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Le Osservazioni NO TRIVELLE inviate dal Centro Studi Martella al Ministero dell’Ambiente

Gent.mo Ministro dell’Ambiente,
Gent.mo Ministro dei Beni e delle Attività Culturali,
Gent.mo Ministro delle Attività Produttive

 

 Con la presente comunicazione, il Centro Studi “Giuseppe Martella di Peschici”, componente della Rete nazionale contro le trivellazioni nel mare Adriatico e nel mar Ionio, intende esprimere un deciso NO alle ispezioni sismiche D1 BP SP e D1 FP SP proposte dalla Spectrum Geo di Londra. per la ricerca di idrocarburi lungo ben 700 chilometri della riviera adriatica da Rimini fino a Santa Maria di Leuca, come reso noto dal sito del Ministero dell’Ambiente. I progetti in esame riguardano le ispezioni sismiche con l’invasiva tecnica air gun, a soli 25 chilometri da riva, finalizzate alla possibile installazione di pozzi per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi.
Data la posizione geografica e la bellezza dell’Italia, una nazione più lungimirante della nostra incentiverebbe con più convinzione la produzione di energia sostenibile, investimento di gran lunga più conveniente delle estrazioni di petrolio.
Occorre dunque porsi in un ottica globale e valutare la totalità del progetto in esame con tutte le sue conseguenze a lungo termine.
Da questo punto di vista, il documento di VIA presentato dalla Spectrum é da considerarsi incompleto e fuorviante.  E’ infatti singolare che in esso vi sia una lunga discussione sulla presunta necessità in Italia di estrarre petrolio dal territorio e dai mari nazionali, e invece non si faccia  menzione alcuna dei possibili impatti ambientali, in termini di subsidenza, scoppi di pozzi, rilasci a mare di sostanze tossiche come fanghi e fluidi perforanti o acque di risulta che possono diffondere per decine di chilometri dai punti di emissione. Questo né in generale, né nel particolare delle realtà territoriale interessate dalle concessioni D1 BP SP e D1 FP SP.
Fra l’altro, la qualità del petrolio adriatico é pessima, come documentato da vari studi scientifici della prof.ssa Maria Rita D’Orsogna (docente di Matematica Applicata e ricercatrice dell’Istituto per la Sostenibilità della California State University at Northridge di Los Angeles). Anzitutto è difficile da estrarre, a causa della profondità, è “amaro” perché la presenza dei gas sulfurei lo rende altamente corrosivo; è “pesante” perché la struttura molecolare degli idrocarburi è “troppo lunga” per poter ottenere benzina.
Durante la ricerca sono previste tre fasi: l’ispezione geologica; l’ispezione sismica con navi specializzate che praticano spari di aria compressa in mare secondo la tecnica dell’airgun; l’eventuale perforazione di pozzi esplorativi. La ricercatrice Maria Rita D’Orsogna, in un recente convegno a Peschici (24 maggio 2011), ha sottolineato come nelle istanze per ottenere l’autorizzazione ministeriale si tenda a spostare l’attenzione sulle tecniche di ispezione sismica piuttosto che su una visione globale di rischi e di stravolgimenti ambientali che possono comportare. Quasi mai viene analizzato il terzo punto, quello più impattante, ossia l’installazione di pozzi esplorativi, temporanei ma con possibilità di diventare permanenti. Si tende, in merito, a limitare il tutto ad una trattazione marginale, superficiale e sbrigativa. Ma non in tutti i Paesi è così. Sul sito ufficiale del governo Norvegese, per esempio, sono messi in evidenza i forti rischi di inquinamento dovuti all’attività petrolifera. Si afferma infatti, senza se e senza ma, che «Non è possibile per l’industria del gas e del petrolio di operare efficientemente senza utilizzare grandi quantità di sostanze chimiche».
Diverse sono le criticità ambientali denunciate dalla D’Orsogna. I danni maggiori si verificano durante la fase di perforazione del pozzo, quando vengono rilasciate svariate sostanze chimiche, tra cui gli scarti di trivellazione che si depositano nei fondali prossimi alle piattaforme. Le particelle più fini sono trasportate anche a notevoli distanze dalle correnti. Anche i fanghi perforanti a base di acqua non sono costituti da materiale puramente ”biodegradabile”, ma sono principalmente composti da argille bentonitiche, solfato di bario, carbonato di calcio, ematite.
Secondo l’EPA, l’Enviromental Protection Agency degli Stati Uniti d’America, anche nei fluidi perforanti a base di acqua molto spesso si riscontra la presenza di metalli pesanti e altre sostanze pericolose come mercurio (specie misto alla barite), arsenico, vanadio, piombo, zinco, alluminio, cromo, e degli BTEX – benzene, toluene, ethyl-benzene e xylene. Inoltre, la trivellazione del sottosuolo – quale che sia il fluido usato per la perforazione – è quasi sempre accompagnata dalla produzione di acqua mista a oli minerali e che contengono ulteriori inquinanti, fra cui alte concentrazioni di bario, berillio, cadmio, cromo, rame, ferro, piombo, nickel, argento e zinco, oltre che piccole quantità di materiale radioattivo, come gli isotopi 226 e 228 del radon.
Durante l’arco della vita di un sito petrolifero “coltivato”, gli scarichi in mare di sostanze chimiche di lavorazione – accidentali o volontarie, dai pozzi esplorativi o permanenti –, sono pressoché inevitabili e sono stimati tra 30 e 120 tonnellate. Si calcola che dall’insieme delle attività esplorative ed estrattive offshore, ogni anno vengano rilasciate nel mare Mediterraneo circa 300.000 tonnellate di petrolio e altro materiale di scarto. Per farsi un’idea basti pensare alle perdite della piattaforma Deepwater Horizon in Louisiana.
Ma ci sono casi anche nelle nostre zone, anche se meno eclatanti. Nelle acque abruzzesi antistanti Ortona, durante l’estate del 2008, dopo solo due mesi di permanenza di un pozzo esplorativo la qualità dell’acqua marina prossima ad esso è diventata torbida, densa e melmosa.  Su scala Icram, che va da 0 (assenza di inquinamento)  fino a 12 (inquinamento massimo), è scesa da “alta” a “media” cadendo nell’intervallo da 3 a 6. In questo caso, la torbidità e l’inquinamento delle acque sono state testimoniate da varie squadre di sub che si sono recati a fare immersioni nelle vicinanze della piattaforma, in acque legalmente accessibili. I sommozzatori hanno riferito di un denso agglomerato di sostanze appiccicose e irritanti per la pelle e di visibilità limitata. In questi casi, mentre le sostanze di scarto più pesanti sedimentano subito, quelle più leggere molto spesso vengono trasportate su lunghe distanze rispetto alle zone di emissione, anche a decine di chilometri. Nel mare Mediterraneo, e nell’Adriatico in particolare, che sono sistemi chiusi e a fondali bassi, con lenta circolazione delle acque, le particelle di raggio inferiore agli 0,01 mm generate dalle piattaforme possono viaggiare sospese nell’acqua anche per anni, con conseguenti vaste zone di torbidità, più persistente in prossimità delle piattaforme di perforazione.
Tutti i fenomeni descritti, su scala ancora maggiore, si verificano anche durante la stesura degli oleodotti, la costruzione di isole artificiali, il dragaggio dei fondali e altre attività connesse a quelle petrolifere. Ma le società petrolifere non offrono alcuna analisi del rischio né quantificano numericamente queste possibilità. In questa ottica dunque è bene fermare i progetti petroliferi dall’inizio e non permettere loro neanche di iniziare il loro iter, che inizia con le ispezioni sismiche.

Nella VIA presentata dalla Spectrum per la Concessione D1 BP SP e D1 FP SP non sono neppure menzionati i possibili impatti all’economia costiera delle comunità interessate che, allo stato attuale, é totalmente incompatibile con lo sfruttamento di idrocarburi. Come si conciliano il turismo di Rimini, Cattolica, Senigallia, Porto Sant’ Elpidio, Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto, Montesilvano, la riviera del Conero, Pineto, Tortoreto, Francavilla, Fossacesia, Vasto, la costa dei Trabocchi,  Termoli, il Gargano, Vieste, Peschici, le isole Tremiti, Monopoli, Otranto, Ostuni, Lecce, il Salento, con possibili piattaforme, oleodotti, transito petroliere, scoppi accidentali o sversamenti a mare? La zona proposta dalla Spectrum per eseguire sondaggi sismici e successivamente – se i suoi acquirenti lo riterranno opportuno – per trivellarne il fondale marino, é tutta di alto valore naturalistico, turistico-recettivo.
L’Adriatico ha nella qualità del pescato il suo fiore all’occhiello. Lo  strumento utilizzato per trivellare nel mare é, com’é noto l’air-gun, che ha un elevato impatto negativo sulle specie acquatiche. Essa consiste nell’uso di navi attrezzate che generano potenti onde sonore in mare con lo sparo di aria compressa. E’ così, grazie ai segnali riflessi, che si acquisiscono dati sulle formazioni geologiche sotterranee. Oltre a provocare mortalità a distanze ravvicinate, lo “sparo” di airgun (200-250 decibel) invia nell’acqua un suono che viaggia circa quattro volte più in fretta che nell’aria, per cui le onde si diffondono a vasto raggio, anche a 100 chilometri. Gli studi scientifici già eseguiti hanno stimato cali fra il 45% ed il 70% del pescato di alcune specie, fra cui i merluzzi, in un raggio di quaranta miglia nautiche dai siti interessati alle ispezioni. I suoni delle sorgenti acustiche a bassa frequenza e ad alta intensità, quali quelli airgun, possono infatti danneggiare sistemi riproduttivi (danni alle uova e alle larve), tessuti e udito. Poiché la maggior parte dei pesci “localizza” attraverso il suono, la perdita dell’udito ha forti conseguenze negative nella ricerca di prede o di altri esemplari per l’accoppiamento.

La Spectrum Geo minimizza gli effetti negativi dell’air gun, mentre diversi articoli scientifici mostrano il contrario. Non sono da escludere, in proposito, correlazioni tra spari  airgun e spiaggiamenti di delfini, balene, tartarughe. Uno degli studi più recenti dal titolo “Sometimes Sperm Whales (Physeter macrocephalus) Cannot Find Their Way Back to the High Seas: A Multidisciplinary Study on a Mass Stranding”, condotto da una èquipe internazionale esperta sui comportamenti delle specie marine, pubblicato nel Maggio 2011 su Plos-One, afferma che non sono da escludersi le ispezioni sismiche marine fra le cause possibili dello spiaggiamento dei sette capodogli avvenuto nel dicembre 2009  nel mare di Puglia (precisamente a Foce Varano-Capojale (FG), Lo studio è stato condotto da una equipe internazionale con anni di esperienza sui comportamenti delle specie marine. Altri esempi di spiaggiamenti abbondano nella letteratura mondiale, ce ne sono stati in anni recenti in Spagna, in Nuova Zelanda, in Canada, in Tanzania, e tutte riconducibili all’uso delle tecniche air-gun. In Adriatico é comune l’avvistamento di delfini – é successo di recente a Vasto, a Termoli, nel Gargano, a Lecce e spesso sono forti attrattori turistici in quanto garanzia di mare sano. Come conciliamo questa immagine dell’Adriatico con il suo tappezzamento di pozzi di petrolio?

L’area scelta dalla Spectrum Geo é nelle strette vicinanze di decine e decine siti di interesse comunitario facenti parte della rete Natura 2000, considerata il principale strumento per la protezione della biodiversità in Europa, e di varie zone di ripopolamento ittico, strumentali per la crescita dell’industria della pesca in Adriatico. Questa deve già affrontare i problemi dovuti allo sfruttamento eccessivo delle risorse, e all’inquinamento già esistente nei nostri mari. Non vogliamo altri problemi, non vogliamo altri spiaggiamenti, non vogliamo altri pozzi. Per alcuni siti di interesse comunitario la Spectrum afferma che date le loro distanze dalle concessioni – che variano fra i 10 e i 30 chilometri – e dato il carattere temporaneo delle operazioni air gun, gli impatti ambientali saranno minimi. Queste affermazioni sono da considerarsi inaccettabili, considerato che – come già detto – lo scopo finale della Spectrum é vendere i suoi dati a chi vuole estrarre petrolio per i prossimi decenni e non solo eseguire ispezioni sismiche per pochi giorni, e soprattutto considerato che la protezione di aree naturalistiche di pregio o di ripopolamento ittico dovrebbero essere di primaria importanza, per la loro valenza ambientale ed economica. Senz’altro non é una strada che ci porterebbe all’indipendenza dal petrolio straniero, né darà proventi economici significativi all’Italia poiché ci spetterà una percentuale molto bassa dell’introito economico che la Spectrum Geo potrebbe realizzare dalla coltivazione degli eventuali pozzi petroliferi. La migliore ipotesi é che nel mare Adriatico si produca una piccola percentuale del fabbisogno nazionale di petrolio, con pochi vantaggi per la collettività italiana, che continuerà ad importare idrocarburi dall’estero. Basti pensare che a tutt’oggi il 94% greggio utilizzato in Italia é importato, nonostante la nostra nazione ospiti il maggior giacimento di petrolio d’Europa, in Basilicata. La storia di quella regione insegna che le trivellazioni, in terra o in mare, non portano benessere alle comunità locali, ma solo inquinamento e peggioramento della qualità della vita. In più, essendo inglese, la ditta proponente é libera di vendere derivati petroliferi su mercati internazionali e non necessariamente a commercializzarli in Italia. Più in generale, la petrolizzazione dell’Adriatico, in cui rientra il progetto della Spectrum, é in totale contrasto con l’attuale assetto delle nostre coste e stravolgerebbe l’industria del turismo, basata su un’immagine di territorio sano e sostenibile.
La presente lettera è da intendersi ai sensi dell’articolo 6, comma 9 della legge 8 luglio 1986 n.349, che consente a ogni cittadino italiano di presentare in forma scritta le proprie osservazioni sui progetti sottoposti a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e ai sensi del trattato di Aarhus. Quest’ultimo, recepito anche dall’Italia, afferma che le popolazioni hanno il diritto di esprimere la propria opinione su proposte ad alto impatto ambientale e che l’opinione dei cittadini deve essere vincolante.

Il Presidente del Centro Studi Giuseppe Martella di Peschici

prof.ssa Teresa Maria Rauzino

Centro Studi “Giuseppe Martella”,  
c/o Hotel d’Amato,  
Località Arenazzo, 71010 Peschici (FG)
centrostudimartella@hotmail.com
cell. 380-2577054