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Cura anticancro, gli oncologi frenano

Reazioni prudenti alla corsa al Vidatox, venduto anche in Albania e bloccato a Bari.

 

Forse non ha effetti collaterali, ma non sembra produrre reali benefici. E, comunque, se non si tratta di cure sperimentate meglio lasciar stare. Sulla corsa dei malati di tumore al Vidatox, il farmaco antitumore prodotto a Cuba (estraendolo dal veleno dello scorpione azzurro) e ora venduto in Albania, i medici oncologi sembrano avere la stessa opinione. Mentre i loro pazienti, spesso, ci credono. O, per lo meno, ci sperano. «Il venti per cento dei miei pazienti negli ultimi due mesi è andato direttamente a Cuba per poterlo sperimentare», dice Geni Palmiotti, oncologo del Di Venere di Bari (oltre che assessore comunale al verde pubblico). «Ma hanno avuto – aggiunge – gli stessi benefici e anche gli stessi effetti collaterali delle cure tradizionali». Il dottor Palmiotti non si dice contrario al ricorso al farmaco da parte dei pazienti. «Ma come uomo di scienza – precisa – mi devo attenere ai dati scientifici. Per questo non posso avallare una procedura che non ha evidenze scientifiche alla sua base. Del resto in campo oncologico – prosegue – si è sempre pensato a cure alternative. Penso al siero di Bonifacio o alla terapia Di Bella. Sul piano umano è normale cercare altre cure, rispetto a quelle tradizionali. Ma il consiglio – rimarca – è quello di rivolgersi sempre a cure sperimentate».
Nessun impedimento, però, ai pazienti da parte del dottor Palmiotti. «Io li lascio sempre liberi», dice. «Ma se i cubani avessero creduto all’efficacia della cura – aggiunge – avrebbero potuto tranquillamente testarla in sei-otto mesi, in modo da poterne valutare scientificamente gli effetti. L’unica cosa certa – conclude – per ora è il business legato a questo farmaco». Non molto diversa da quella di Palmiotti, è la posizione di Mario Brandi, direttore dell’Oncologia del Dimiccoli di Barletta. «Tra i 30-40 pazienti al giorno che seguo in ospedale, solo due mi hanno detto di aver fatto ricorso al farmaco cubano», dice Brandi. «È possibile che molti altri lo abbiano usato, ma hanno evitato di dirmelo. Uno dei due pazienti è anche una persona ormai morta, con una situazione molto compromessa. Teniamo conto che i pazienti allo stadio finale, usano di tutto compresa l’aloe o la vitamina C, pur di stare meglio». Anche il dottor Brandi ricorda la validità di alcuni farmaci previsti nella terapia Di Bella, persino inclusi nel prontuario medico. «Solo che quando ci fu la corsa a sottoporsi a quella terapia, questa non era stata ancora testata», sottolinea come il suo collega barese. L’appello del dottor Brandi è uno solo. «Speriamo che i pazienti prendano questa cura come una possibilità, non creandosi false aspettative», aggiunge. «Anche se i cubani sono sicuramente validi da un punto di vista farmacologico, avendo scoperto il vaccino per l’epatite e farmaci anticolesterolo, in questo caso parliamo di una cura priva di evidenze scientifiche che possono arrivare solo da uno studio specifico. Non dimentichiamo del resto – conclude – che esistono, invece, altri farmaci che stanno cambiando la storia dell’oncologia e migliorando, di molto, le aspettative di vita dei malati».

Carmen Carbonara