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ChiARA MENTE

La settimana scorsa ci siamo salutati rinviando ad oggi le ipotesi (di origine biologica, di origine psicologica…) che cercano di spiegare il comportamento omosessuale. Tengo molto a precisare che non verrà mai dato un giudizio, morale o di altra natura. Non è questo il compito di uno psicologo.

Nel 1991 un biologo americano ha elaborato una teoria secondo la quale il comportamento omosessuale sarebbe una condizione biologica innata, precisamente il risultato di una "programmazione" cerebrale: una piccola zona del nostro cervello sarebbe più grande nei maschi mentre nelle donne e negli omosessuali sarebbe più piccola e tale zona del cervello potrebbe essere determinante nella genesi del comportamento omosessuale. Contro l’ipotesi dell’omosessualità come condizione biologica ci sono molte ricerche ma qui riporterò una in particolare effettuata da psichiatri americani sul comportamento sessuale dei gemelli omozigoti (cioè i gemelli con tutti i geni uguali e con la stessa struttura biologica), allevati nella stessa famiglia, nello stesso ambiente sociale e a stretto contatto l’uno con l’altro. Tale ricerca ha dimostrato che se uno dei gemelli ha scelto un comportamento omosessuale, in circa la metà dei casi l’altro gemello ha scelto un comportamento eterosessuale: il 48% dei gemelli omozigoti, allevati insieme, mostra orientamenti sessuali opposti quando uno dei gemelli ha scelto un comportamento di tipo omosessuale. Il tutto prova non il fattore biologico ma l’importanza del libero arbitrio e delle abitudini alla base del comportamento sessuale.Un grande psicanalista austriaco, Alfred Adler (1870-1937), fu il primo a mettere in relazione nel 1917 l’omosessualità con un complesso d’inferiorità nei confronti del proprio sesso. Le ricerche del 1962 evidenziarono che un soggetto per identificarsi positivamente con il suo ruolo sessuale (ricordate, la bambina che diventa e si sente donna e il bambino che diventa e si sente uomo?) deve aver stima per il genitore del suo stesso sesso e deve sentirsi amato e stimato. Se ciò non accade si può sviluppare appunto un complesso di inferiorità e desiderare l’affetto proprio di quelle persone dello stesso sesso dalle quali non ci si è sentiti o non ci si sente ancora accettati e dalla cui compagnia ci si sente esclusi. Secondo Van den Aardweg, uno psicologo olandese esperto della condotta omosessuale, «i complessi omosessuali possono essere prevenuti durante l’infanzia con una giusta educazione». Secondo lui spesso l’educazione dei giovani tende ad annullare le specificità maschili e femminili e la mancanza in casa dei ruoli materno e paterno può avere effetti disastrosi sulla psiche infantile. Il gesuita Bartholomew Kiely, professore della Pontificia Università Gregoriana, sottolinea che «se il soggetto si sente gratificato dagli atti omosessuali è da considerarsi normale». Qualcuno però ha interpretato questa affermazione sostenendo che «è come dire, se il tossicodipendente o l’alcolizzato si sentono gratificati dalla droga o dall’alcol essi sono da considerarsi normali». Attenzione: non si vuole intendere questo. L’alcolista, il tossicodipendente, il pedofilo, lo stupratore, il voyeur (il «guardone») e così via, sono soggettivamente gratificati dalle loro azioni, disordinate, ma oggettivamente procurano danni a terzi: l’alcolista in preda all’abuso di alcol ad esempio può commettere reati, azioni violente, così un tossicodipendente in preda a crisi di astinenza, etc…ma l’omosessuale che danno reca agli altri? Di quale reato si macchia? Come si può paragonare un omosessuale ad un pedofilo? Conclusioni di questo genere sono il frutto di una pigrizia mentale, sono «scorciatoie» che mettiamo in atto quando non vogliamo confrontarci con qualsiasi cosa sia diversa dalle nostre certezze. Quello che possiamo dire, cercando di essere obiettivi e tralasciando qui morale e ogni credo religioso (pur rispettandoli enormemente), è che la condotta omosessuale certamente non risponde alle finalità del nostro corpo ma non per questo gli omosessuali vanno perseguitati, derisi, o va resa impossibile loro la vita!! Alla prossima settimana.

Michela Silvestri – psicologa