Menu Chiudi

Vieste/ rapiti e uccisi due fratelli. “E’ stata un’esecuzione mafiosa”

I corpi degli imprenditori trovati carbonizzati dopo 10 giorni di ricerche.

 

Rapiti. Caricati in un auto. Ammanettati, probabilmente interrogati, poi crivellati di colpi prima con una pistola e con un fucile. Infine, bruciati. Sono stati ammazzati così Giovanni e Martino Piscopo, fratelli e imprenditori di Vieste. I due erano incensurati, apparentemente dalla faccia pulita, ma gli inquirenti sulla matrice del delitto non hanno alcun dubbio: «Mafia. Le modalità dell’omicidio dimostrano che la mafia è tornata a colpire sul Gargano in maniera efferate e violenta» ha commentato il procuratore distrettuale antimafia di Bari, Antonio Laudati che per oggi ha convocato un vertice in Procura. Al momento gli investigatori sul movente del duplice omicidio sono cauti:
pensano che uno dei due fratelli, legato ad amicizie non eccellenti, abbia detto qualche no a chi non doveva. «Evidentemente c’è qualche problema di criminalità che prescinde dal ruolo di imprenditori tranquilli e beati così come sono stati descritti» ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Foggia, il colonnello Vito Diomeda. Ma resta anche aperta la pista che non
si siano voluti piegare a qualche richiesta dalla mafia. «Erano paladini della legalità» denuncia il
deputato del Pd, Michele Bordo. I Piscopo, 51 e 45 anni, proprietari di un camping turistico, erano spariti il 18 novembre scorso mentre andavano a raccogliere le olive in un loro terreno. Erano a bordo di un pulmino, dietro li seguiva il fratello Giuseppe con un trattore. Sparirono nel nulla. Poco dopo, come ha raccontato il fratello ai carabinieri di Foggia e del Ros, l’uomo vide sfrecciare tre auto. Una era proprio l’Alfa 156 (l’altra un’Audi era stata trovata bruciata qualche giorno fa) all’interno della quale ieri gli uomini della Forestale hanno trovato i cadaveri in una zona tra Vieste e Peschici, difficilissima da raggiungere. L’auto era bruciata. I corpi dei due fratelli erano sul sedile posteriore, ridotti in polvere tanto che la sorella Maria ieri piangeva e sperava: «Ditemi che non sono loro». Uno dei due era ammanettato. Gli inquirenti hanno ritrovato vicino alla vettura sette bossoli di pistola calibro 7,05 e uno di fucile calibro 12 mentre sulla fiancata dell’auto c’erano quattro colpi. «Bisognerà dare — dice Laudati— una risposta incisiva e immediata: la gente deve avere fiducia nella giustizia e nella Squadra Stato». Una prima risposta dovrebbe arrivare dalla riunione di oggi alla quale parteciperà anche il procuratore di Lucera, Domenico Secchi, che da anni (come procuratore aggiunto a Bari) ha dichiarato guerra ai clan mafiosi foggiani. Il 26 settembre scorso arrestarono Franco Li Bergolis, considerato uno dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. Oggi resta una guerra a una mafia che, come ha spiegato il procuratore Laudati qualche mese fa, «rappresenta un’emergenza nazionale, un fenomeno criminale che non è secondo a nessun altro in Italia: viene ricondotto a faide locali, di pastori e a forme di arretratezza criminale. Invece questa vera e propria guerra di mafia che è stata scatenata sul Gargano ed è riconducibile a una grandissima ricchezza, quella che viene dal controllo degli stupefacenti, dalle estorsioni, dal controllo dei flussi finanziari».

La Repubblica