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Calciopoli in Puglia nei tornei giovanili

L’estate del 2006 sarà ricordata per le sentenze di calciopoli con cui è stato spazzato via il sistema di potere che condizionava arbitri, decideva partite e assegnava scudetti. E mentre l’Italia discuteva sulla Juventus e sul gran ciambellano Moggi, in Puglia andava in scena qualcosa di molto simile. Anche in Puglia, quell’anno, era in azione un sistema che ha colpito per 57 volte, con gli stessi metodi, lì dove il calcio dovrebbe essere più puro: nei campionati giovanili. Questa è la storia della più grande truffa mai tentata in Italia in un campionato federale, perfino più grande (per numero di episodi accertati) di quella che ha visto sul banco degli imputati i big della serie A. Una truffa impressionante, scoperta grazie a un appassionato dirigente cui tutti davano del matto. E che con le sue denunce ha permesso di stabilire che qualcuno, per un intero campionato, ha sistematicamente alterato i referti dei tornei regionali Allievi e Giovanissimi per pilotare le ammonizioni e non far scattare le squalifiche a carico di giocatori ragazzini. Sì, esatto: hanno truccato pure il campionato degli adolescenti.

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L’inchiesta della Federazione sulla calciopoli pugliese è durata oltre un anno, ed è andata avanti a fatica tra reticenze e incredibili omissioni. Conviene cominciare dalla fine, dal deferimento chiesto il 27 giugno dal procuratore Stefano Palazzi a carico di quattro persone, il giudice sportivo Francesco Guaglianone e i suoi sostituti Luigi Caruso, Nicola D’Ecclesiis e Corrado Fontana. L’inchiesta condotta dall’avvocato Paolo Mormando, dell’ufficio indagini, è forse stata l’estremo tentativo del sistema di mettere tutto a tacere. Ma Mormando non ha potuto non vedere quello che c’è scritto nelle carte. E cioè che ogni settimana, per l’intero campionato 2006/2007, qualcuno interveniva scientificamente per accomodare i referti arbitrali.

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Supponiamo che una certa domenica il signor Tizio venisse ammonito. E supponiamo che si trattasse della quarta ammonizione, che stando alle regole avrebbe dovuto far scattare una giornata di squalifica per la domenica successiva. Invece sul comunicato ufficiale della federazione quella quarta squalifica diventava quinta, o magari veniva attribuita al signor Caio (che in un paio di casi nemmeno esisteva), o ancora veniva pubblicata con settimane o mesi di ritardo. Insomma, c’era qualche giovane calciatore cui veniva concesso il bonus: non saltare mai una partita, o saltarla quando non faceva più alcuna diff erenza. I casi accertati dall’avvocato Mormando sono 42, 8 per il campionato Allievi e 34 per i Giovanissimi: riguardano in tutto 57 irregolarità. Per altre 7 partite, in Federazione sono spariti i referti. In media, ogni settimana venivano «ritoccate» due partite: Palazzi parla di «ritardi e ingiustificati differimenti nella comminazione delle squalifiche». Le squadre beneficiarie sono sempre le stesse: il Bitetto, la Juve Club Gioia, la Nuovo Pignone e la Renshi di Bari, il Salice, il Copertino, il Soleto e il Muro di Lecce, la Cedas Avio di Brindisi, il Lucera e la Gioventù Calcio di Foggia, più altre che sembrano aver usufruito del «bonus» una sola volta.

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A cosa servisse tutto questo è evidente: a evitare che il signor Tizio saltasse per squalifica una partita importante. E quindi, in fin dei conti, ogni ammonizione taroccata, ogni referto che non si trova, è la prova provata che il campionato è stato alterato nei suoi esiti. Però tra le squadre beneficiate non risultano le due che quell’anno vinsero i tornei, anzi: quelle citate prima sono per lo più di formazioni che hanno lottato per non retrocedere, che per i campionati giovanili significa tornare a giocare a livello provinciale. All’avvocato Mormando e al procuratore Palazzi queste considerazioni non interessano. La responsabilità – questa la tesi esposta nell’atto di deferimento – è soltanto dei giudici sportivi e del loro «comportamento gravemente negligente». Ma perché, e a favore di chi siano state commesse le 57 irregolarità, Mormando non lo spiega e Palazzi non se lo chiede. A nessuno infatti viene in mente di chiamare i giocatori ed i presidenti delle squadre beneficiarie per chiedere conto dell’accaduto: come se la colpa di calciopoli fosse tutta di Moggi e non, poniamo, della Juventus o del Milan o dei loro terminali in Federazione.

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Un passo indietro. Dal primo luglio 2007 il settore giovanile e scolastico della Federcalcio passa sotto l’ala protettiva della Lega nazionale dilettanti: da braccio autonomo, diventa un ufficio distaccato. All’epoca della truffa sui referti il settore giovanile in Puglia era guidato da Manlio Incardona, che pur al corrente della questione – la denuncia era sul suo tavolo – decide di non muovere un dito e anzi, con Mormando, minimizza. Di fronte all’avvocato dell’ufficio indagini che lo interroga, chissà perché a Lecce e non a Bari, Incardona dice: io non ne so nulla, firmavo soltanto. Due mesi fa, alla scadenza del mandato, il presidente viene sostituito e per il momento esce di scena.

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Torniamo all’inchiesta e al deferimento di Palazzi. La Commissione di garanzia guidata dall’ex procuratore di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli, massimo organo della giustizia sportiva, è chiamata a giudicare per la calciopoli pugliese soltanto i quattro giudici sportivi. Ma sul tavolo di Borrelli, da fine settembre, c’è una memoria presentata dall’avvocato Guaglianone: al massimo – dice in sostanza Guaglianone – posso aver peccato di omessa vigilanza, ma non ero io che alteravo i referti. Gli unici che avrebbero potuto farlo, sostiene l’avvocato, erano un impiegato della Federazione e un collaboratore, sedicente addetto stampa: le password per entrare nel sistema informatico che gestisce le ammonizioni e i comunicati ufficiali, del resto, ce le avevano solo loro. Questa dichiarazione è un siluro ad alzo zero e spiega anche perché Borrelli stia aspettando di decidere da quasi due mesi. Se è vero quello che dice Guaglianone, che è un avvocato e sa bene cosa si rischia ad accusare qualcuno senza averne la certezza, Borrelli avrebbe l’occasione di mettere le mani almeno sugli esecutori materiali della truffa: squalificare i soli giudici sportivi sarebbe un modo comodo per lavarsi la coscienza, un alibi per non andare a fondo in una storia che merita di concludersi con le punizioni più seve re. «La vicenda è ancora al primo atto, e ce ne sarà almeno un secondo e forse un terzo», dice con amarezza Vito Tisci, presidente del comitato regionale della Lega dilettanti. «Negli anni passati – racconta – diversi presidenti si erano rivolti a me per raccontarmi di cose strane che avvenivano intorno al settore giovanile. Pensavo che fossero le solite chiacchiere da bar. Poi, quando ho visto le prove, mi sono dovuto ricredere».
Tisci, come chiunque legga le carte con un minimo di distacco, non può e non vuole credere che i colpevoli siano i giudici sportivi Guaglianone, Caruso, D’Ecclesiis e Fontana. Non ha senso, infatti. Però, comprensibilmente, il presidente non fa ipotesi e non azzarda sentenze. Ma si lascia andare a uno sfogo: «Mi immagino un giovane che dice al suo presidente che domenica non giocherà perché sarà squalificato, e il presidente che gli risponde “non ti preoccupare, che ci penso io”. Mi chiedo cosa insegniamo a questi rag azzi».

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Tisci ha ragione da vendere. Perché finora, stando alle carte, l’unico ad aver pagato è l’uomo che attraverso le sue denunce ha fatto scoprire l’inganno. Si chiama Franco Massari, ha una piccola squadra a Bitonto, ed ha il vizio di leggere con attenzione i comunicati ufficiali. Quando si è accorto che un calciatore era passato improvvisamente dalla terza alla quinta ammonizione, ha alzato il telefono ed ha chiamato Bari. Gli ha risposto il solito impiegato (quello chiamato in causa da Guaglianone), che obtorto collo ha dovuto correggere l’errore. Poi, però, il solerte impiegato ha scritto al giudice sportivo dicendo che Massari lo aveva minacciato. Per Massari la giustizia sportiva è stata rapidissima: tre mesi di squalifica che scadranno a gennaio e un punto di penalizzazione. Il procuratore Pino Monaco aveva chiesto un anno e 10 punti di penalizzazione per entrambe le squadre che fanno capo a Massari: forse voleva essere certo che questo signore non aprisse più la bocca. Ma non basta. Nel collegio che ha giudicato il coraggioso presidente bitontino sedeva, tra gli altri, l’avvocato Cosimo Guaglianone, figlio del Francesco che ora deve rispondere di fronte a Borrelli. Papà imputato, figlio che giudica l’accusatore. I due avvocati sono entrambi ancora lì, al loro posto, a occuparsi di ragazzini che ogni domenica corrono dietro a un pallone. Pensando che sia la cosa più bella del mondo.

MASSIMILIANO SCAGLIARINI