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EMILIANO:«MI VOLEVA TATARELLA MA IL MIO CUORE BATTE A SINISTRA. AMAVO IL MESTIERE DELLO SBIRRO»

Esattamente 20 anni fa, in queste settimane di fine inverno, Michele Emiliano decideva di lasciare la toga da magistrato per scegliere la politica. Fu l’avvento di quella fase che, con l’elezione di Nichi Vendola in Regione l’anno successivo, fu chiamata Primavera pugliese. Fu la fine dell’egemonia politica del centrodestra.

Presidente, cosa la indusse a scegliere la politica 20 anni fa?
«Ho sempre amato moltissimo il mio lavoro da magistrato, condurre indagini, stare sul campo fianco a fianco con uomini e donne di grandissimo valore, coltivare l’aspirazione di contribuire a liberare le comunità dalla pressione mafiosa. Ho avuto modo di istruire alcuni tra i più importanti processi contro la Sacra corona unita, che si sono conclusi con centinaia di condanne. Un lavoro appassionante quello del pubblico ministero o dello “sbirro”. Oggi viene raccontato dal cinema, dal teatro, dalla letteratura. E io avevo la fortuna di farlo».

Ha mai pensato di lasciare quel lavoro?
«Mai. Ci sono però episodi che cambiano il corso delle cose. Era la fine del 2003 quando nel mio ufficio in procura venne in visita il compianto Nichi Muciaccia, avvocato che si occupava di diritto del lavoro. Secondo me dovresti candidarti, mi disse. Pensavo scherzasse, lui rilanciò. Sapeva che, finito il mio periodo nella Direzione distrettuale antimafia, ero ad uno snodo della mia carriera. Mi chiese di mettere al servizio di Bari l’esperienza accumulata, per una candidatura alternativa al centrodestra che all’epoca governava incontrastato città e Regione, con Berlusconi a Roma al massimo del suo appeal».

Racconti. Come andò?
«Per sondare l’umore della città Muciaccia andò da un suo amico farmacista che gestiva il sito di centrodestra “Azienda Bari” e aveva lanciato un sondaggio alquanto irridente – una sorta di totocandidato del centrosinistra – affinché inserisse anche il mio nome. Il sito esplose, registrò un boom di accessi. La voce prese a girare, il mio nome iniziò a comparire anche nei sondaggi dei quotidiani. E su questa spinta popolare iniziai ad accarezzare l’idea».

Dopo 20 anni, rifarebbe la stessa scelta?
«Sino a quel momento, da magistrato, mi trovavo a intervenire quando il vaso era già rotto. Da sindaco avrei potuto agire per evitare che quel vaso si rompesse. Un cambio di prospettiva che mi motivò tantissimo. In quegli anni corso Vittorio Emanuele non separava solo Bari Vecchia dal quartiere Murat, divideva il destino dei bambini: chi nasceva a nella Città Vecchia e chi era destinato ad essere figlio della “Bari bene”. Anche questo per me era qualcosa cui rimediare, bisognava fare in modo di riportare uguaglianza e diritti dal centro alle periferie, spezzare quella catena di storie ineluttabili che venivano segnate sin dall’infanzia. Penso che in questi 20 anni tanta buona strada sia stata fatta. E credo di aver contribuito, per quanto ho potuto, a migliorare Bari prima e poi la Puglia. Quindi sì, rifarei la stessa scelta».

Anche la destra le chiese di candidarsi: vuol ricordare la visita che le fecero a casa?
«Fu Salvatore Tatarella, il fratello di Pinuccio Tatarella, a chiedere a mio padre un incontro. Venne con Nino Marmo: mi proposero di candidarmi con il centrodestra. Ma io ero sempre stato un uomo di sinistra, da giovane iscritto al Pci, mai avrei potuto diventare sindaco con l’altra parte. Si creò in quella fase una situazione paradossale con la destra, che non avrebbe potuto avermi e mi cercava. E la sinistra che avrebbe potuto trovare in me un candidato popolare e non metabolizzava una mia possibile candidatura. Passarono mesi prima che la Convenzione del centrosinistra convergesse sul mio nome».

Lei non ha mai perso un’elezione personale. E ha polemizzato molto: con la Regione quando lei difendeva le prerogative del Comune e da governatore con Palazzo Chigi. La lite premia?
«Non si tratta di sterili discussioni, ma di tenere fede alle posizioni e non tradire mai il mandato che ti è stato affidato dai cittadini. Quante volte per convenienza politica c’è gente che non si espone? Che abbassa la testa, anche a costo di danneggiare la comunità che rappresenta? È nella storia: non esisterebbe la Questione meridionale se tutti i nostri rappresentanti avessero avuto sempre la schiena dritta. Io difendo ciò che ritengo giusto, ad ogni costo, anche se spesso ne ho pagato un prezzo di immagine».

A cosa si sta riferendo?
«Faccio un solo esempio: quando dal 2015 iniziai a parlare di decarbonizzazione come unica via per tenere aperta l’ex Ilva di Taranto. Mi hanno offeso, deriso, denigrato. A cominciare dai dirigenti romani del mio partito. Il tempo poi mi ha dato ragione. Non ho mai fatto un passo indietro quando si trattava di battersi per qualcosa che ritenevo giusto. Onestà intellettuale e coerenza, alla fine, vengono riconosciute, sempre».

Quali episodi resteranno per sempre nella sua memoria di questi 20 anni?
«La riapertura del teatro Petruzzelli, che segnava la stagione di rinascita per Bari, dopo altri due atti importantissimi. Uno è l’abbattimento dell’ecomostro di Punta Perotti, avvenuto in ossequio alla legge e che restituì l’orizzonte al lungomare. L’altro è la bonifica dall’amianto dell’ex Fibronit che aveva causato la morte di centinaia di persone. E poi ricorderò, da presidente di Regione, l’apertura a San Severo di Casa Sankara, simbolo delle politiche antimafia realizzate insieme all’indimenticato Stefano Fumarulo. È un modello di accoglienza unico in Italia che dimostra che non ci sono barriere all’integrazione se questa viene fatta nella legalità, con rispetto e con reale desiderio di integrazione».

E cosa avrebbe voluto non vivere? Forse le indagini penali sul suo conto?
«Non avrei mai voluto attraversare il dolore della perdita di persone di immensa grandezza umana e morale. Ho citato Stefano Fumarulo e Nichi Muciaccia. E penso a Maria Maugeri (ex assessora comunale, ndr), Guglielmo Minervini, Totò Negro, Peppino Longo (assessori e consiglieri regionali, ndr), il presidente della Fiera, Sandro Ambrosi: compagni e compagne di strada andati via troppo presto. Le indagini penali? Per chi ricopre un ruolo pubblico sono una eventualità che potrei definire normale, le persone perbene non devono temerle mai, perché la verità alla fine emerge sempre, come nel mio caso. In questo la magistratura resta un presidio fondamentale».

Ora si trova a fare il padre nobile del centrosinistra, però con l’ambizione a restare dove si trova per un altro quinquennio.
«La realtà è che il mio unico pensiero è portare a termine nel migliore dei modi il mandato che ho iniziato nel 2020. Non ho mai ragionato in termini di prospettiva individuale e non comincerò oggi. Quello che ha determinato il mio percorso politico è stata una evoluzione naturale e condivisa con la coalizione e i cittadini. La storia che abbiamo scritto in questi anni va custodita e fatta crescere, le aspirazioni dei singoli vengono dopo. Prima bisogna mettere in sicurezza il progetto comune e tenere unita la squadra».

Perché è difficile trovare un candidato sindaco a Bari?
«Si sta ripetendo in questi mesi quello che sempre succede alla nostra coalizione: apriamo il dibattito, ci confrontiamo pubblicamente, a volte ce ne diciamo di tutti i colori, ma alla fine facciamo sintesi e andiamo dritti sino alla meta. Quello che può apparire un limite, alla fine si rivela una qualità».

Tra Vito Leccese e Michele Laforgia, lei appoggia il primo. Molti suoi sostenitori, pure tra i civici, sono orientati in modo diverso. La preoccupa?
«Bisogna stabilire regole condivise per le primarie, poi vinca il migliore. Io sostengo Leccese, uomo e politico di qualità straordinarie. E sono amico da una vita di Laforgia, cui mi legano stima e affetto. Non sono preoccupato perché immagino queste consultazioni come una festa della partecipazione e delle idee, con il confronto tra due personalità che sono un patrimonio per questa città».

Sarebbe meglio se uno dei due si tirasse indietro in questa fase concitata, dopo l’inchiesta della magistratura?
«Se nessuno si è fatto da parte nelle fasi precedenti, non può certo accadere adesso che siamo tutti d’accordo sulle primarie. E poi considero che non ci sia alcuna connessione tra i fatti di questi giorni e le scelte politiche del centrosinistra. Sono convinto che le primarie siano l’avvio della nostra campagna elettorale: marcano una differenza tra chi fa scegliere i cittadini e chi, come il centrodestra, fa scegliere non so chi in chissà quali luoghi».

Lei ha designato Decaro suo erede politico. Ma, diciamo così, non ha molta fretta di essere sostituito. Corretto?
«Antonio ed io siamo parte della stessa storia politica: discutiamo, possiamo anche avere punti di vista diversi, ma siamo uniti da un legame profondo di amicizia. Non riesco a ragionare in termini alternativi a lui. Da 20 anni abbiamo sempre condiviso le scelte e mai pensando solo a noi stessi, ma a cos’era meglio per la collettività».

L’inchiesta della Procura apre uno squarcio nella relazione mafia-politica. Perché non si riesce a dire no a certi personaggi? A proposito: anche lei, talvolta, non è andato per il sottile nella scelta dei suoi sostenitori.
«Mai candidato persone sospettate di avere contatto con ambienti criminali. Prima di finire in lista, peraltro, viene richiesto il casellario giudiziale dei candidati. Ci sono condotte che possono essere scoperte solo con gli strumenti investigativi della magistratura e delle forze dell’ordine. Per me vale sempre il principio che chi sbaglia paga. Le parole del procuratore Rossi sono chiare. Ci dicono che pur avendo, la magistratura, riscontrato quelle presenze criminali, la resistenza del Comune c’è stata e questo ruolo va riconosciuto».

Lei ha detto che “Bari ha bisogno di una ripassata”. Una frase che ha provocato polemiche. Cosa voleva dire?
«L’amministrazione di Bari è schierata concretamente contro la mafia. Ma quella battaglia non si esaurisce mai. La criminalità evolve, si ingegna, cambia abito. Alle istituzioni dello Stato, insieme alla stragrande maggioranza dei cittadini perbene, tocca il compito di presidiare e controllare. Dare una “ripassata” significa che bisogna passare sempre ai raggi X anche quei luoghi dove la mafia era stata già sconfitta, perché in qualsiasi momento può provare a rialzare la testa. L’operazione di Bari ci dice che gli anticorpi ci sono, che i controlli sono efficaci, e che le istituzioni sono sane e pronte a reagire duramente contro chi vuole riportare le lancette del tempo indietro a più di vent’anni fa».

corrieredelmezzogiorno