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Salviamo Kalena, insieme a tutte le abbazie garganiche sgarrupate!

 

Non è solo Pompei che sta crollando. A Peschici, un’antica abbazia benedettina , Santa Maria di Càlena, sta lentamente morendo senza che la popolazione e le istituzioni muovano un dito per salvarla veramente.

Le perentorie ingiunzioni inviate ai proprietari dalla Soprintendenza regionale dopo il crollo del tetto dell’abside avvenuto nel mese di giugno del 2009 sono rimaste sulla carta… E i soldi promessi appaiono e scompaiono come il gioco delle tre carte… Che tristezza infinita …
Eppure Càlena non è soltanto una chiesa di Peschici: è una delle più anticheabbazie italiane, costruita secondo Pietro Giannone nell’872 d.C..
1139 anni di vita non sono uno scherzo per un monumento che ha sfidato indenneacqua, vento, sole, neve, fino al 1943, quando la copertura lignea della navata centrale della “chiesa nuova” crollò non per un’incursione aerea, ma per vetustà. Diciamo meglio: per incuria nell’ordinaria manutenzione del tetto.

Salviamo Kàlena da un’agonia di pietra!” fu l’appello lanciato l’8 settembre 2002 nel convegno organizzato a Peschici dal Centro Studi Martella. Fu l’avvio di una battaglia civile che non si è mai fermata. Si fermerà soltanto quando sarà posta la parola fine. Soltanto quando l’abbazia di Càlena resusciterà nella sua interezza.
Un monumento importante, Santa Maria di Càlena, segnalato fin dal 1904 da Emile Bertaux, uno dei più importanti storici dell’arte del mondo, che nel monumentale volume “L’art dans l’Italie meridionale” le dedicò alcune pagine, inserendovi anche i prospetti e i disegni della seconda chiesa.
Se la prima chiesa con le cupole in asse si inserisce nel solco della tradizione pugliese, la “chiesa nuova”, che si addossa all’edificio più antico e ne prosegue l’orientamento, è costruita secondo modelli architettonici di vasta circolazione europea ed extraeuropea. L’originale struttura si rifà infatti a modelli costruttivi giunti dalla Francia, precisamente dalla Borgogna, nei regni crociati e reimportati in Europa dalla Terra Santa da maestranze itineranti di scalpellini che percorrevano nei due sensi la “Via Francigena”, con tappe al Santuario dell’Arcangelo e al porto di Siponto.
Sullo scorcio del XII secolo, queste tipologie architettoniche si diffusero, oltre che a Càlena, nelle abbazie di Monte Sacro, di Pulsano e in alcune città come Monte Sant’Angelo, Barletta, Molfetta, Lecce, Otranto dove transitavano pellegrini e crociati.
Nonostante la perdita dell’abbazia di Monte Sacro, la più ricca delle sue dipendenze in agro di Mattinata, fra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, Càlena possedeva consistenti beni immobili; controllava oltre ai pascoli, i diritti di pesca sul lago di Varano, mulini sui piccoli corsi d’acqua nella zona di Montenero, Rodi e Vico, ed alcune saline nei pressi di Canne; tutti elementi di fondamentale importanza nell’economia medievale. Avere possessi sulle rive del lago di Varano era un privilegio ambito e Càlena lo controllava tutto, con la postazione dei suoi monaci di san Nicola Imbuti, nella zona dell’ex Idroscalo. Le anguille copiose del Varano costituivano una risorsa per le mense monastiche che non conoscevano la carne. Questa fu una delle ragioni per cui anche alcuni monasteri lontani, comeMontecassino e Cava, cercavano di procurarsi delle “pescherie” nei laghi costieri garganici. Alle soglie del 1400 Càlena, dopo secoli di effettiva indipendenza, non riuscì a sottrarsi all’ormai generalizzato istituto della “commenda”, poi fu annessa nuovamente all’abbazia di Tremiti (1445-1446).
La comunità benedettina fu sostituita dai Canonici Regolari Lateranensi, da alcuni decenni insediati nell’arcipelago, che riorganizzarono le sue ancora consistenti proprietà fondiarie e ricostruirono le fabbriche conventuali che oggi sono ancora in piedi, finora protette, solo sulla carta, dalla normativa sui beni culturali.

Un monumento nazionale, Càlena, fin dal 1951. Un bene culturale di pregio inopinatamente dismesso. Per troppo tempo. Rimosso dalla memoria collettiva e MAI realmente tutelato dall’organismo preposto: la Soprintendenza di Bari. Un bene che appartiene non solo alla Capitanata, ma alla Puglia intera e che va restituito alla pubblica fruibilità anche dei turisti di tutto il mondo che ogni anno scelgono Peschici come luogo di vacanza non solo per il suo mare, per il suo sole e il suo paesaggio, ma anche per la sua storia e le sue tradizioni.
Le testimonianza della presenza monastica nel territorio del Gargano Nord sono, oggi, un patrimonio di memorie in gran parte sconosciuto ai più. E’ necessario intervenire con urgenza, per evitarne la scomparsa. Come l’abbazia di Càlena, versano oggi in uno stato di totale abbandono e decadenza tutte le antiche abbazie garganiche da essa dipendenti: solo un tempestivo intervento di ristrutturazione potrebbe salvarle da un irreversibile degrado.
Cosa aspettiamo? Che crollino completamente, come la casa dei gladiatori di Pompei?

Teresa Maria Rauzino