Menu Chiudi

STORIA DELLO SCOGLIO E ALTRE NUMEROSE PROVE SULLA REMOTA CITTÀ DI VIESTE QUALE INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, IL PIÙ GRANDE POETA DI TUTTI I TEMPI E DEL MONDO.

Quando nell’Estate del 1971 invogliavo gli Inglesi ospiti dell’Hotel Pizzomunno a visitare l’isoletta del Faro, definendola meravigliosa, la loro referente con fare tipicamente anglosassone mi rispose: “ma dai! Non è che un piccolo scoglio. Ed è persino brutto!”

Mi sentii ferito anche se a questa data non ero a conoscenza di alcuna notizia né sulla sua storia e neppure di quella di Vieste. Non ebbi parole per replicare. Non solo perché la mia conoscenza della lingua inglese era soltanto scolastica, ma anche perché, pensai, cosa ne può mai sapere costei?

Come  posso spiegarle l’importanza di un Faro per i naviganti e in particolare per la mia città che a quella data nel mare ci stava ancora quasi tutta dentro? Come posso trasmetterle quei sentimenti di sicurezza che provavano i marinai e i pescatori di ogni parte nel vedere la luce di questo Faro volteggiare lontano anche verso l’orizzonte del mare?

E i sentimenti degli allora quasi miseri abitanti viestani, tranne pochi, che chissà quante volte hanno desiderato andare lontano insieme con i fasci di quella luce nel passare del tempo e che di sera veniva scandita a intervalli regolari da quella lanterna ruotante.

E il senso di tranquillità che dava ai Viestani la luce di questo Faro quando nel suo percorso illuminava le pareti dei fabbricati, le strade allora ancora scarsamente illuminate e l’interno delle case nell’epoca in cui oltre le frequenti interruzioni dell’insufficiente forza della rete elettrica nazionale in casa si tenevano spente le già scarse lampadine per risparmiare sulle spese famigliari sul consumo della corrente elettrica?

E come ricordarle che su ispirazione di questo Faro è stato intitolato fin dal 1949 un giornale locale mensile col nome de: “Il Faro di Vieste”, le cui poche notizie di allora si immaginava venissero scorte dalla sua luce che invadeva tutte le case viestane? E come riferirle della straordinaria somiglianza di quell’isoletta a una grande nave con due prore che resisteva da sempre ai forti marosi talvolta generati da venti contrari che gli spiravano contro nello stesso tempo?

E che dire delle sfide che noi adolescenti del tempo, anni 1950, facevamo con noi stessi con la prima impegnativa traversata a nuoto per raggiungere questo Scoglio situato in mare interamente profondo a 97 metri di distanza dalla terraferma, allora nota come Punta della Banchina, o della Mancina. Come posso spiegarle della fantasia degli stessi adolescenti che vedevano in quei fasci di luce pure uno squarcio luminoso sul loro futuro? Come posso evidenziarle l’ingiusto disprezzo per una parte della città a me tanto cara, essendo nativo e avendo vissuto i miei primi cinque anni nel quartiere murattiano proprio di fronte a questo isoletta del Faro? Tempo passato.

Ora che sono diventato un anziano stanco di vedere la mia città da sempre depredata della sua antica storia e valore, tanto da essere definita la “Perduta” dal Gregorovius nel 1800 e la “Sperduta del Gargano” dal Beltramelli nel 1907 che si trova pure nell’altro nome temporaneo di Vieste identificata proverbialmente sia come Apina, la lontana, che appare pure nella polismation Uria di Strabone come la “remota, la sperduta del Mondo” e sia come Trica, divisa in tre parti, che senza saperlo ha ispirato Omero nell’identità dell’Isola di Trinachia, dalle tre punte, della quale si dirà ancora.

Con il suo studio nel tempo e dopo attenta riflessione lo scrivente si è accorto che questo Scoglio rappresenta incontestabilmente la perla, ora del solo Gargano, incastonata naturalmente tra le punte dei due corni del Montarone su cui poggia il centro storico di Vieste.

Montarone che fisicamente sorge dal prolungamento della collina di (S.) Margherita, che dal greco margarita sta per un castone sul quale inserire naturalmente questo Scoglio nell’ovvia identità di una perla. Un dato di fatto che trova conforto nella sua adiacente collina avente il toponimo di Carmine, più nota come Collina di S. Giorgio, ma chedal greco carme testimonia la realizzazione di una poesia in versi cantati, che vale innanzitutto per i Poemi di Omero che li fa cantare dai cantori Demodoco, il venerato dal popolo in Skeria, da Femio, il quant’altri mai famoso in Itaca, e in Argo da un cantore anonimo, ma sempre Vieste.

Omero che da òmeròs secondo il voc. gr. Rocci indica un cieco ma che più realmente come sommo poeta da O’meros porta a un quant’altri mai stimato, che si trova nel nome di un vedente Demodoco, il venerato dal popolo, essendo Omero notoriamente il poeta più grande di tutti i tempi e del Mondo.

Questo per significare che quei fasci luminosi a intervalli regolari erano anche una perenne invocazione allo scrivente di scoprire il lontano e del tutto inaspettato, ma glorioso passato di Vieste e dell’isoletta dalla quale questo Faro ha ultimamente gettato un grande squarcio di luce, avvenuto precisamente nell’anno 1989 in occasione della partecipazione dell’incuriosito scrivente a un convegno su Uria Garganica.

Cittadina di Uria tuttora contesa da più Comuni Garganici, ma che appare già tradizionalmente sprofondata, insieme con l’altrettanto errata ubicazione delle viestane Isole Diomedee alle Tremiti, in una mappa del Gargano del periodo Augusteo, nel Lago di Varano, indicato come Sinus Urianus che per lo scrivente è storicamente un antico nome del porto naturale del Pantanella che per estensione potrebbe passare al Golfo Adriatico, che dal gr. adros: forte, in effetti nasce dalla possanza insita nel toponimo del Montarone viestano o dalla forza presente nell’indeuropeo fes, o ves, di Vesta.

Ma errata ubicazione di Uria di cui si è reso ultimo paladino il vichese Del Viscio, scrivendo un libro “Uria” ma soltanto per buona eufonia tra Uriano e Varano ma senza minimamente considerare l’essenziale differenza esistente tra i significati dei latini sinus, golfo, e lacus, lago, qual è in realtà quello di Varano.

Un Del Viscio che, però, ha avuto il grande merito di aver raccolto e pubblicato molte notizie storiche, poetiche, leggendarie e fiabesche sul suo sprofondamento. In specie quando, oltre a identificare Uria giustamente con un piscio, forse per scoraggiare altre cittadine pretendenti, si lamenta sulla sconosciuta provenienza della Voce Tauro che, non essendo viestano, la fa derivare dal rumore del riempimento delle acque del Lago di Varano, mentre è una voce proveniente dal rumore delle ondate che urtano gli scogli lesionati del Mon-tauro(s-o)ne, in particolare contro le decantate da Omero Rupi Erranti, o Naviganti, dette dai viestani i Murge Scuffelète o Lesionate dalla forza delle ondate nei secoli.

Come pure e maggiormente dal sonoro rimbombo che fuoriesce dalle ondate che entrano ed escono rumorosamente nel Crepaccio detto Spacche Rusenèlle, facente parte del Montarone e di cui si dirà ancora. Ma pure quando il Del Viscio scrive: “La fantasia incarna i due vizi nel principe di Uria, il quale, al tempo dell’inondazione della città, trovavasi con l’unica figlia Giulia a villeggiare in una villa che possedeva nel tenimento di Vico. Non sappiamo come sia nato o donde sia stato attinto il nome di Giulia, dato dal volgo alla figlia del principe di Uria” poi identificata come ipotetica figlia scellerata dell’imperatore Augusto che la fa imprigionare sulle Isole Tremiti.

Mentre, secondo lo scrivente e come si vedrà in seguito, la stretta parentela di questa Giulia, in quanto figlia del principe di Uria, significante essere nata leggendariamente dall’animato Montarone con l’identità di Uria che vale anche per la presenza della sua limitrofa Troia di Omero, ora rovinata località viestana di Merino.

Dal momento che i peccaminosi Giulia e il padre principe di Uria vengono sprofondati da un’inondazione nel giro di una notte e un giorno per volere di Dio, che trae origine da quello leggendario di Uria, città che viene fatta sprofondare per la vita sconsiderata e peccaminosa dei suoi abitanti nello stesso arco di tempo sempre per volontà divina.

Ma sprofondamento in una notte e un giorno che, all’insaputa di tutti, parte da quello poetico della Troia di Omero avvenuto nello stesso arco di tempo dopo che era stata bruciata dagli Achei, perché colpevoli di avere eretto un muro davanti a Troia senza fare i dovuti sacrifizi agli Dei, secondo Omero, ma i cui avanzi sono tuttora in parte conservati nella rovinata Merino. Ma soprattutto perché Giulia è un nome femminile derivante dal greco Ylo che vale per il primitivo territorio paludoso di Ilio, altro nome di Troia, ora Merino, considerato il suo tuttora effettivo sprofondamento nel fango in cui si trovano tuttora e fortunatamente ancora molte sue inesplorate rovine.

La sprofondata Giulia è lapersonificazione della paludosa Troia di Omero strettamente imparentata con la sprofondata Uria, sempre per il Montarone nell’animata identità leggendaria di principe di Uria padre di Giulia. Una stretta parentela di Giulia con Uria che si trova pure nella fondazione di Roma da Iulo, gr. Ylo, unico figlio del troiano Enea, fatto sbarcare storicamente, ma erroneamente a Vieste, ignorando come tutti finora, la loro creazione dalla fantasia del poeta viestano Omero, anche perché da Iulo nasce la Gente Giulia per i Romani. Premesso che secondo lo scrivente il nome Vico proviene dal greco Ui-oicos facendoli diventare figli diretti, discendenti della primitiva casa, o focolare, di Estia data la immediata vicinanza, antichità e derivazione di questa cittadina da Vieste, per nobilitarsi, dopo la sparizione di Uria come di fatto è avvenuto pure con altre città sia italiane, come principalmente Roma, e sia europee come Londra e Parigi con la sparizione di Troia, come si vedrà in seguito. Inoltre sulla base di una poesia del vicario foraneo di Vico, De Ciocchis, l’incerto Del Viscio aggiunge che: “una certa Nunzia, donna di illibati costumi tra la generale corruzione della città, abita in una modesta casetta.

Un giorno, mentre lavora all’arcolaio nella sua cella romita, tra il cigolìo del suo arnese sente una voce possente che dice: <Fuggi, Nunzia, che Uria è minacciata da Dio>. La pia donna va verso l’uscio e vede la città inondata e le acque che avanzano minacciose verso la sua casupola posta all’estremo lembo dell’abitato. All’apparire di Nunzia le acque si placano. Da allora lei stessa è ritenuta una santa e la sua cella solitaria, ritenuta sacra, prende il nome <La Nunciata>. Questa Nunzia non è altro che una delle tante leggendarie personificazioni della posizione estrema sul mare della città di Vesta che dal greco fes, o ves-ta porta a una forte estremità, presente pure nella potenza del Montarone, e che viene identificata come divina perché situata all’estremità orientale del Gargano e di fronte alla perenne nascita del Sole e della vita che la rende tale.

Come pure nell’identità di focolare, lo stesso di casa, di domicilio, di dimora, presente pure nel greco oiceò (leggi oikeo, simili e derivati) per l’attuale Vico, nome che rende i Vichesi i figli passati da questa nativa sacra dimora, che per questo diventano servitori nel senso di collaboratori della casa originaria presente a Vieste col nome Estia in cui sono stati idealmente generati perché trattasi di un popolo di emigranti passati da Vieste.

Lo dimostra la nutrita partecipazione in tempi passati, di cui scrive il Giuliani, e fino ad alcuni anni fà dei Vichesi alla festa di S. Maria di Merino. Cittadina di Vico nata da pastori come tutte le altre cittadine centrali garganiche e non solo, dopo il poetico sprofondamento della Troia di Omero che automaticamente e per tradizione diventa il leggendario sprofondamento di Uria, che dall’indeuropeo ur è fuoco da intendere come focolare, casa. Ma leggendario sprofondamento da intendere soltanto come sacrificio di un capro espiatorio, lo stesso valido per Troia perché concetto presente nell’Iliade di Omero anche se da tutti ignorato perché interamente attratti da altri fatti. Cittadina di Vico che viene identificata come la dialettale Voico e Boico derivanti da foiceò, lo stesso di voiceò (la c = k), all’origine di oiceò, da cui si ricava la sua origine dovuta ai trasmigrati pastori, non avvezzi ad attività marinare, certamente di origine indeuropea, per indicare questa Vico come la loro nuova casa, dimora della loro attuale residenza.

Ma la cui indole di astuti si verificava durante la vendita di animali soprattutto da soma portati dai paesi interni del Gargano a Vieste durante l’ultimo giorno (11 Maggio) della festa di S. Maria di Merino, tradizionalmente destinato pure a Fiera del bestiame, tempo fà necessario per molte attività, poi estinta per il sopravvento dei mezzi meccanici. Furbizia, talvolta adulatrice che si trova nel loro autodefinirsi Vicaioli, specificamente nell’etimo finale aioli, derivante dal greco aiolos, nomignolo da qualche tempo giustamente aborrito con la scelta di farsi identificare come Vichesi semplicemente come abitanti di Vico.

Anche se in forma più umanizzata questa illibata Nunzia va identificata con Vesta nell’identità di una fanciulla matura ma non sposata, quindi illibata, presente nel gr. òria, lo stesso di Uria dal gr. Oreihe: Oria che, per continuità, diventa la originaria bella fanciulla di nome Uria che viene tenuta per lungo tempo sott’acqua, quindi temporaneamente sprofondata, dalle sirene nella leggenda viestana. Leggenda che trova convalida nel nome Uria, gr. oureò,comepersonificazione dello sgorgare (il piscio del Del Viscio!) delle sorgenti delle correnti tuttora presenti a Vieste, chiamata Uria anche per indicare una polivalente e polifunzionale Vieste che come figlia sacra, come è diventata questa favolosa Nunzia, si trova pure nel greco esti di Vi-esti, figlia sacra, e nell’indeuropeo Urja, terreno sacro. Città di Vieste situata sul Montarone viestano e all’estemità, ora del Gargano, che in realtà tuttora si (an)nunzia (gr. aggello; leggi angelo) sul mare verso il perenne sorgere del Sole e della vita soprattutto nel giorno del solstizio d’Estate, latino aestus dei Vestysane, che diventa pure l’estremo lembo, il sisto di Istia, in cui si trova la casa di questa fiabesca Nunzia il cui nome nasce da questa funzione di angelo che poi si trasferisce al Monte SanctoAngelo per il Montarone e poi esteso al Gargano. L’altruista viestano dr. Giuliani, invece, nel suo libro conclude che Uria è l’antica Rodi, malgrado avesse fatto un’attenta analisi sul nome di Rodi e dei Rodiani, tuttora individuati in dialetto come Rore e Roriani, facendoli giustamente pervenire dal latino rore-is, rugiada.

Significato che oltre ad essere indicativa come data di nascita di questa cittadina in periodo romano, quindi postuma a una greca, nasce dalla rugiada che si genera abbondantemente sul suo territorio per la sua calda e soprattutto umida esposizione verso il nord del Gargano.

Ma senza neppure tenere conto che l’attuale nome Rodi è stato usurpato a Vieste, identificata per qualche tempo col nome Rhodiae perché fondata dai Rodii sbarcati dopo l’immancabile naufragio necessariamente nella portuale Vieste, precisamente nell’unico protetto da rupi porto naturale del Gargano, e non solo, chiamato Pantanella. Mentre alla conclusione del predetto convegno su Uria il contrariato viestano sac. Marco Della Malva esprimeva con veemenza le sue errate deduzioni, annunciando categoricamente ai relatori e alla platea che Uria si trovava a Torre Mileto. Ipotesi confermata nel suo ultimo libro.

Per tornare all’attuale Faro viestano, nella cui profondità della esistente grotta naturale tuttora sgorga, incredibilmente, una sorgente d’acqua buona da bere e che, secondo un articolo pubblicato su un quotidiano in occasione di un guasto che durante un’Estate ha tenuto spento il Faro per diversi giorni, ora avrebbe più di 220 anni.

Lo scrivente non conosce la fonte da cui è stata tratta questa sua anzianità, anche se c’è da immaginare che la notizia sia pervenuta da documenti dell’allora Ministero della Marina e che questa sia la data di entrata in funzione della attuale struttura. Poiché sulla parte alta della parete della sovrastante torre del Faro, vista da verso l’orizzonte marino, compare la scritta VIESTI e, come si scorge tuttora, alla vocale finale “I” sono state successivamente aggiunte tre stanghette orizzontali parallele per farla diventare VIESTE. Viesti era il nome tornato ad essere legittimamente il più usato per identificare questa città soprattutto a partire dai primi decenni del 1800 e fino al 1950 pure dall’incerto padre dello scrivente, nato il 1894, quando infine fu costretto a far prevalere l’attuale nome Vieste.

Per correggere il pensiero di E. Bacco scritto nel 1618, c’è da dire che Viesti non è una corruzione di Vieste e neppure di Vesta, poiché Vi-esti è un riferimento all’essere figlia (gr. ui abbreviazione di uios) della remota sacralità (esti) del territorio viestano che si trova pure come terreno sacro nel sanscrito Urja, nome romano di Vieste mai da nessuno analizzato prima. Vieste, dal greco ui-este, indica l’essere figlia di tanti altri valori e nel caso specifico di quello geografico, considerato parimenti sacro per la sua identificazione con il punto più a Est dell’antica Terra, ora del Gargano.

Ovvero con il punto più vicino al sorgere del disco del Sole (greco este di Vi-este da Eòs, figlia dell’aurora) il giorno del solstizio d’Estate, che il 21 Giugno si vede sorgere frontalmente da dietro la punta nordoccidentale dell’isoletta del Faro. E posizione di città avanzata sul mare da cui nasce pure la perenne identità di Vieste come città Pizzomunno, Pizzo del Mondo: Nella fattispecie come sinonimo di Punto Fermo del Mondo presente nel suo nome greco di Estia per l’importante e remota funzione religiosa di Vieste in onore dell’omerica divina Myrina, ora Merino, o Istia per la sua posizione e funzione geografica che dal gr. isthemi diventa un sisto, equivalente a un preciso punto di un passaggio scoperto.

Punto Fermo verso il Sole nascente dal quale origina l’identità di Vieste come esclusiva prima città greca, cioè antica in senso assoluto, poiché questa stessa identità si trova pure nel latino aestus presente nei V(i-a)est(y)s-ène (le lettere tra parentesi diventano mute come la dialettale e senza accento) con cui esclusivamente ed autonomamente si identificano tuttora i soli Viestani nel loro interessante dialetto di origine greca classica. Aestus che da una parte sta per lo stare nei grandi flutti che tempestano continuamente i corni sui quali è poggiata l’antica Vieste come prolungamenti del Montarone, toponimo di origine greca che da moun(az)-tauro(s)-onem conduce a un “peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di un toro possente”.

Mentre l’iniziale Mon del gr. monios da monos, questo solitario peduncolo si identifica con il latino singularis, da cui l’identità con un cinghiale (diz. gr. Rocci) e nello specifico caso alla sua femmina detta Troia. Identità con la limitrofa a Vieste Troia di Omero che vale pure per l’isolato Scoglio poiché anticamente tutti i solitari scogli appena affioranti dall’acqua venivano paragonati a un delfino, che solitamente veniva associato a un capros, un cinghiale, derivante dal latino singularis, e quindi alla sua femmina detta Troia (vedi isola di Capri!). Comune identità di entrambi questi luoghi viestani che spiegano la leggendaria stretta parentela di Troia con Uria che si trasferisce alla fiabesca Giulia figlia del principe di Uria del Del Viscio.

Un dato di fatto che diventa reale con il leggendario sprofondamento di Uria, per Vieste, in una notte e un giorno per volere degli dèì che parte da quello di Troia di cui si è già riferito. Sprofondamento che, all’insaputa di tutti, trova continuità nel concepimento della leggenda viestana, come è più giusto che sia avvenuto nella sua invenzione, del bel pescatore Pizzomunno, personificazione dell’isolato possente Montarone, innamorato della fanciulla matura, greco òria, figlia di un locandiere bella come il Sole di nome Uria, personificazione concreta di tutte le sorgenti delle correnti viestane (gr. oureò), come pure dall’utilizzo di un canale per trarre le navi da e per il mare presente nel greco òureò, e idealmente della sua posizione estrema (gr. oria e orion) dell’antico Mondo, che per la gelosia delle Sirene, di casa a Vieste con la poesia di Omero come si vedrà, viene incatenata e trascinata sul fondo del mare e che in una sola notte di luna piena di ogni cento anni questi due leggendari protagonisti sono lasciati liberi di amarsi per poi Uria tornare sott’acqua perché trascinata dalle catene delle gelose sirene, mentre l’amato Pizzomunno, per il Montarone, si pietrifica dal dolore per la successiva lunga attesa.

D’altra parte il latino aestus dei V(i-a)est(y)s-ène, oltre lo stare nei grandi flutti marini che tempestano continuamente il Montarone, significa pure il trovarsi Vieste sul sentiero solstiziale estivo, cioè sull’antico sentiero percorso dal disco del Sole nel giorno del solstizio d’Estate (21 Giugno), presente pure come punto orbitale nel sisto, come punto fermo di un passaggio scoperto, di Istia per Vieste.

Giorno in cui questo disco solare si vede sorgere frontalmente da dietro la punta nord-occidentale dello Scoglio e da cui il nome tuttora greco di Vieste, col significato di figlia dell’Oriente, lo stesso di Aurora, del Mattino, del Greco, che comprende l’esclusiva sua grecità, equivalente di antichità. Poiché l’essere greco in origine equivaleva a tutto ciò che si trovava sul sentiero del Sole il giorno del solstizio d’Estate, lo stesso del sentiero solstiziale estivo del latino aestus dei Vest(y)sane e nel punto orbitale del sisto anche come punto fermo di un passaggio scoperto presente in Vieste col noem di Istia,mentre tutto il resto era da considerare barbaro, a cominciare dalla indebitamente finora vissuta culturalmente di rendita attuale nazione detta erroneamente Grecia. Invece la Vesta del Baccoper Vieste, è un nome di origine indeuropea indicante una forte estremità ereditato e glorificato dai Latini, o Romani, ma come deificazione dell’orografia del solitario possente Montarone perché fortificato con alte e bianche rupi calcaree che lo incingono, vestendo il sito estremo dell’antica Terra, o Continente, ora del Gargano, sul quale c’è l’antica e quindi pure greca in tutti i sensi città di Vieste. Este che da Eòs diventa Greca e città da identificare come la greca Megale Ellas, poi latina Magna (di età) Greca da cui, per estensione, la Magna Grecia per l’Italia, non solo meridionale, che pure storicamente trae origine dal porto del Pantanella e dall’isolato e possente Montarone nell’identità di Pizzomunno.

Le prerogative e le raffigurazioni mitologiche di Vesta sono la dimostrazione che, per la sua posizione avanzata sul mare, Vieste è stata una città Faro fin da tempi remoti. Infatti, non è un caso se la dea Vesta veniva rappresentata come una vergine turgida, forte, turrita con una fiaccola accesa dentro la mano destra elevata, mentre le sue ancelle, le Vestali, destinate a conservare la loro verginità per 30 anni, mantenevano perennemente acceso il fuoco nella sua principale prerogativa di punto di riferimento della casa, della famiglia, censita come fuoco per oltre due millenni.

La sacralizzazione di Vieste diventa più verosimile se si considera che la fondazione di Roma è avvenuta da gente passata da Vieste, qual è principalmente il soltanto ideale emigrato Iulo, dal gr. Ylo per l’omerica Ilio altro nome omerico di Troia, unico figlio del troiano Enea e da cui i Romani come la Gente Giulia, ma in perenne lotta con Turno, figlio di Dauno, suocero dell’argivo Diomede.

Inoltre Vesta è il secondo nome di Roma e pure la sua prima dea protettrice in sostituzione della greca Estia, primo nome ufficiale di Vieste, indicante un pubblico focolare, altare, santuario. Nella fattispecie di quello della divina Myrina di Omero, ora santuario di Merino col nome di Assunta in Cielo, divinità da considerare come essenziale punto fermo, pure di origine del Cristianesimo, in un primo tempo imposto, pena di morte, dai Romani e di cui lo scrivente non aggiunge altro per non diventare inopportuno, anche perché di solito “cosa fatta capo ha”, ma capo ora individuato interamente. Myrina era mitologicamente una divinità venerata da tutti i viandanti per mare provenienti dalle regioni indeuropee e dell’Asia Minore (vedi la città ucraina di Mariupol = città di Maria), insieme ai vincitori e vinti della guerra di Troia che nella portuale, ma sconosciuta Vieste identificata come un luogo, scoglio, buco, tutti sbarcavano (Seneca.

Alla madre Elvia). Sbarco che in particolare avveniva nel viestano Pantanella, toponimo di origine greca che da panta-ne(a)-el(os)-làas, all’origine di laos), sta per un “tutto-nave-approdo-rupe”, mentre da làas di laurhe, da laura, conduce a un “tutto nave approdo con l’entrata strettaqual era nella realtà il Pantanella. Làas che diventa un concreto punto diriferimento come origine del sentiero marittimo denominato Laurento da Livio, che col significato di cammino stretto o di via stretta sia del porto e sia del sentiero marittimo che percorrevano i tanti emigranti, per passaparola, è lo stesso del significato di sisto di Istia, come punto fermo di un passaggio scoperto, di un sentiero terrestre e marittimo che partiva e arrivava avendo come punto fermo Vieste.

Questa conclusione viene dedotta principalmente dalla realtà dello storico porto del Pantanella, dal mito, dai tantissimi altri nomi di Vieste, come pure dal suo Montarone come punto fisso, pure orbitale del Sole durante il percorso sul sentiero solstiziale estivo, presente pure nel latino aestus dei Vest(y)sène, che serve ad individuare pure il minacciato rientro a casa dall’indispettito Achille sull’antico (elles) sentiero del vasto, largo e alto mare (pontos) con tre giorni di navigazione verso l’Aurora nel pescoso Ellesponto di Omero.

Sentiero del mare citato da altri autori antichi sempre con nomi diversi senza posizionarlo geograficamente come punto di partenza e di arrivo, lo stesso del punto fermo, di pizzo di Pizzomunno perla minuta città di Vieste.

Ma sentiero, o rotta marittima che da Vieste, estremità del prominente Gargano, conduceva alla postuma Illyria, che da ille-yria diventa di fronte a Yria, nome che nasce perché regione frontale a Vieste, che nella poesia di Omero si concretizza con il capo degli Elleni, derivanti dall’elles dell’Ellesponto, di nome Achille che da aci(s)-ille diventa di fronte alla punta di Troia, nell’identità viestana.

Anche perché l’Ellesponto aveva bisogno di due necessarie soste notturne, considerato il timore di tutti i naviganti di affrontare tempeste marine soprattutto di notte. Soste che avvenivano sull’isola di Pelagrosa, fino al 1600 patrimonio viestano che, da una testimonianza verbale di un capobarca, Domenico Corso, sequestrato con tutti i mezzi dalla polizia marittima Slava, perché colto a pescare nelle sue vicinanze, fu venduta a una famiglia croata nel 1600 da un Vescovo di Vieste.

Con al seguito la seconda sosta sulla successiva isola di Làgosta, o la Cazza, per infine raggiungere l’isola di Mèleda, con il suo ancora attuale Canale, adiacente la Tracia, i cui restanti Traci, secondo Omero, erano alleati dei Troiani, malgrado la provenienza da questa regione di Achille e dei suoi Elleni che, viceversa, parteggiavano per gli Achei.

Particolare sentiero del mare che venne da subito ed erroneamente identificato con il canale marittimo stretto da due terre dell’attuale Bosforo che di fatto non si dirige neppure verso il Sole nascente, lo stesso di Aurora, soprattutto il 21 Giugno. Una privazione avvenuta pure per la generica considerazione in cui fu tenuta la città, ora Vieste, nella letteratura classica e successiva, che nella sua funzione di città Faro viene avallata da una Mappa dei Fari del Mediterraneo del Mondo Classico, VI – IV sec. a.C., quando Vieste era uno dei pochi Fari del Mediterraneo, riportato col nome di Merinum in una mappa del “Sole 24 Ore” del 24.07.95.

Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1943

Il lettore è consigliato di conservare questo contenuto per una lettura integrale