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In Puglia si studia l’addio al petrolio

Quello verde può anche diventare un grosso affare. Ne discuteranno capi di Stato e premi Nobel di tutto il mon­do al Sustainable Develop­ment Summit che si terrà a ini­zio febbraio a Delhi, perché il green business sta esplodendo in tutto il pianeta: anche a casa nostra, anche in Puglia.La nostra regione sta diventando un ve­ro laboratorio delle energie al­ternative, per salvare un am­biente di pregio, cancellare se possibile le tracce della vec­chia industria pesante, prende­re parte attiva alla "exit stra­tegy" italiana dal petrolio e ag­ganciare, politica permetten­do, il nuovo business dell'eco­nomia sostenibile. «La Puglia può diventare un'Arabia Saudi­ta delle energie rinnovabili», sostiene l'economista ameri­cano Jereniy Rifkin, intervenu­to all'inaugurazione dell’Uni­versità dell'Idrogeno nei pres­si di Bari. In tutto questo, la ge­nerosità di madre natura ha una grande parte: senza il sole, il vento e la fertile terra di Pu­glia, non si andrebbe lontano. Ma un ruolo non trascurabi­le l'hanno anche altre risorse, di natura stavolta "immateria­le", coltivate can programmi scientifici di osservazione del­la Terra che, già molti anni fa, hanno permesso ai ricercatori pugliesi di vedere attraverso i potenti occhi dei satelliti i pri­mi segni del degrado e dell'in­quinamento. Segni che oggi vengono raccolti dal grande centro di Geodesia spaziale di Matera, grazie ai radar della missione Cosmo SkyMed, con cui giorno e notte si tiene sotto sorveglianza ogni metroqua­dro del pianeta.
Sul nostro futuro lavorano invece i supercomputer dei Centro euro-mediterraneo per il cambiamento climatico (Cmcc) di Lecce: qui, per fare previsioni sul clima, si eseguo­no oggi mille miliardi di opera­zioni al secondo ma entro due anni questa somma aumenterà di trenta volte. Solare, eolico, biogas, ma an­che idrogeno e biocombustibi­li attirano in Puglia industrie come Italgest (il cui ammini­stratore delegato Paride De Masi, pugliese, guida anche il Comitato nazionale per le fon­ti rinnovabili di Confindu­stria), Tozzi, Vestas, Siemens eccetera, oggi impegnate in progetti come la megacentrale fotovoltaica di Brindisi o il par­co eolico di Lecce. Proprio il settore del fotovoltaico per­mette di avere un'idea della rin­corsa presa dalla ricerca e dal business ambientale nel mon­do così come in Puglia.
Il pannello solare, inventato nel 1931, ha dovuto aspettare un quarto di secolo per passare da un misero 1% di efficienza al 12% raggiunto dai laboratori americani Bell sostituendo il selenio col silicio. Oggi nuove conoscenze e risultati arriva­no a getto continuo e si traduco­no rapidamente, soprattutto in Germania e Giappone, in nuo­vi prodotti industriali: ma il fotovoltaico, senza gli incentivi pubblici, non è ancora conve­niente. Troppo alti i prezzi della materia prima e della lavora­zione, mentre resta bassa l’efficienza: a un brillante 36% si ar­riva solo con i materiali semi­conduttori, così costosi che si usano solo nello spazio.
La ricerca continua: non tarderà ad arrivare sul merca­to, ad esempio, un pannello solare di nuova generazione, frutto dei rivoluzionari siste­mi di ultravuoto messia a pun­to dai fisici del Cern, mentre un consorzio di otto universi­tà britanniche sta investendo milioni di curo in nanotecno­logie per realizzare una cella fotovoltaica ultrasottile. An­che in Italia si lavora sul nuo­vo fotovoltaico: anzi, al Natio­nal Nanotech Lab (Nnl-Cnr) di Lecce sono proprio sulla frontiera più avanzata. Si tratta di celle fotovoltai­che basate su materiali organi­ci: certo, è ancora roba da labo­ratorio, ma findustria (Tozzi) è già pronta a lavorare con il gruppo di fisici, ingegneri, chi­mici e biologi guidati da Rober­to Cingolani e Giuseppe Gigli. «Diversi sono gli stadi di matu­razione di queste tecnologie, che comprendono celle orga­niche, ibride (organiche-inor­ganiche) e dye sensitized (do­ve all'assorbimento della luce concorre una molecola di pig­mento, ndr) – spiega Gigli -. Queste ultime sono economi­che, poco inquinanti, semplici da realizzare, sottili, flessibili e durevoli e in grado già oggi di offrire gradi di efficienza del 10-12 per cento».