovanile comportamento da sfrenato, ma sempre in rappresentanza di suo padre Zeus Libero, o Liberatore, titolo che ,per Omero, appartiene pure a suo figlio Apollo. Libero e Libera sta per l’originaria libertà da tutti i mali del mondo provocata dal quarto, e più, di vino bevuto immancabilmente durante l’attesa dell’arrivo della processione di S. Giorgio alla Chiesa della Madonna della Libera, o di Santa Maria delle Grazie. Ne è prova il fatto che i Viestani vengono citati da Plinio come Methymnates ex Gargano, nome che fa di questo popolo i discendenti del greco dio del vino Methymna, in sostituzione dell’omerico Dioniso/Bacco. Produzione di vino che poi viene pure insegnata al popolo dal biblico Noè che dopo il Diluvio Universale sbarcò a Vieste dove per la morte della moglie Vesta edificò la città col nome di lei. Cui si aggiunge il fatto che il territorio di Vieste viene in passato identificato come Terra di Bestia, che deriva dall’andare in bestia dopo una ubriacatura dovuta al bere vino, come pure dalle continue ondate che si infrangono contro il Montarone, mandando in bestia i Viestani.

         Il pomeriggio del giorno di (S.) Giorgio, prima dell’imbrunire, si correva da sempre sulla spiaggia di (S.) Lorenzo (nome e località all’origine del passaggio stretto del Laurento di Plinio per il sentiero dell’Ellesponto di Omero) la tradizionale corsa dei cavalli, che viene fatta in onore di (S.) Giorgio da sempre montato a cavallo. Ma che da dopo la costruzione del molo di ponente dell’attuale porto si corre sulla spiaggia del Castello, anticamente detta “u Chitrone” che dal viestano “chitre” indica un grande mellone d’acqua, proveniente dal greco kytra indicante un’olla (piena d’acqua). Il nome Chitrone rispecchia la natura di questa spiaggia sulla quale originano e urinano (ombreò per gli Umbri e oureò di Uria) le sei correnti di acqua salmastra di Strabone, alla prima delle quali infine approda Odisseo, che è lo stesso del “nido del mare che si è formato sotto la Montagna” raccontato da due lavandaie viestane al Beltramelli nel 1907, e che si trova come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva. tradotta dal Petrone su un’iscrizione in lingua greca arcaica su pietra viestana che, senza alcuna sua immaginazione, per questa Porta della Gran Madre Terra, presente in località “la Gioia”, indicava il Montarone viestano in quanto Pizzomunno con la sua abbondante acqua sorgiva. Un’indicazione che nasce da Omero secondo il quale il mare è stato generato dalle visceri della Terra e che, insieme con le sorgenti, le correnti e i fiumi, venivano traboccati dalla forza di Oceano, un personaggio che da anziano veniva rappresentato con le corna sul capo e presenti sul Montarone. Le corna nei tempi antichi non avevano il valore dissacratorio odierno perché indicavano la potenza che apparteneva agli dèi possenti come Zeus, detto pure O’ròs, da cui oros per monte e limite che sta per il Montarone in quanto Pizzomunno. Mentre l’altrettanto rappresentato con le corna Poseidone, dio delle tempeste marine, era di fatto protettore dei promontori marittimi a cominciare dal Montarone, che nella poesia omerica viene abitato per prima da suo figlio Nausito: navigatore veloce, re dei Feaci, nome ideato da Omero dalla luminosità (greco fai) calcarea dei corni (gr. acis) del Montarone che in seguito viene forgiato dallo stesso Poseidone con colpi di tridente dati per i suoi abituali risentimenti, di cui scrive Omero, che modella la falesia come la si vede tuttora. Le corna appartengono anche ad alcune divinità femminili che però partono dalla cornuta Luna nelle sembianze di Pallade, il cui palladio viene tuttora portato in processione a Merino, e da cui la cornuta egiziana Iside, che a Roma sostituì Venere poiché diventata di facili costumi, la quale a sua volta aveva sostituito Vesta, diventata nome impronunciabile per i Romani e popoli conquistati, dietro pena di morte per motivi tattici, poiché non poteva essere pubblicizzata e quindi soggetta di adulazione di città prossime ad essere conquistate, ma restare unicamente protettrice di Roma.

         Per meglio precisare alcuni fatti si aggiunge che la viestana corsa dei cavalli viene raccontata da Strabone (1° sec. a. C.) il quale tramanda molti altri fatti riguardanti la storia di Vieste, originata da Omero, ma senza averla identificata, scrivendo di una corsa di cavalli che si correva a Festi, o Vesti (per l’iniziale digamma) e nello stesso giorno in tutte le città di confine in onore di Poseidone. Questo è dovuto al fatto che Omero racconta che con il suo alito Poseidone rese pregne dodici giovani giumente che con altre si stavano divertendo e lustrando nel mare, dando origine a cavalli più veloci che belli, poi cavalli di Troia. Inoltre Strabone asserisce che in questo stesso giorno, (di S. Giorgio), avvenne il ratto delle Vestali, donne vergini fino a trent’anni, o per almeno dieci anni dalla loro consacrazione, da parte dei Sabini: uomini forti, da cui la stirpe dei forti Romani. Roma che in realtà prende il nome dal greco rome: forte, che trae origine dalla potenza del Montarone e dei termini greci di fes di Festi, o ves di Vesta protettrice dei Romani, ed è presente pure nel greco adros: forte, per la rupe marinara di Adria e nell’infaticabilità di Atlantide per il possente Montarone anche perché atlante e pizzo di Pizzomunno sono sinonimi. A questo si aggiunge che Iside è la metamorfosi della vergine Io (gr. Iò), mutata in una vacca e simbolo della cornuta Luna, che venne sedotta da Zeus e che, per scampare dall’ira della gelosa moglie Era, accortasi dell’ennesima tresca, fuggì per il mare giungendo in Egitto dove diventò Iside. La cornuta vergine Io, raffigurata come una vacca in rappresentanza della cornuta Luna, poi Iside, sta all’origine del Mare Ionio che, come il Golfo Adriatico originava da Vieste ancora fino al 1600 d.C., città dalla quale ovviamente nasce pure la cornuta vacca vergine Io, nome abbreviato di Eos, dea dell’aurora dalla quale nasce il nome greco di Vieste.

        Infatti, originariamente per greco si intendeva tutto ciò che si trovava sul percorso del Sole il giorno del solstizio d’estate, tutto il resto era da considerare barbaro. La presenza di quest’ultimo significato per Vieste si trova nel latino aestus contenuto nel loro ufficializzato nome dialettale di Vestysane, derivante da Ui-aestus-anus che, oltre ad indicare il Montarone in preda ai marosi, sta per l’essere “figli dell’aestus più alto”. Aestus che significa pure il percorso del Sole durante il giorno del solstizio d’estate in cui si vede sorgere frontalmente a Vieste, precisamente da dietro la punta occidentale dell’isoletta di (S.) Eufemia, o del Faro.

Da questo fatto origina il titolo di Magna (più antica) Greca che partendo da Vieste viene esteso a tutta la Magna (più antica) Grecia per l’Italia Meridionale. Anche se con il nome Uria si estende a tutta l’Italia peninsulare che parte dalla Liguria, regione a nord dell’Etruria. Da quest’altra parte ha per confine il Veneto, essendo gli Oinetoi o Heneti, alleati dei Troiani e il Frìuli Venezia Giulia, nome che sta per Veneti/Troiani, in quanto discendenti da Iulo figlio di Enea e da cui la Gente Giulia per i Romani. Un fatto che risolve una volta per tutte l’attuale confusione derivata dal nome dell’attuale Grecia di cui ben sette città tuttora si vantano, erroneamente, di avere dato i natali a Omero, il più grande poeta di sempre e di tutta la Terra che in realtà è un Italiano viestano. Una cittadinanza scoperta dopo circa 3000 anni dallo scrivente che lo ha riportato in patria ufficializzandola nel 1994 con l’uscita del suo primo libro: Vieste: luce eterna; patria di Omero, cui ha fatto seguito il secondo libro pubblicato nel 1999 col titolo: Vieste: figlia dell’eternità, in cui viene spiegata sia l’identita del possente Montarone con l’infaticabile Atlantide (da a-tlenai) anche perché atlante e pizzo di Pizzomunno sono sinonimi, e sia della Thule di Pitea, dimostrando anche etimologicamente che è lo stesso di Atlantide.

        Nell’Odissea Nausitoo, figlio di Poseidone, per fuggire dai primitivi e selvaggi Ciclopi si mette in mare con tutti i suoi Feaci, approdando su un luogo, il Montarone, al cui fianco c’erano due porti naturali formati dalla continuità delle rupi (greco skeros) dove fonda la città di Skeria, nome proveniente dall’indeuropeo sker presente nel greco scériptò, col significato di: approdo. Omero scrive di questi due porti, ma principalmente quello del Pantanella, che dal greco panta-ne(a)-el(os)-la(às) significa un “tutto nave approdo rupe”, laddove per questa funzione di approdo (sker) nasce l’omerica Skeria per Vieste, al cui interno c’è tuttora l’unica corrente d’acqua buona tra le sette di Strabone detto Canale della Chiatà, derivante dal greco cyathos: ciato, un recipiente per attingere acqua. Il Pantanella viene citato interamente in quattro porti dell’Odissea. Precisamente nel porto dei Lestrigoni con all’interno la corrente Artachia, nel porto dell’isola di Itaca con all’interno la corrente Aretusa, con il porto traboccato di acqua dolce dell’isola di Trinachia e con il porto con in capo una polla d’acqua dell’isola dei Ciclopi, davanti al quale Odisseo precauzionalmente approda la sua nave per entrare a piedi nella grotta di (S.) Nicola, che dal greco nike-laàs è la “rupe della vittoria”, nella quale viene accecato Polifemo, figlio di Poseidone, ma che è anche la vittoria festeggiata dai migranti indeuropei che vi approdavano continuamente, i cui giovani furono i primi a gridare il nome “Italia” in questo Pantanella, che in una recente rivista di architettura appare con il nome di Lago della Vittoria.

         Il Montarone, il Pantanella, Myrina con il vicino Regno dei Morti, o Ade, visitato da Odisseo la prima volta partendo con la nave dalla località viestana detta Catharel, ora Gattarella, su invito di Circe, per conoscere la sua sorte, e la seconda a piedi quando era già arrivato a Itaca prima di incontrare suo padre Laerte, diventando luoghi e nomi viestani decantati in tutto l’antico mondo, spostati e finora mai trovati. Il Regno dei Morti si trova nella viestana Necropoli della Salata davanti alla quale sgorgano tuttora tre anonime sorgenti che Omero chiama, qui elencate in ordine di origine, Stige, Cocìto, Piriflegetonte che fondendosi con il classico rumore danno origine all’Acheronte che tuttora sfocia nel mare di Scialmarino sulla parte quasi antistante la sepolta dal fango Merino.

Prof. Giuseppe CALDERISI