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A ROMA UNA MOSTRA PER RICORDARE GIACOMO MATTEOTTI

Oggi 1° marzo 2024 al Museo di Roma a Palazzo Braschi verrà inaugurata l’interessante Mostra “Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della democrazia”, che chiuderà il 16 giugno.
Nel centenario della scomparsa del leader socialista unitario, verrà illustrato il suo percorso umano e politico.

La Mostra, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è curata dallo storico Mauro Canali, con la direzione e il coordinamento generale di Alessandro Nicosia.

Per la prima volta, a cent’anni dal 10 giugno 1924, verrà esposta la cosiddetta “pistola fumante” del delitto di Giacomo Matteotti, come titola Andrea Cauti in un lancio dell’agenzia di stampa AGI. Si tratta della lettera scritta dal carcere a Benito Mussolini da Amerigo Dumini, capo della squadra fascista che uccise il parlamentare.

È stato Mauro Canali ad anticipare questa novità durante la conferenza stampa: “La mostra per la prima volta fornisce documenti istruttori raccolti da Mauro Del Giudice e Guglielmo Tancredi, due magistrati serissimi, che risolvono in maniera chiara il vecchio dilemma se Mussolini sapesse o meno dell’omicidio … Ci sono lettere scritte dal killer (Amerigo Dumini) a Mussolini in cui diceva al Duce che aveva eseguito i suoi ordini e gli chiedeva di tirarlo fuori di galera. Mussolini quindi non solo sapeva, ma ha dato l’ordine di uccidere Matteotti”.

Forte dell’autorevolezza delle istituzioni coinvolte e ricca di materiali inediti, la rassegna annovera quindi documenti originali – con particolare riferimento agli atti istruttori e giudiziari, mai mostrati in precedenza, che sostanziano il percorso interpretativo – tra fotografie, manoscritti, oggetti, libri d’epoca, articoli di giornali e riviste, filmati e documentari, opere d’arte, sculture, ceramiche, quadri, brani musicali dedicati al leader politico.

La mostra ripercorre la vita del leader socialista, deputato e segretario del Partito Socialista Unitario (Psu), dagli esordi giovanili all’affermazione nazionale, dalle battaglie per la democrazia all’opposizione al fascismo, di cui aveva compreso subito la natura totalitaria, fino al brutale omicidio perpetrato dal regime mussoliniano.

Con la profonda dignità e l’alto senso civico dimostrati in un tragico momento della nostra storia, Matteotti è diventato l’archetipo dell’avversario tenace e incorruttibile del fascismo.
Un esempio, il suo, animato da un solido imperativo morale e da un forte slancio civile, che ancora interroga la vita politica e culturale del nostro Paese.

Nel volume 100Matteotti per le scuole, Alberto Aghemo, presidente della Fondazione Matteotti, delineava così l’attualità del leader socialista: “Giacomo Matteotti sollecita e nel contempo “sfida” la memoria. Memoria come pratica civile, testimonianza, fede democratica e cittadinanza attiva. Di questa memoria Matteotti è stato sommo maestro, forse inarrivabile, oltre che eroe e martire”.
È davvero così, ma noi siamo convinti che a raccogliere il testimone, il 19 giugno 1924, nove giorni dopo il rapimento e la morte di Matteotti, fu proprio Mauro Del Giudice, il magistrato Istruttore del processo Matteotti citato da Mauro Canali.

Dopo il fatidico 10 giugno del 1924, pur consapevole della “tegola” che sarebbe caduta sulla sua povera testa, Del Giudice accettò senza indugio lo spinoso incarico delle indagini, individuando esecutori materiali e mandanti secondari. Persone vicinissime a Mussolini, mandante primario del delitto Matteotti.

I diretti superiori avevano tentato in vari modi di dissuadere Del Giudice ad accettare l’incarico. Quando fu chiaro a tutti che il magistrato proseguiva imperterrito le indagini, non facendosi condizionare da nessuno, arrivarono gli squadristi a gridare sotto le finestre della sua casa: “Chi tocca il Duce muore, sarà la notte di san Bartolomeo! W Dumini!”.

Nei sei mesi di puntigliosa istruttoria, Mauro Del Giudice, originario di Rodi (sul Gargano), interrogò, oltre agli inquisiti, tantissimi testimoni, validamente coadiuvato dal sostituto procuratore Umberto Guglielmo Tancredi.

Fermo sostenitore dell’indipendenza della magistratura, convinto delle colpevoli responsabilità del governo fascista nel delitto Matteotti, Del Giudice dimostrò un’integerrima tenacia, resistendo ai tentativi di corruzione e alle pressioni esterne durante la conduzione dell’Istruttoria la sua condotta intransigente gli costerà l’esonero dall’incarico relativo al processo Matteotti, attraverso una “rimozione per promozione (promoveatur ut amoveatur)”, che lo costringerà a lasciare il suo ufficio di Roma alla volta di Catania.

Quarantaquattro ponderosi registri custoditi nell’Archivio di Stato di Roma, ancora tutti da studiare, sono oggi depositari di scottanti testimonianze, fondamentali per capire come si svolsero i fatti. Del Giudice li raccontò nel 1947 nella sua “Cronistoria del processo Matteotti”, per sollecitare e nel contempo “sfidare” la memoria.

Come Matteotti, Del Giudice non ebbe paura di esporre la sua documentata analisi dei fatti, la sua denuncia-memoria. Con coraggio raccontò tutti retroscena di quel processo.
Mauro Del Giudice fu oggetto di una serrata “damnatio memoriae” da parte di chi, durante il regime fascista e anche dopo la sua caduta, voleva a tutti i costi continuare a nascondere la verità sul delitto Matteotti.

Ecco perché il 26 settembre 2022, nell’imminenza del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, ho curato l’edizione critica delle “Memorie” inedite di Mauro Del Giudice, frutto di anni di ricerca, e la riedizione della “Cronistoria del processo Matteotti” in un libro dal titolo forte, emblematico: “Il Magistrato che fece tremare il Duce”.

La mia narrazione delinea un profilo di Mauro Del Giudice di altissimo livello giuridico-culturale, ispirato da un forte rigore morale e dall’eccezionale impegno profuso, oltre che alla Corte di Appello di Roma, nelle preture più disagiate e nei tribunali periferici del Centro sud.

Un Giudice che merita un posto al sole tra i grandi giuristi italiani, che ha servito con disciplina e onore la causa della Giustizia. Nei tempi bui in cui troppi suoi colleghi si piegarono al potere, disonorando la Magistratura.

maria teresa rauzino