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STORIA DELLO SCOGLIO E ALTRE NUMEROSE PROVE SULLA REMOTA CITTÀ DI VIESTE QUALE INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO, IL PIÙ GRANDE POETA DI TUTTI I TEMPI E DEL MONDO. (2)

…… Attualmente gli ignari Viestani identificano l’isoletta del Faro col nome naturale di <u Scugghie>, lo Scoglio. Le recenti mappe catastali lo identificano col nome di S. Eufemia, derivante dalla sua favolosa buona fama e valore (gr. fhemhe, lo stesso del dorico fama) da cui Eufemo, uno dei naviganti Argonauti e che ispira Omero a generare il nome Femio per il cantore di Itaca, sempre Vieste, ma che in alcuni documenti relativamente recenti (Giuliani. Memorie Storiche di Vieste) e in altri risalenti al 1200 (A. Petrucci.

Codice Diplomatico del Monastero Benedettino di S. Maria di Tremiti) viene tramandato pure come S. Eugenia. Nome confermato in una Mappa della Capitanata del Magini risalente al 1620 in cui compare il nome di (S.) Egenia. Toponimo di (S.) Eugenia appartenente pure al corno piccolo, per minore estensione sul mare, di sinistra, del Montarone visto da terra che, secondo il citato Codice, con questo nome chiudeva l’estensione del Porto Aviane. Nome che dal greco auò-ane significa mandare un alto grido, solitamente fatto per l’agognato arrivo degli emigranti terrorizzati dal pensiero di possibili naufragi soprattutto notturni, tra cui pure il nome Italia gridato per prima da giovani immigrati entusiasti per il loro indenne sbarco (Virgilio), ma Aviane sicuramente come un altro nome del Pantanella che, secondo il predetto Codice, aveva inizio dalla immutata Punta di (S.) Lorenzo.

Nome che dal greco làas di laurhe, lo stesso di laura, indica il punto fermo di un cammino stretto, di un corridoio, di una via stretta come diretta indicazione dell’antico sentiero dell’Ellesponto di Omero.

Sentiero che conferma la sua origine da Vieste pure col latino angiportum indicante una via stretta a fondo chiuso qual è il punto fermo dell’Ellesponto che, dato il suo percorso, partiva e arrivava nel Pantanella nella sua reale identità di angiporto con la sua stretta entrata di un fondo chiuso, lo stesso della vallata del Pantanella.

Ma Ellesponto di Omero che si dirigeva verso l’Aurora, cioè verso il Sole nascente e non verso la sua generica luce o, peggio ancora, verso l’Equatore terrestre qual è il tragitto dell’attuale passaggio marittimo stretto da due terre detto Stretto del Bosforo sul quale è stata da subito situata erroneamente la Troia di Omero, ma tuttora in modo equivoco. Poiché la Troia di Omero dapprima era stata ubicata a Burnabashi, distante km 5 dal mare, poi nel 1870 spostata a Hissarlik, distante km 65 dalla prima e a 2 km dal mare, per una sorta di imposizione del commerciante d’oro di seconda mano Schliemann, che ha comprato una collina adibita a remota cremazione di cadaveri, spacciandola per Troia e venendo pure sciaguratamente osannato da tutti.

Oltre il significato di sisto di Istia che diventa lo stesso percorso del Sole presente nel latino aestus, ulteriore prova del percorso dell’Ellesponto sta nella via stretta del Laurento di Livio, nella via senza via di Virgilio e nella via maestra che aveva origine da Vieste nella sua reale identità latina di Agylla come altro nome temporaneo di Vieste. Come altra concreta prova pure nell’essersi trovata a Vieste una pietra con la scritta in lingua greca arcaica Lauren-Si-Auinas, poi ridotta a Laurensianus, come specifico riferimento al Laurento, pietra poi regalata dai Viestani al Comune di Apricena che l’ha piazzata in vicinanza del suo remoto ingresso (Giuliani), ma nella totale ignoranza che si trattasse di un Inno alla funzione di Vieste come porto dall’entrata stretta del Pantanella dal quale aveva origine la via stretta del Laurento come specifica indicazione di questo porto e del Montarone nell’identità di Pizzomunno, anche come punto fermo, sisto, aestus, dell’antico sentiero dell’Ellesponto di Omero.

Mentre altre pietre ritrovate in Vieste e interpretate nel primo decennio del 1900 dal dr. Petrone, ma senza aggiungere altro. In particolare quella con la scritta “Diva Dama Tira Agol Zonve Nana”, tradotta come “Divina Porta della Terra Madre (che) fa sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva”, che più recentemente F. Innangi modifica con Diva Damatira Agol Zon Venana, traducendo con “divina Demetra, Celeste Zeus, Venere”; oppure “ubertosa Terra Madre di Tutte le Cose, Azzurro Cielo Sereno, Acqua Sorgiva”.

Che è un altro indovinato da entrambi questi studiosi viestani, ma senza sapere che trattasi di un Inno a Vieste come Divina Porta della Madre Terra, per Vieste nell’identità di Pizzomunno, mentre lo sgorgare dalla Cinta Acqua Sorgiva, oltre quella principale del Pantanella, perché buona da bere, e dei numerosi pozzi viestani sia pubblici e sia privati, trova riscontro nel racconto al Beltramelli nel 1907 di due lavandaie viestane secondo le quali “il mare si era formato un nido sotto la montagna”; Polibio, in Strabone che, per la presenza di sette sorgenti di acqua salmastra di cui una sola d’acqua buona, promuove Vieste come “sorgente e madre del mare” che si pensava venisse generato ed alimentato da queste sorgenti tuttora esistenti in Vieste; Omero quando scrive che “il mare sgorga dalle visceri della Terra”.

In quanto Dea della Madre Terra, in particolare per la produzione del frumento, Demetra (Dama-tira) rappresenta una particolare funzione di Gea, la Terra, latino Gaia il cui toponimo si trova tuttora nell’attuale località viestana chiamata “la Gioia” dal cui punto iniziale, Coppa Cardille, che dal greco cardias sta per un cuore o un orifizio, sgorga l’unica corrente d’acqua buona del Pantanella identificato come Canale della Chiatà.

L’origine da Vieste dell’Ellesponto di Omero viene precisata quando di Skeria, uno dei nomi omerici di Vieste come approdo (indeur. sker, vedi gr. sceriptò), il padre di Nausica, Alcinoo re di Skeria, nel presentare il naufrago Odisseo ai Feaci (Faiaces), che prendono il nome dalla luminosità (gr. fai) delle punte (acis) dei corni calcarei del Montarone, afferma di non sapere se questo naufrago provensse dalle genti esperion, occidentali, di sinistra a Vieste, per il Golfo Adriatico e da cui il nome Esperia per l’Italia, o dalle genti eonion, orientali, per quelli di destra a Vieste, l’attuale Mare Ionio, nomi entrambi derivanti da Eòs.

Questa divisione di un unico grande mare identificato pure col nome di Oceano indicato come un fiume che circondava la Terra da Omero, viene perpetuata nelle tuttora indicate dai pescatori viestani come le Acque de Fòre, Acque di Fuori (mano) cioè della mano sinistra, o della mano Mancina, che è pure il toponimo della punta adiacente quella della Banchina, detta pure punta di (S.) Eugenia, per indicare il Golfo Adriatico, nomemitologicamentenato dalla rupe marinara di Adria come altro temporaneo nome del Montarone nell’identità di isola di grandi dimensioni che, parimenti a un’isola di dimensioni continentali di nome Megaride confinante con la penisoletta di Castel dell’Ovo nel golfo di Napoli; di un’altra isola di dimensioni continentali adiacente la Sardegna di cui allo scrivente ora sfugge il nome; del Continente Atlantide di Platone sprofondato in una notte e un giorno nell’Oceano Atlantico, ignorando che atlante è sinonimo di pizzo di Pizzomunno e che l’infaticabilità di atlante è pure sinonimo della forza del greco adros dell’affondata Adria per il Golfo Adriatico, della forza dell’indeuropeo fes o ves di Vesti e Vesta come pure della possanza del Montarone; di un’altra isola di dimensioni continentali chiamata Thule da Pitea, senza tenere conto che gli etimi tla di Atlantide e thul di Thule sono sinonimi della possanza del tuttora affondato nel mare Montarone. Ma Thule che scompare in una notte e un giorno per volere divino, che vale pure per le indicazioni dei profeti Ezechiele ed Isaia per la sparizione improvvisa dovuta alla superbia degli abitanti di Tiro, senza immaginare questa Tiro si trova all’origine dell’isola triangolare Tirrenia per la primitiva isola Italia.

Ma tutte località mitologicamente scomparse con tutto il restante territorio in una notte e un giorno similmente a Uria, partente da quello originario della adiacente Troia di Omero.

La spiegazione viene da Strabone quando scrive della polismation Uria definendola la “remota, la sperduta del Mondo”, aggiungendo: “Dicono che Adria fu città illustre, che diede anche il nome al Golfo Adriatico, con un piccolo cambiamento“, mentre il Del Viscio nel suo libro “Uria” scrive: “La tradizione vuole che Adria sia stata la metropoli di una grande terra, o di una grande isola sprofondata sul fondo del mare che da essa prese il nome, l’Adriatico, e della quale le varie isole si identificano con le sue cime più alte”.

La realtà viene dal Giuliani quando scrve: “Nel gettarsi che fa nel seno dell’Adriatico mare il Monte Gargano, prolungandosi in mezzo alle acque circa venti miglia nella sua estremità, lascia la città di Vieste sopra uno scoglio a guisa di una penisola”.

Gettito nel seno del mare del Monte Gargano che crea la più profonda insenatura marittima del Mare Adriatico, ma confusa con una insenatura territoriale dando adito ai Veneti di accaparrarsela, convinti che questo mare nascesse dalla cittadina veneta di Atria, distante km 5 dal mare, e dai cui Paflagoni, alleati dei Troiani insieme con gli Oinetoi, o Heneti (di tra gli Eneti), in origine Viestani in quanto nativi da oinos e di cui dopo Omero, Livio (Storia di Roma) scrive: “E’ innanzitutto generalmente noto che, dopo la presa di Troia, si infierì contro tutti i Troiani, fuorché due, Enea e Antenore, in favore dei quali, e per un antico vincolo di ospitalità e perché essi erano sempre stati fautori della pace e della restituzione di Elena, gli Achivi rinunciarono ad ogni diritto di guerra; che dopo varie vicende Antenore, con un gran numero di Heneti i quali cacciati dalla Paflagonia in seguito a una rivoluzione e perduto il loro re Pilemene sotto le mura di Troia, cercavano una sede e un capo, giunse nella più profonda insenatura del Mare Adriatico; e che, cacciati gli Euganei, stanziati tra il mare e le Alpi, Eneti e Troiani occuparono quella regione. E infatti Troia viene chiamato il luogo in cui essi primamente sbarcarono, e troiano è detto quindi il territorio; a tutta quanta la gente, invece, fu dato il nome di Veneti.

E’ noto anche che Enea, profugo dalla patria perché vittima della stessa sventura, ma destinato dai fati a dare inizio a più grandi eventi, giunse dapprima in Macedonia, e, sbalzato di là in Sicilia mentr’era in cerca di una sede, dalla Sicilia approdò con la flotta nel territorio di Laurento.

Anche questo luogo è chiamato Troia“. Quindi uno specifico riferimento al Pantanella pure come il porto del territorio dell’omerica Troia, di fatto esistente nella rovinata Merino, ma insita pure nel gr. monios del Montarone e nel capros dello Scoglio, anche perché i Paflagoni, guidati dal loro re Pilemene, entrambi già citati da Omero, oltre a cacciare gli Euganei, sottogruppo degli Umbri (Ombricoi, da ombreò), lo stesso di Uriatini (da oureò), sia nell’identità di Ausoni e sia di Aurunci, quindi Euganei Viestani che prendono il nome dallo Scoglio, o maggiormente dalla punta del Montarone entrambi col toponimo di (S.) Eugenia, perché punti principali da dove si vede sorgere l’Aurora (gr. Eòs; l’Aurora, da cui pure gli Umbri Aurunci, indeuropeo ausos da cui pure gli Umbri Ausoni) di cui Vieste è figlia.

Una volta precisato ciò, c’è da aggiungere che i Paflagoni hanno origine dal verbo greco paflazò che, come ricorda pure Virgilio sull’esposizione dei troiani Enea e Antenore agli spruzzi salmastri del porto di sbarco viestano perché di fatto è rivolto all’onda orientale, esprime il gorgogliare dei flutti marini davanti al porto del Pantanella e del Montarone e che è presente nell’aestus dei Vest(y)sane anche perché Vieste è situata nella più profonda insenatura del mare Adriatico, generato dallo sprofondamento, o affondamento geografico del Monte Gargano cui si riferisce il Giuliani, mentre il citato Laurento, da làas di laurhe, indica lo stretto passaggio sia per l’entrata stretta del Pantanella e sia del sentiero stretto sul mare in sostituzione dell’omerico Ellesponto, ai quali si vuole riferire Livio, ma senza conoscere la realtà.

Anche perché Pilemene, dal greco pylhemhenhe, diventa la “Porta della Luna” che si trova nella molto balzante Myrina, ma che è un nome del tutto simile al divino re del Gargano Pilunno, portone e di Vieste come Divina Porta della Madre Terra,

Quindi comune sprofondamento nel seno del mare certamente da identificare come il sacrificio di un capro espiatorio, necessario per distaccare il peccaminoso passato degli uomini primitivi e iniziare un illibato futuro dell’intero nuovo Mondo, a cominciare dalla fondazione di nuove città.

Anche se, come si è già avuto modo di constatare, il nome Adriatico ora viene erroneamente fatto derivare dalla cittadina veneta di Atria, la divisione dell’attuale Mare Adriatico viene confermata sia da una mappa del Magini risalente al 1620 e sia da quanto nel 1752 il Vescovo N. Cimaglia scrive che “Vieste …  è situata .. alla bocca del Mare Adriatico”.

Divisione di questo unico grande mare presente pure nei racconti degli inconsapevoli ragazzi viestani di qualche decennio fà che distinguevano il “Mère Picchèle”, il Mare Piccolo, per quello occidentale a Vieste, il Golfo Adriatico, in contrapposizione al “Mère Granne”, il Mare Grande, il Mare Ionio, per quello orientale a Vieste, che in realtà aveva inizio da “Drète u Trione”, che dal latino trio-onis indica un toro, nella fattispecie per il corno grande, per estensione, del Montarone sul quale questi  ragazzi apprendevano dai loro compagni più grandi di età queste allora incomprensibili notizie sulla divisione di quello che in realtà era un unico mare.

Divisione confermata dal geografo-matematico Tolomeo (VII sec. a.C.) nel misurare con dati relativi a precise coordinate geografiche la prominenza di circa km 49 sul mare del Gargano, scrive che Apeneste,per Vieste nell’identità di estremità orientale (gr. apen(euthe)este) di questo Monte Gargano, è l’ultima città del Mare Ionio, e Hyrium, sempre Vieste, adiacente il Golfo Adriatico. Stessa fraintesa deduzione del filosofo ateniese Platone che scrive di “un mare che non si può dire vero mare”, perché pure intasato dalle numerose isole (oltre 2000 quelle croate) che impedivano una navigazione diretta nella parte orientale del Golfo Adriatico, poi scambiato erroneamente con il Mare Mediterraneo, e di “un mare che dire si può vero mare”, per il Mare Ionio, scambiato altrettanto erroneamente con l’Oceano Atlantico, sinonimo di Adriatico, ponendo come fermo di questi due mari le Colonne d’Eracle. Colonne poi ubicate erroneamente sullo Stretto di Gibilterra forse perché scambiato ancora una volta con l’Ellesponto di Omero, ma certamente perché il canale marittimo del Bosforo era già occupato dall’erroneo posizionamento di Troia a Burnabashi. Ma descrizione di questi due mari del filosofo Platone (429-328 a.C.) che viene precisata da quanto affermato leggermente più tardi dal geografo Dicearco (347-285 a.C.) che scrive: “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle”.

Quindi Colonne Viestane che sono da identificare o con “le due rupi turrite” che proteggono il “porto aperto verso l’onda orientale” di Virgilio, per corni del Montarone come punto di origine dell’Ellesponto e come punto fisso della antica divisione dell’attuale Mare Adriatico che, come si è già avuto modo di vedere, veniva già da Omero diviso dal Golfo Adriatico e dal Mare Ionio. Colonne che vanno più realmente individuate, la prima con il Puzmume di Omero, toponimo greco che da pougx (leggi punxi)-mòmos, laddove pougx che il diz. gr. Rocci traduce come un mergo indicante un uccello marino, che dal gr ouria significa uria per una specie di anitra, lo stesso di anatra, uccello marino con le zampe palmate e il becco largo e piatto con un piumaggio variopinto su fondo generalmente grigio che secondo lo scrivente conduce all’attuale uria, uccello marino dedito alla pesca subacquea con una notevole resistenza polmonare e con notevole distanza percorsa sott’acqua osservata dallo scrivente da ragazzo un paio di volte sullo specchio d’acqua retrostante il vecchio molo portuale di Vieste, da cui pure il simbolico e leggendario sprofondamento di Uria pure nei panni della sprofondata dalle sirene bella fanciulla (gr. òria) Uria innamorata di Pizzomunno della leggenda viestana, ma vedi pure Monte Pucci vicino Peschici e soprattutto i faraglioni di Baia dei Mergoli vicino Mattinata. Invece il dialettale mume deriva da Mòmos, nome del dio greco della risata e della maldicenza che Omero fa diventare il bastione, o faraglione del biasimo o dell’ingiuria, generato allo scopo di suscitare una perenne vergogna agli abitanti di Skeria, chiamati Feaci, per diventare il bastione del biasimo, o del rimprovero, in realtà e secondo Omero minacciato di essere vomitato sul fianco della città dall’irascibile e vendicativo Poseidone come sua vendetta per aver i Feaci accompagnato, senza chiedere permesso, l’odiato Odisseo a Itaca, sempre Vieste. Bastione di pietra che tuttora ispira istintivamente una nascosta risata per il richiamo alla sua forma anatomica umana, perché simile a un fallo comunemente indicato tuttora come un uccello non solo dai Viestani.

Ma Puzmume che al tempo di Omero si trovava interamente dentro il mare senza piede, venendo da lui pure glorificato perché per salvarsi ad esso si attaccano in due episodi diversi sia il poi mitico Eracle, singolo distruttore di Dardania, la primitiva Troia, da cui il Puzmume come una delle sue Colonne,e sia il naufrago Odisseo, subito prima di giungere a Skeria. La seconda Colonna d’Eracle è certamente la limitrofa al Puzmume rupe calcarea del Montarone incontrata dall’annaspante Odisseo, dove circa 30 secoli fà, secondo Omero, c’era tanta acqua che un uomo non aveva piede e da dove iniziava il secondo porto di Vieste che, secondo Omero, “piccola roccia grandi flutti trattiene” che vale anche come uno dei due porti di Skeria, oltre quello dalla entrata stretta per il Pantanella.

Rupe, come parte del Montarone nell’identità di Pizzo-munno, sinonimo di atlante da cui il vero Monte Atlante, infaticabile, ma unicamente per il possente Montarone unitamente alla viestana Ripe. Rupe che il disorientato naufrago Odisseo vede alta fino al cielo, se vista dalla base e che, secondo Omero e la realtà ancora attuale, pare levigata e che nessun mortale avrebbe potuto scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi.

Premesso che il Monte Atlante è stato posizionato in Marocco sul lato adiacente lo Stretto di Gibilterra, si aggiunge che con l’ultima ondata provocata da Poseidone e una volta distaccato dalla sua forza dal Puzmume, Odisseo viene sballottato sul mare approdando finalmente davanti alla prima corrente viestana, precisamente in località Scanzatore.

Toponimo greco che da scan(aò)-za-tore(uò), conduce a “un palcoscenico per mezzo del quale farsi sentire a voce alta”, che dal sinonimo del gr. scanaò, scenizò, diventa una “località in cui è di scena la voce alta” che è quella fatta, per volontà divina, secondo Omero, da Nausica e dalle sue ancelle perché la palla con la quale stavano giocando in attesa che i panni lavati e stesi al Sole sulla sabbia della spiaggia della Scialara era caduta accidentalmente in questa prima corrente, o fiume. Da queste alte grida il tramortito Odisseo viene svegliato ed infine accompagnato da Nausica su un carro a Skeria.

Subito prima di arrivare alla Ripe, al Puzmume e alla Scanzatore, Odisseo con la sua zattera è passato davanti alla punta della Banchine, o di (S.) Eugenia, dove c’è tuttora un Crepaccio con una successiva ampia grotta marina denominata “U Spacche Rusenèlle”.

Toponimo di origine greca che da spa(ò)-rouse o roos-nele(uò) indica un “crepaccio con flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”, identificato da Omero col nome Cariddi davanti al quale, prima della costruzione del molo frangiflutti attaccato allo Scoglio, gli sfaccendati ragazzi viestani appena adolescenti del 1950 si recavano appositamente nei giorni di vento di provenienza orientale per divertirsi nel vedere lo spettacolo sull’entrata di alcune ondate successive e udire gli spaventevoli rimbombi, simili ai muggiti di un possente toro, che venivano originati dallo svuotamento dell’aria esistente nella successiva e più ampia grotta, dovuto al suo riempimento con ondate sospinte da altre successive perché favorite pure dalla sua iniziale forma di imbuto aperto verso il mare, da cui nasce la favolosa Voce Tauro del dubbioso Del Viscio provocata da questa particolare marea presente pure nell’aestus dei Vestysane, perché crepaccio facente parte del Moun(az)-tauro(s-o)nem.

Ma acque che, una volta raggiunto un livello maggiore di quello del mare, da questa grotta fuoriuscivano altrettanto rumorosamente, come supplemento della Voce Tauro, e con una violenza tale da far vedere realmente la sabbia sul fondo del profondo mare, come scrive pure Omero e da cui la più veritiera origine di questo nome, che al tempo della adolescenza dello scrivente aveva m 5 o 6 di profondità.

La zattera di Odisseo viene risucchiata in questo Crepaccio, mentre l’eroe per salvarsi si attacca al ramo di un fico selvatico esistente sulla parte finale del lato destro del crepaccio, visto di fronte, fino al 1980, perché tagliato di tanto in tanto per farne legna da ardere da qualche bisognoso viestano, ma che dopo quegli anni venne distrutto dalle radici con lo spianamento per fare spazio a un parcheggio di mezzi nautici.

All’uscita delle ondate Odisseo salta e cavalca l’albero maestro della ormai frantumata zattera riuscendo ad allontanarsi e passando per la seconda volta davanti al mostro Scilla che, però, non si accorge di nulla. Infatti in precedenza e ad approssimativa distanza di un tiro di freccia con l’arco da Cariddi, come scrive Omero, alla sinistra del corno di destra del Montarone, visto da terra, sul fianco della Chiesa di S. Francesco c’è la Grotta i Trève che dal greco treò significa fuggire atterriti, che è quanto fanno Odisseo e il suo rimanente equipaggio dopo il prelievo di sei compagni di nave da parte del mostro con sei bocche chiamato da Omero col nome Scilla.

Fuga atterrita che avveniva pure con gli sfaccendati ragazzi che una volta entrati in questa scura grotta con davanti all’ingresso una piccola spiaggia ciottolosa lunga una decina di metri, ma utilizzando l’unico punto roccioso di entrata tuttora esistente, venivano sempre spaventati da qualcuno più grande d’età al grido al mostro! Grido che determinava la fuga terrorizzata di tutti anche perché costretti ad attendere il turno per l’utilizzo del predetto unico punto di entrata.

Premesso che la santità dei luoghi è stata aggiunta in epoca medievale (M. Cosmai. Gazzetta  del Mezzogiorno del 2.7.89: “Così i santi divennero famosi”) e che, a cominciare dai nomi di Vieste, poiché la toponomastica dei luoghi viestani è di origine greca classica, lingua ancora presente in molti etimi del suo dialetto che certamente non è lo stesso della lingua dell’attuale Grecia, i nomi di Eufemia, Egenia, od Eugenia dello Scoglio viestano, pur essendo di buona eufonia, con la diversità dei loro significati rivelano la remota identità e immaginaria funzione dell’isoletta del Faro che veniva simultaneamente identificata come una culla, nave/arca e tomba.

Per essere brevi il nome Eufemia sta per la sua buona fama e valore (greco fhemhe) di cui in parte si è detto col nome Eufemo di uno degli Argonauti e del nome del cantore Femio nell’isola di Itaca, sempre Vieste, mentre il nome di Egenia, o Eugenia significa la buona genìa: sia nella sua identità come nave, per quella formentaria di Saturno; per quella degli omerici Feaci affondata e pietrificata da una manata dell’irascibile e vendicativo Poseidone quando era già in vista di Skeria; per la nave Argo con due prore degli Argonauti che, prima di finire con la chiglia all’insù, qual è lo Scoglio una volta spogliato di tutto, fu la sola a superare le omeriche Rupi Erranti, o Galleggianti che sono le stesse che Circe consiglia a Odisseo di evitare tenendole sempre a sinistra nella sua rotta durante il suo primo viaggio in nave al Regno dei Morti, consigliato per conoscere la sua definitiva sorte, ma che sono da identificare con le viestane “Murge Scuffelète”, Rocce Lesionate, o Instabili, che per illusione ottica sembrano errare solo con il semplice movimento del sottostante e adiacente mare.

Nave Argo che con il suo affondamento con la chiglia all’insù e che con la caduta di uno scranno sulla testa del comandante Giasone, rimasto solo a bordo, ne provoca la sua morte, quindi Scoglio pure come tomba. Ma che è anche la simbolica nave di concreto approdo di tutti i popoli di emigranti provenienti per mare dalle regioni indeuropee e dell’Asia Minore che nella loro successiva trasmigrazione, da cui l’identità di questo Scoglio pure come culla, si identificarono con nomi provenienti da qualche specificità di Vieste anche con l’identità di Troia e Uria.

In particolare gli Euganei, da Eugenia, e loro consimili tra cui principalmente gli Euganei Umbri (gr. Ombricoi), Umbri che avevano come confine Merinum fin (da dove nasce) dall’Adriatico (Strabone) e da cui la Foresta Umbra che, oltre il confine di Merinum, in effetti e come si vedrà ha origini viestane. Umbri che pure nell’identità di Ausoni prendono il nome dall’indeuropeo ausos corrispettivo del greco Eòs, l’aurora di cui Vieste è figlia e da cui, per sua estensione, il poetico nome di Ausonia per l’Italia.

Ma Italia già chiamata Gargaria (Aristotile) che prende il nome dall’estensione dell’omerico Gargaros, per il Montarone, come la cima meridionale del monte Ida in Troade, sempre di Omero. Alture ora indebitamente accaparrate dall’attuale Grecia poiché l’Ida è un monte viestano, forse la Bellacollina di Omero, o certamente una collina che si affaccia sul viestano Piano della Battaglia e sul Canale della Macchia, che dal greco make è battaglia, luogo di battaglia, poiché Zeus ed Era, secondo Omero, dal loro letto situato sulla cima dell’Ida assistevano direttamente ai combattimenti tra Achei e Troiani influenzandone le sorti.

Il Gargaros è un altro nome di Omero esclusivamente per il Montarone viestano anche come città del Gargano (voc. Rocci), che di fatto si trova in posizione più meridionale rispetto al territorio di Troia, ora Merino, nel cui viciniore territorio tuttora nascono le gorgoglianti e leggermente rumorose, perché rigurgitanti (gr. gargairò) e gargarizzanti (gr. gargarizò), gole o ugole (gr. gargareòn) o gargarozzi delle reali, poetiche e storiche correnti viestane sintetizzate da Omero come Gargaros per un altro nome della città di Vieste e che trova valida conferma nel nome di Gargaria per l’intera Italia (Aristotile). Italia che anticamente era identificata come un’isola triangolare da Polibio (II sec. a.C) che scrive: “Dicono che l’Italia è un’isola di forma triangolare” aggiungendo: “l’angolo che si piega a oriente è delimitato dallo Stretto Ionico e subito di seguito dal Golfo Adriatico”, quindi Vieste confermata sia come pizzo, sinonimo di angolo e di atlante in questo caso dell’Italia, e sia come punto di divisione del Golfo Adriatico e dello Stretto Ionico, significante diretto verso l’Oriente, o l’Aurora, lo stesso di Ponto Eusino (da Eòs: l’Aurora) di Cicerone, in sostituzione del Laurento di Livio e dell’Ellesponto di Omero. Italia che come isola triangolare è il pari pure di Enotria, nome che venne attribuito all’Italia dopo la cacciata degli Umbri Ausoni da Vieste da parte del mitico re Enotro, 459 anni prima del famoso incendio di Troia (Dionisio di Alicarnasso. Ant. Rom. lib.I) per poi stanziarsi definitivamente in Calabria con i popoli isolati Italici, lo stesso di Viestani isolati sil Montarone.

Poiché l’Enotria come altro nome dell’Italia scaturiva sempre da Vieste sia come Terra dell’Uno, greco oinos, latino unus sinonimo del greco monos che da monios conduce al latino singularis, lo stesso di un capros, un cinghiale (diz. Gr. Rocci) e alla sua femmina detta Troia da cui discenderebbe il nome del capostipite Enotro e la sua Enotria per la Puglia, poi per ulteriore estensione passato all’intera Italia anche in rappresentanza degli omerici Oinetoi, o Heneti alleati dei Troiani, poi Veneti.

Quindi Enotro che da eno-tròo, o eno-troas- diventa il monogomo di Iapige (da ia-pygah) Messapo (da mes- apia), che conduce ad un’unica Troia centro dell’antichità passato per estensione all’intera Puglia analogamente a Enotria che per una maggiore estensione è andato oltre passando all’intera Italia che da i-talis conduce a un’isolata, non sposata, quindi sempre disponibile, vergine fanciulla che si trova nel greco òria in riferimento alla fanciulla bella come il Sole fatta sprofondare nel mare periodicamente e costantemente per cent’anni dalle gelose sirene, chiamata Uria, perché amata e interamente corrisposta, dal bel pescatore Pizzomunno nell’attuale leggenda viestana. Numero Uno che di certo è il primo, cioè all’origine dei numeri cardinali, quindi pure di tutto l’antico scibile umano, da identificare con l’isolato Montarone anche come un sisto, punto fermo di un passaggio scoperto orbitale, o aestus, ma pure con l’identità di Vieste come Pizzo-munno e dei suoi sinonimi di atlante, come punto fermo di riferimento, di capitale, o città madre, o metropoli pure del Continente Atlantide di Platone non solo per il comune porto dall’entrata stretta del Pantanella ma anche per le sue Colonne d’Eracle viestane come punto di divisione di un “mare che non si può dire vero mare”, il Golfo Adriatico, e un “mare che si può dire vero mare”, il Mare Ionio, la stessa funzione dell’Ellesponto.

Come pure sinonimo di angolo da cui è scaturita l’idea di pubblicare il terzo libro dello scrivente che parte dalla reviviscenza dello scomparso ’improvvisamente gran Roy d’Angoulmoise, Grande Regno dell’Angolo-culla, funzione già affidata allo Scoglio con due prore nell’identità di culla, citato nella del tutto veritiera e indovinata profezia di Nostradamus del 1500 e improvvisa sparizione di questo grande Regno dell’angolo-culla che, come tutte le altre misteriosamente sprofondate, parte da quello in una notte e un giorno di Uria, per il Monte Gargano alla cui estremità si trova il Montarone gettato nel seno (golfo) dell’Adriatico mare (Giuliani), lo stesso di Adria e del suo vasto territorio che vengono fatti sprofondare sotto lo stesso mare da cui prese il nome l’Adriatico (Del Viscio), derivante da quello dell’imparentata Uria con la Troia di Omero. Città di Vieste che nell’identità di Pizzomunno come un punto fermo, col nome omerico di Skeria, si identifica come la capitale del Continente Apeira, aperta, sinonimo dell’attuale Europa, vasta vista, e di Apulia, senza porta. Ma Enotria da identificare pure come Terra del Vino, gr. oinos, vino, presente nel dio greco del vino Methymnaios da cui i suoi discendenti Viestani ricordati come i Methymnates ex Gargano da Plinio e la cui produzione venne insegnata ai Viestani pure dal postumo biblico Noè dopo il suo approdo a Vieste.

Anche se, visti i significati di methyò dei Methymnates, in parte presente pure nel significato del latino aestus anche come alta marea, questo derivante stato di alterazione mentale, dovuta pure al cosiddetto mal di mare, o nausea, che viene esaltata pure dalla forma rientrante delle parti interne, a forma di imbuto aperto verso il mare, dei corni del Montarone sui quali si abbattono delle ondate provocandone il rientro con la creazione di nuove contrapposte ondate che sbattono continuamente contro quelle provocate dal vento davanti allo Scoglio che nel contempo ne impedisce la loro immediata uscita verso il mare aperto, tanto da mandare in bestia i Viestani la cui città nel 1200 venne identificata come Bestia poi passata come Terra di Bestia alla intera Puglia, più tardi confusa come terra di Bari, ma che dal greco pulhe sta per la funzione di Vieste nell’identità di porta. Ma primaria identità di Methymnates che assai più probabilmente potrebbe indicare il mal di mare provocato dall’essere l’antica Vieste isolata nel mare grandi flutti in cui si trova Skeria situata da Omero pure all’estremo del Mondo, da cui pure la prima ufficiale identità di Vieste come città Pizzomunno.

Il cui pizzo è sinonimo di angolo, di atlante, di punto fermo, di città capitale nel senso di città madre quale era Skeria, l’attuale Vieste, del Continente Apeira di Omero, finora mai da nessuno individuato e neppure cercato, poi capitale del Continente Atlantide di Platone ed ora da riconoscere storicamente, ma virtualmente, pure come antica città madre dell’attuale Europa nome di cui, secondo Erodoto, non si sapeva chi l’avesse pronunciato per prima e neppure da dove provenisse, ma che come vasta vista è un sinonimo di aperta dell’omerico Continente Apeira. Mentre il pizzo di Pizzomunno è sinonimo di atlante, da cui Vieste pure come accertata capitale dello sprofondato Continente Atlantide di Platone, anche se viene tuttora vanamente cercato nell’Oceano Atlantico.

Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1943

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La foto di copertina è frutto di elaborazione tecnica. All’epoca non c’erano aerei. Vieste nell’Ottocento.

Il Faro fu costruito nel 1867. Si nota la Torre di Punta S.Croce.