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ITALIA FEDERALE, MA, SI’, COME

Mentre celebriamo i 150 anni dell’Unità d’Italia

Per il 4 novembre, a Vieste, come in tutte le città d’Italia, verrà celebrata la Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. 

Per parecchi decenni, questa manifestazione ebbe lo scopo di ricordare la fine della Prima Guerra mondiale, che per noi fu vittoriosa, firmata in quel giorno del 1918. Passata anche la Seconda Guerra mondiale, avendo messo giudizio gli europei, e costituitisi in Unione Europea, dove i nemici del passato si sono ritrovati come amici e consociati, è sembrato anacronistico mantenere quel riferimento, e così la ricorrenza è stata ribattezzata come detto prima.
Così su Corso Fazzini avremo il consueto corteo delle autorità cittadine con gli ex combattenti superstiti e parecchi ex militari, e la banda, la messa, la deposizione della corona di fiori dell’Amministrazione Comunale al monumento ai Caduti, il picchetto dell’aeronautica, la tromba che intona il silenzio fuori ordinanza, qualche segno di commozione fra gli astanti, commiato dei partecipanti in municipio. Insieme alla predetta cerimonia, e a modi più impegnativi, un’occhiata ai francobolli dedicati al Risorgimento italiano nei trascorsi 150 anni [vedi immagine in basso], può essere un complemento facile e pur utile per rinverdire il ricordo e la validità di quell’evento, appannato dalle «leghe» – inizialmente più di una – unificatesi poi nella Lega Nord.

Questa, com’è noto, con la sua insistente propaganda antiunitaria, nei suoi primi anni addirittura secessionista, ora federalista – ha rimesso in discussione anche l’identità nazionale degli italiani – ed al presente raccoglie un crescente successo elettorale in Alta Italia. Particolarmente in Lombardia e nel Veneto, regioni che più delle altre appaiono agitate da un sentimento di protesta contro l’Italia unita, il cui sbocco è uno Stato messo in piedi come una società delle regioni, tenuta unita dal tenue legame di Repubblica Federale. L’inverso di quello che vollero e fecero gli italiani del Risorgimento che, attraverso moti e agitazioni, martiri, guerre, capacità politica, unificarono i vari Stati e staterelli della Penisola in un solo Stato, libero e indipendente, compatto, governato dalle Alpi alla Sicilia con le stesse leggi, l’Italia odierna.
Vero è che la partecipazione al movimento di unificazione non fu un fenomeno di massa, ma delle classi dominanti, culturali ed economiche, per l’ideale le prime, anche per interesse le seconde. Ma è pur vero che era diffuso in molte città e paesi della penisola, Vieste compresa. La piccola borghesia cittadina nostrana si trovò puntuale all’appuntamento politico e patriottico della classe, in atto in tutta la penisola ed ebbe adepti abbastanza attivi. Lo testimoniano i verbali di polizia dal 1820 all’Unità, esistenti nell’archivio di Stato di Foggia, e le memorie di cittadini contemporanei. E quando nel 1848 il re piemontese Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria e il re delle Due Sicilie Ferdinando II mandò in suo aiuto un contingente di 16.000 uomini, di cui 3000 volontari, il Consiglio Comunale di Vieste deliberò un appello ai cittadini, invitandoli ad aderire al prestito nazionale emesso per fronteggiare le spese del contingente militare inviato in Alta Italia. Che, detto per la storia, presto fu ritirato. Un drappello però si rifiutò di tornare, al pari del generale G. Pepe, e si fece onore, insieme agli studenti toscani, alle battaglie vittoriose di Curtatone e Montanara e di Goito.
Come piccolo campionario, ho qui inserito alcuni francobolli, due dei quali emessi all’estero (Garibaldi in USA e Mazzini in Francia), a testimonianza del valore attribuito sempre, in patria e fuori, alla nostra unità nazionale e ai suoi protagonisti. Per quanto riguarda l’identità nazionale, basta ricordare come Manzoni definì la gente d’Italia, circa duecento anni fa, in due versi della poesia «marzo 1821» : una d’arme, di lingua, d’altare, di memoria, di sangue e di cor.  C’è  magari un po’ di enfasi, forse sì, dato il momento storico in cui fu scritta, ma sostanzialmente tale è  la verità.
Ora se non si può ignorare che al presente esistono situazioni di malessere — sono note a tutti, e non serve enumerarle — che turbano il migliore funzionamento delle istituzioni pubbliche e la vita della gente, è pur vero che l’Italia è oggi una nazione rispettata, che ha un suo peso politico ed economico nell’Unione Europea e una certa considerazione nella comunità internazionale (è la settima potenza economica del mondo, lo ha ribadito il Ministro Tremonti, giorni fa, alla TV). Siamo una nazione in senso compiuto, poiché i 60 milioni di abitanti che la componiamo, oltre che identificarci nella comune cultura (la grande cultura) e nella religione, tradizione, lingua scritta, da molti anni abbiamo superato anche la secolare maglia dei dialetti e parliamo, tutti, la lingua italiana.
Per correggere le più marcate disfunzioni ed inefficienze della pubblica amministrazione, per combattere efficacemente gli episodi il cui nome comincia con «mala» (malasanità, malaffare, malavita…), per far sì che nelle aree meno sviluppate nasca più forte lo stimolo all’imprenditoria, per modificare quant’altro si voglia, a giudizio della Lega Nord occorre ristrutturare lo Stato in forma federale. Il Parlamento italiano, nei mesi scorsi ha già approvato uno schema di legge in tal senso, ma i contenuti particolari devono essere ancora definiti, con altra legge. Per quanto si sa di certo, la Lega sostiene doversi devolvere gran parte delle competenze attuali dei ministeri alle regioni (già ne hanno alcune dal 1971), lasciando interamente allo Stato solo la politica estera, la moneta unica (e questa è superata dalla moneta unica europea), le forze armate e poche altre di scarso rilievo. In sostanza ogni regione dovrebbe poter legiferare, nelle materie di sua competenza, secondo le proprie situazioni, attese e risorse. Insomma ognuno per sé, in ordine sparso.
Sarà un bene? Dal punto di vista localistico, e stando alle competenze che già hanno le regioni, dovrei rispondere di sì, avendo presente quello che ho sperimentato da sindaco della città. Si pensi solo all’avvenuta costruzione del porto commerciale e turistico, aspirazione secolare dei viestani, rimasta insoddisfatta, nonostante le continue pressioni esercitate, finchè il finanziamento dipese dal Ministero dei Lavori Pubblici, infine realizzata con il concorso della Regione. E’ evidente che nella soluzione dei problemi conta molto la vicinanza degli organi regionali alle popolazioni. Pertanto, da questo punto di vista, penso si possa stare tranquilli. Per tutto il resto, come si dipaneranno e, nello stesso tempo, si raccorderanno le necessarie funzioni dello Stato finalizzate all’interesse generale? Al punto in cui siamo, è difficile si possa tornare indietro, il federalismo si farà certamente, e poiché in tutte le umane cose, come dice il proverbio, c’è sempre, «il pro e il contro», v’è solo da sperare che i pro siano superiori ai contro.
Ludovico Ragno