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DALLA REMOTA VIESTE, CITTÀ PIZZOMUNNO E PATRIA INCONTESTABILE DI OMERO, IL REGNO DELL’ANGOLO-CULLA DELLA PROFEZIA DI NOSTRADAMUS.

Dopo aver precisato due fatti tra quelli inviati allo scrivente quotidianamente via whatsapp dalla molto stimata sua consuocera, dott.ssa Camilla Fiadino, riguardanti Messina e il suo Stretto sul cui lato siciliano viene erroneamente immaginata l’omerica Cariddi, mentre sul lato calabrese è nata da tempo una cittadina di nome Scilla. Ma con la precisazione che questa è un’ipotesi del tutto errata, poiché Omero scrive che la distanza tra Scilla e Cariddi è pari a quella di un tiro di freccia con l’arco, un fatto che esclude i 3 km di larghezza dello Stretto di Messina. Ragione per cui lo scrivente ha dovuto fare presente che Scilla, mostro marino con sei bocche che, secondo Omero, preleva dalla nave di Odisseo sei suoi compagni, lasciando impotente l’intero restante equipaggio che tutti insieme scelsero di “fuggire atterriti”. Ma soprattutto perchè per lo scrivente la soltanto poetica Scilla venne immaginata da Omeronella viestana “Grotte i Trève”, nome che proviene dal verbo greco treò che significa “fuggire atterriti”. Una tipica fuga che qui avveniva immancabilmente pure per gli sfaccendati adolescenti viestani di qualche tempo fa, compreso lo scrivente, che subito dopo essere entrati per esplorare questa grotta, diventata scura per il fumo generato dal fuoco acceso dai pochi pescatori che la frequentavano e per l’invecchiamento dei micotici (microscopici funghetti) generati dalla persistente umidità tuttora in essa presente, fuggivamo atterriti sia per lo spavento determinato dalle grida “al mostro!!”di qualcuno più grande di età e sia per il fatto che per risalire, singolarmente, da questa grotta bisognava usare l’unico punto roccioso, tuttora esistente in questo crepaccio, sul quale poggiare un piede per arrampicarsi e continuare a fuggire letteralmente atterriti, poiché tutti in preda al panico.

Sempre secondo Omero e in un secondo episodio dell’Odissea, Ulisse si avvicina con la sua zattera all’antro di Cariddi dove viene quasi risucchiato dalle onde che vi entrano, ma riuscendo a salvarsi aggrappandosi al ramo di un fico selvatico, ancora presente fino agli anni 1960 poiché tagliato di tanto in tanto da qualcuno per farne legna da ardere. Secondo il viestano Omero, all’uscita di una delle tre volte al giorno di queste ondate dalla grotta di Cariddi, Odisseo si lancia sull’albero maestro della frantumata zattera, cavalcandolo per proseguire il suo percorso da naufrago, passando ancora una volta davanti alla grotta di Scilla che, secondo Omero, fortunatamente non si accorge di nulla.

Questo crepaccio dalla iniziale forma di un imbuto aperto verso  il mare cui segue un crepaccio seguito da un ampio andro in cui si depositano tuttora alcune ondate che fuoriescono rumorosamente con una violenza tale che lascia vedere la sabbia sul fondo del mare, detto da Omero Cariddi, che è tuttora presente nel Crepaccio di “U Spacche Rusnèlle”. Che dal greco spaò-rose, o rouse-nele(yo) sta per uno “spacco con flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”. Un fatto visibile tuttora in giornate di vento di Grecale per la recente costruzione di un molo foraneo che parte dall’isoletta di (S.) Eufemia, o di (S.) Eugenia.

A Vieste, che anche per questo per lo scrivente diventa l’incontestabile patria di Omero, Cariddi e Scilla distano quanto un tiro di freccia con l’arco, che rispecchia l’approssimativa distanza tra i due corni del Montarone, toponimo di origine greca che da moun(az)-tauro(s)-onem conduce a un “peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente”, dove si trovano tuttora. Dalla parte di S. Francesco il mostro Scilla, nella Grotte i Trève, mentre alla punta della banchina Cariddi a U Spacche Rusnel.

Quasi di fronte a Cariddi e Scilla c’è lo Scoglio viestano detto di (S.) Eufemia: la bene famosa, o di (S.) Eugenia: la buona genìa, di cui nel 1435 il portolano Benincasa scrive che “visto da lontano è simile a una galea”, ma che già per Omero è la nave dei Feaci, nome derivante dalla luminosità delle punte del Montarone, che viene affondata e pietrificata con una manata di Poseidone al ritorno da Itaca. Sempre Vieste, sia per i due corni del Montarone sui quali si trova l’Itaca di Omero; sia per il suo porto che come il viestano Pantanella, toponimo di origine greca che da panta-ne(a)-el(os)-laàs sta per un “completamente-nave-approdo-rupe”, ora ravvivato come Porto Aviane, nome derivante dal greco auo-ano indicante un “grido ad alta voce” fatto sia dai compagni di Diomede per la sua morte, sia per il grido Italia fatto per la prima volta dai giovani immigrati al loro approdo (Virgilio) a Vieste e sia il grido di vittoria verso il dio delle tempeste marine, Poseidone, che riteneva i naufraghi sue vittime predestinate. Vittoria che si trova nel nome della Grotta di (S.) Nicola che dal greco nike-laàs sta come una vittoria-rupe, che fa del Pantanella il Lago della Vittoria presente in una recente rivista di architettura.

Nel Cartolario delle Tremiti il Porto Aviane viene riportato a Vieste tra la punta di (S.) Lorenzo, dacui il Laurento = passaggio stretto di Polibio in sostituzione del sentiero mariittimo dell’Ellesponto di Omero e dell’aestus latino presente nei V(i-a)est(u)s-ane dei Viestani, e la punta di (S.) Eugenia, toponimo appartenente pure al corno grande del Montarone. Ed è, su iniziativa del solo scrivente, il porto viestano del Pantanella che manca nella descrizione del monumento di Diomede col nome di Timavo nel racconto di Strabone (Italia). E Timavo che dal greco tima(o)-auo sintetizza l’essere onorato con lamenti fatti dai compagni di Diomede addolorati per la sua morte. Inoltre all’interno del Pantanella c’è la corrente di acqua dolce tuttora presente e canalizzata nel “Canale della Chiatà”.

Che dal greco cyathos diventa il ciato, in qualche modo analogo di cytos, da cui la biblica Isola dei Cittei per il Montarone anche perché identificati come Pugliesi e Italiani. Infatti il ciato è uno strumento per attingere acqua utilizzato da acquaioli sul Pozzo della Chiatà ancora fino agli anni 1950.

A prova del territorio di Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi di Omero a questo si aggiunge che pure il porto dell’isola di Itaca è munito di una corrente di acqua dolce chiamata Aretusa, che è la stessa presente nel porto dei Lestrìgoni chiamata Artachia; ed è la stessa sia nel porto dei Ciclopi, con all’interno una polla d’acqua dolce e sia nel porto dell’Isola di Trinachia, che veniva traboccato di acqua dolce.

Il nome Trinachia significa dalle tre punte, che vale per Vieste se alle due punte dei corni del Montarone si aggiunge quella meno pronunciata di dietro la Ripe. Quest’omerica Isola di Trinachia è stata erroneamente confusa con la Trinacria, cioè dai tre angoli e da cui la triangolare isola siciliana, già conosciuta da Omero col nome attuale: Sicilois. Inoltre, giunto a Itaca, Odisseo visita una seconda volta e andando a piedi, il Regno dei Morti di Omero che innegabilmente è la viestana “Necropoli della Salata” dove sgorgano tuttora tre anonime sorgenti, presentate da Omero e qui elencate nel loro ordine di origine: Stige che dopo la fusione con il Cocìto si fondono a loro volta con le acque della sorgente chiamata Piriflegetonte, dando origine al finale fiume Acheronte che tuttora sfocia nel mare di Scialmarino sulla cui spiaggia avvengono altri episodi narrati da Omero; tutti motivi che accertano Vieste come incontestabile patria di questo immenso poeta. Nella mitologia lo Scoglio di (S.) Eufemia, o di (S.) Eugenia, diventa l’isola disabitata delle due diomedee, sulla quale è stato sepolto l’eroe omerico sopravvissuto alla guerra di Troia, Diomede, i cui compagni, tramutati in uccelli, continuano a lamentarsi perché distrutti dal dolore per la sua perdita (Strabone. Italia).

Tranne uno (finora anonimo, ma che per lo scrivente è Teuthrante, l’eroe Acheo -nome che deriva dalle punte del Montarone), che sposa Uria, a volte una sirena, che è di casa a Vieste in località incontrata da Odisseo e denominata  Scoglio di Lamicane. Toponimo greco che da lami(e)-can(akeo) conduce alla sua realtà, ancora attuale, di un “mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane – che canta”, con la quale fonda la città chiamandola col nome di lei, Uria, (poi Vesta fondata da Noè) destinata a sprofondare per la vita peccaminosa dei suoi abitanti.

L’altra isola diomedea, detta Teuthria (perciò Teuthrante): bianca, biancastra, prende il nome dal bianco calcareo Montarone, il cui istmo Diomede avrebbe voluto tagliare per renderla una vera isola, ma che non riuscì per sua sopravvenuta morte (Strabone. Italia). Nel seguito lo stesso Omero fa di questo Scoglio pure l’Arca di Deucalione, e Pirra, che dopo il Diluvio di nove giorni (Diluvio Greco) approdano sul Parnaso, che non è quello accaparrato dall’attuale Grecia perché è il monte sul quale il viestano Odisseo: odiato, diventa Ulisse, ferito, perché secondo Omero, da giovinetto venne ferito sul Parnaso al ginocchio dalla zanna di un cinghiale durante un giorno di caccia.

Ed è pure sia l’omerica nave degli Argonauti, poi mitici fondatori della prima città sulla Terra, in cerca del vello d’oro, e sia la tomba del loro capo, Giasone. Mentre, per continuità e per la Bibbia,questo Scoglio diventa l’Arca, per le loro analoghe dimensioni, e la tomba di Vesta, moglie di Noè, che, dopo il Diluvio di quaranta giorni, detto Universale, muore durante l’approdo e in onore di lei Noè fonda sul Montarone la prima città della Terra dandole il suo nome, Vesta, che da ves, o fes, indica la forza tratta dalla potenza del Montarone; ta è la sua estremità.

Una volta precisato ciò, lo scrivente passa alla correzione di altri fatti descritti dai rappresentanti della Società di Storia Patria della Puglia con l’ausilio del Fatto Quotidiano in cui compaiono colossali inesattezze riguardanti sia i viestani Pizzomunno e Cristalda, sia le Iisole Diomedee, erroneamente piazzate alle Tremiti, sia Eracle associato a Manfredonia, sia Calcante e Podalirio associati a Montesantangelo, sia Giano associato a S. Giovanni Rotondo e sia, infine, la morte nel V sec. a.C. del filosofo scienziato Archita nelle acque del Porto Matino, associato erroneamente a Mattinata.

Delle Isole Diomedee per Vieste si è già riferito. Cristalda è un nome recente inventato da un ex alunno dello scrivente, Carlo Nobile, in occasione della partecipazione del Liceo Scientifico di Vieste al Carnevale di Manfredonia del 1965 con un carro allegorico avente per tema la famosa leggenda viestana.

Nome di Cristalda poi diffuso perché, per meri equilibri politici, quest’ex alunno è diventato presidente e poi commissario dell’Azienda di Soggiorno e Turismo. Un Ente Autonomo ottenuto per Vieste su esclusivo impegno dello scrivente nella veste di consigliere comunale e capogruppo di maggioranza relativa. Ma i nomi di partenza della leggenda sono Pizzomunno, in sola rappresentanza del Montarone su cui poggia il centro storico di Vieste, e Uria, una fanciulla matura per il matrimonio ma non ancora sposata, bella come l’iride dell’occhio di un dio, che a volte diventa una già considerata sirena (T. Maiorino), ma che è la personificazione leggendaria delle storiche, poetiche e mitiche correnti viestane che tuttora sgorgano (gr. oureo da cui Uria) e scorrono sul litorale della Scialara, anticamente detta “U Chitrone”, che dal greco cythere porta ad un mellone d’acqua, o anguria, dai Viestani chiamato u chitre. Quindi e comunque un esclusivo riferimento a Vieste come è giusto che avvenga nella creazione di una leggenda, ora stravolta con la presenza di Cristalda.

Tant’è vero che qualcuno aveva inventato il nome di Vestilia per Uria e di Merelio per il Pizzomunno in quanto Montarone. Vestilia sta per Vesti mentre Merelio contiene l’etimo mer di Merino, dove tuttora si trovano le principali località della Troia descritta da Omero e finora dal solo scrivente individuate già nel suo primo libro di pag. 420 avente per titolo: “Vieste: luce eterna; patria di Omero” con sottotitolo: Rivisitazione storico letteraria delle trasmigrazioni dei popoli indeuropei etc.” pubblicato nel 1994.

Tra le realtà territoriali della Troia di Omero troviamo “u Munduncidde”, una minuta duna, o una monade o unica dunetta, che Omero (Iliade. II, 811 e segg.) definisce come “una bassa collina scoscesa accessibile da ogni lato destinato a tomba, altare, sacrario (gr. sema) della molto balzante Myrina”, sulla quale viene tuttora condotta prioritariamente la statua di (S.) Maria, nome ripetitivo derivante etimologicamente dall’omerica Myrina e da cui pure l’attuale Merino. Ed è il dato di fatto che da subito ha dato allo scrivente la certezza di un Omero viestano e l’inizio di infinite ricerche andate fortunatamente tutte a buon fine.

L’omerica Bellacollina viene detta analogamente dai Viestani “u Muntincidde”: un monte piccolo e bello, tuttora presente nella piana di Merino, detto il Piano Grande, ma solo per età, quindi antico, o greco. L’omerico Scamandro è il Canale della Macchia, che dal greco make è il canale della battaglia o luogo di battaglia, nel quale si combattè la più cruenta battaglia descritta da Omero nell’Iliade. Il nome della rocca di Caprareza, dal gr. capra(ina)-rezò indica una Troia sacrificata, o data in sacrificio, sulla quale Seneca (V sec. A.C.) ricorda che “solo una Torre e rimasta in piedi della grande Troia e dalla quale Priamo dirigeva le schiere”.

Nel 1400 c’era un Castellum Marini (A. Russi) i cui resti vengono ricordati pure dal Giuliani nel 1680. I resti di Troia, tuttora presenti a Merino, poiché dopo essere stata bruciata da alcuni Achei, tra i quali Odisseo e Diomede nascosti nella pancia del cavallo di legno, viene sprofondata nel fango in una notte e un giorno per la piena del fiume e di tutti i suoi affluenti in seguito a nove giorni di pioggia (il Diluvio Greco) generati dalla volontà degli dèi per un muro costruito dagli Achei senza fare i dovuti sacrifizi. In una notte e un giorno di maremoto, dovuto alla corruzione dei suoi abitanti, scompare Uria (Del Viscio – Uria), per le correnti viestane, il cui Montarone, come peduncolo isolato, o singularis, viene associato automaticamente ed etimologicamente a una Troia per la presenza del suo etimo iniziale, gr. monios e monos (diz. gr. Rocci).

Atlantide, cioè il Montarone in quanto Pizzomunno, per Platone viene fatta ugualmente sprofondare nel giro di una notte e un giorno per un cataclisma dovuto alla vita corrotta del suo popolo. Altra incontestabile prova ufficiale di una Troia viestana, poi estesa a tutta la Puglia e di cui nessuno studioso e scrittore storico si è accorto prima, si trova nella sua identità greca di Ia-pyga Mes-apia, che portano a un’unica, o monade, Troia – centro dell’antichità. Quindi una Troia esclusivamente Italiana, o meglio Pugliese, o più realmente Viestana.

Vieste in quanto Pizzomunno è presente in Omero quando descrive l’isolata in mezzo al mare, quindi non un’isola, Skeria: dall’indeur. sker = approdo, situandola tra il molto sciabordio delle alte onde e all’estremo del mondo e identificandola come Capitale (o Metropoli = città madre), del Continente Apeira = aperta, che è lo stesso sia di Apulia: senza porta, derivante da Vieste come città degli Uri Aperti del Gargano, e sia dell’attuale Europa: vasta vista, sinonimo di aperta e di senza porta.

Inoltre la sinonimia di pizzo con atlante si trova nel Pizzomunno per il Montarone la cui potenza conduce sia all’infaticabilità (gr. a-tlenai) di Atlantide e dell’Oceano Atlantico e sia della forza presente nel nome del Golfo Adriatico, dal greco adros: forte. Golfo Adriatico detto dai ragazzi viestani coetanei dello scrivente il Mare Piccolo e dai pescatori viestani le Acque de Fore (di fuori mano, cioè di sinistra od occidentali) che veniva diviso dal Mare Ionio: orientale, detto dai pescatori viestani come il Mare Grann, cioè il Mare Grande. Divisione presente in Omero, oltre che nelle parole di Alcinoo, re di Skeria, che nel presentare il naufrago Odisseo afferma di non sapere se provenisse dalle genti esperion, occidentali, o dalle genti eonion, orientali. Questa divisione viene ufficializzata da Omero con l’Ellesponto, che da elles (da cui gli Elleni capeggiati da Achille = di fronte alle punte – del Montarone) è il solstiziale estivo, o greco, o antico, sentiero del vasto, largo, mare forte e alto (pontos). Divisione che viene condivisa dal geografo-matematico Tolomeo nel VII sec. a.C. e valsa fino al 1600 d.C. (Mappa del Magini).

Ma Ellesponto subitamente ed erroneamente individuato da popoli interessati e poco attenti con il canale marittimo stretto da due terre qual’ è l’attuale Bosforo. Un errore analogamente avvenuto per il continente Atlantide, sinonimo di Pizzo-munno, Pizzo del Mondo che è l’Europa (vasta vista)a sua voltasinonimo dell’omerica Apeira (aperta) da cui i Viestani identificati come gli Uri Aperti del Gargano. Ma Continente che viene tuttora cercato vanamente oltre lo Stretto di Gibilterra sul quale è stato situato pure un monte Atlante (nel Marocco) che in realtà è il viestano Montarone.

Mentre, subito dopo Omero, la divisione dell’attuale Mare Adriatico in due partiva pure da  Platone con quella di “un mare che non si può dire vero mare (il Golfo Adriatico), per la poca navigabilità dovuta alla presenza delle numerose isole (2000) ora tutte croate, da un mare che si può dire vero mare” (il Mare Ionio) poi individuato erroneamente con l’Oceano Atlantico, che è un sinonimo di Adriatico. Allo stesso errato modo con cui le viestane Colonne d’Eracle: da una parte il bastione di u Puzmume, dall’altra l’adiacente roccia della viestana Ripa che, secondo Omero e considerazione del frastornato naufrago Odisseo, “arriva fino al cielo e che pare levigata e che nessun mortale avrebbe potuto scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi”.

Questa Ripa, cioè Rupe, fa parte del possente Montarone in quanto Pizzomunno che, quindi, diventa il reale Monte Atlante, infaticabile. Come già anticipato queste Colonne sono state erroneamente situate sullo Stretto di Gibilterra sempre per un’altro errato trasferimento dell’Ellesponto di Omero. La viestanità di Atlantide e delle Colonne d’Eracle si può ricavare dall’interpretazione di Dicearco (347-285 a.C.), discepolo di Aristotele e uno dei padri della geografia greca, quando scrive: “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle”. Dalle quali, in quanto viestane, in effetti e già con Omero, si dividevano il Golfo Adriatico e il Mare Ionio.

Dalla sinonimia di pizzo con atlante e con angolo si risolve pure l’enigma del grand Roy d’Angoulmoise: il grande Regno dell’Angolo-culla, di Nostradamus che nel 1500 nella quartina X. 72, previde che ne’ “L’an mil neuf cent nonant neuf sept mois,/ Du ciel viendrà vn gran Rov d’effrayeur./ Resusciter le grand Roy d’Angolmois,/ Auant apres Mars regner par bonheur”. Che alla lettera significa: “L’anno millenovecentonovantanove settimo mese/ Dall’alto verrà (improvvisamente, o come un fulmine verrà!) un grande ciclo (Rov è l’abbreviazione di route!) di fatti madornali (d’effrayeur)/ Risuscitare il grande Regno (Roy sta per royume) dell’Angoloculla/ dopo una girata avanti dietro (auant après) di polemiche (Mars sta per il dio della guerra Marte, quindi polemiche inevitabili!) regnare per buona pace di tutti”.

Il che significa che dopo un grande ciclo di polemiche su fatti madornali la città detta Pizzomunno, che è lo stesso di Atlantide e di Angoloculla, tornerà a governare per buona pace di tutti. Un fatto che avveniva in tutta l’Europa (Seneca) prima dell’arrivo della potenza romana e dell’avvento del cristianesimo. D’ora in poi tutto il nuovo più roseo e definitivo futuro di Vieste dipenderà dalle tuttora increduli Amministrazioni Municipali Viestane, ivi compresa quella in carica, trattandosi di una eccezionale scoperta che ha dato allo scrivente la possibilità di pubblicare nel 1999, data prevista da Nostradamus, il suo secondo libro di pag. 370 avente per titolo: “Vieste, figlia dell’Eternità, da unità di luogo e di tempo dei poemi omerici a principio dei miti universali” con sottotitolo: “Rivisitazione del mito di Atlantide e altri”.

Mentre da questa profezia nasce il suo terzo libro, già pronto da oltre un ventennio, di pag. 553 in fase di pubblicazione avente come titolo “La storia incredibile, ma vera, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente” con un sottotitolo che ricalca quanto finora affermato sulle varie sinonimie. Tra cui l’identità di Vieste come Pizzomunno, che è lo stesso di Atlantide e del Regno dell’Angoloculla, che non porta assolutamente al monolite che durante l’adolescenza dello scrivente veniva identificato come “U Puzmume” di cui è testimone il titolo di una poesia dialettale del maestro Gaetano Delli Santi. In realtà questo Puz-mume è il bastione (gr. pougx, leggi punxi) della vergogna, basta guardarlo senza fantasticare, anche perché il suo nome termina con mume di Momos, il dio greco della risata e della maldicenza che nei banchetti si divertiva a prendere in giro gli altri dèi, cosa per la quale fu cacciato dall’omerico Monte Olimpo, altro monte viestano usurpato dall’attuale Grecia.

Del  bastione del Puzmume Omero lo dice minacciato di essere vomitato sul fianco della città dal vendicativo Poseidone per ammonire i Feaci, nome derivante dalla luminosità dei corni viestani, a non accompagnare più nessuno dopo averlo fatto con Odisseo. Questo bastione di pietra viene nel contempo glorificato e, quindi, realizzato sempre da Omero quando racconta che per salvarsi ad esso si attaccano sia Eracle, da cui le Colonne d’Eracle poi trasferite erroneamente sullo stretto di Gibilterra di cui si è già riferito, sia Odisseo dalla persecuzione nel mare di Poseidone che infine gli fa mettere piede in località, sempre viestana, detta “la Scan-za-tore”. Toponimo di origine greca che porta a un “palcoscenico per mezzo del quale farsi sentire a voce alta”, che è quanto avviene per il tramortito Odisseo svegliato dalle grida di Nausica, principessa di Skeria (sempre Vieste!), e delle sue ancelle perché la palla con la quale stavano giocando era caduta nel fiume, che è la prima corrente viestana, in attesa che i panni lavati e stesi sulla sabbia si asciugassero. Questo significa che Eracle è un personaggio creato dal poeta viestano Omero quando ricorda che da solo ha distrutto Dardania, la primitiva Troia, per un disaccordo nato dalla trattativa per l’acquisto di cavalli (di Troia, ora rovinata Merino). Un fatto che esclude l’associazione di Eracle con Manfredonia. Anche se in seguito Eracle viene esaltato mitologicamente con le mitiche dodici fatiche più altre di rilevante interesse.

Lo stesso dicasi per i personaggi omerici Calcante e Podalirio, erroneamente associati a Montesantangelo, poiché l’indovino Calcante sostava miticamente su un’altura viestana: la Coppitella, ma più probabilmente la Chiesiola, che si affacciano sul territorio garganico e dalla cui sommità consigliava la direzione del percorso da seguire ai migranti che si spostavano continuamente sempre in cerca di nuovi territori.

Podalirio (poi medico) era miticamente solito riempire gratuitamente, salvo qualche offerta volontaria, i recipienti agli acquaioli con acqua potabile che veniva da lui prelevata con un recipiente (il ciato, poi un secchio) dal viestano Pozzo della Chiatà tuttora presente, ma non più funzionante. Gli oboli volontari venivano gettati dentro una fessura naturale della roccia sulla quale è poi stata edificata la chiesetta della Chiatà, o della Biatà, da poco diventata Chiesa della Madonna della Pietà. Manco stessimo in pieno periodo medioevale.

Anche se tutte le rotonde, come quella rocciosa presente davanti la città di S. Giovanni Rotondo vista dalla pianura, erano dedicate a Giano con l’identità di bifronte, da cui le rotonde ad esso dedicate, questo mitico personaggio generato dal latino ianua, porta, e ianus, passaggio, è una delle tante personificazioni di Vieste, in origine Estia, o Istia che dal gr. isthemi conduce a un porticato, o passaggio protetto, o un sisto, in quanto città capo, punto fermo del sentiero marittimo solstiziale estivo dell’Ellesponto che, – oltre ad essere greco di natura, secondo le indicazioni di Omero (vedi Iliade, libro IX, v. 359 e seg. e libro II v. 844-845), da cui la Magna (grande, soprattutto per età) Grecia per l’Italia (meridionale??), nome usurpato come tutto il resto dall’attuale Grecia dal VII sec. a.C., – e grecità che si trova nel latino aestus (leggi estus).

Aestus che, oltre il molto sciabordio delle alte onde del mare e all’estremo del mondo in cui si trova Skeria per il Montarone come Pizzomunno, significa: sentiero solstiziale estivo, che si trova nei Viestani che tuttora si autodefiniscono V(i-a)est(y)s-ane: cioè figli dell’(a)estus più alto. Ed è il sentiero (passaggio stretto) chiamato da Omero col nome di Ellesponto che considera il sentiero marittimo del Sole nel giorno del solstizio d’Estate, che vale per essere identificato come l’originario greco, o antico (elles), da cui gli Elleni, quindi Viestani, capeggiati da Achille ed erroneamente identificati come Greci dagli abitanti dell’attuale Grecia, unitamente alla simultanea ed errata confusione dell’Ellesponto con il canale del Bosforo.

Antichità, o grecità che quindi si riferisce a quanto si trova sul percorso del Sole il 21 Giugno: giorno in cui il Sole nasce sul mare precisamente da dietro la punta nord-occidentale dello Scoglio viestano da dove arriva pure il vento di Grecale, mentre tutto il resto era da considerarsi barbaro.

L’identità viestana di Giano viene confermata dai suoi epiteti di matutino, o di pater matutinus, che conducono a Vi-este = figlia dell’Oriente, o dell’Aurora, che sono lo stesso di un Presto Mattino. Giano si trasferisce sul Gianicolo a Roma, città nata realmente e miticamente da gente indeuropea e dell’Asia Minore trasmigrata da Vieste. Infatti il nome Roma viene dal gr. rome: forte preso dal possente Montarone e dal ves, o fes di Vesta, allo stesso modo di Londra, che aveva come primo nome Trojanova, e di Parigi che viene da Paris, il nome del troiano Paride, detto da Omero pure Alessandro.

Questo significa che le acque del Porto Matino in cui annega lo scienziato Archita non sono quelle di Mattinata, che oltre il porto artificiale realizzato poco tempo fa è un nome che significa un mattino inoltrato, ma le acque del porto del Pantanella, o del Porto Matino, in origine profonde fino a m 23, o di quelle marittime ad esso antistanti.

Prof. Giuseppe CALDERISI,

nato a Vieste il 01 Febbraio 1943.