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Vico/ Maratea: “vivere di politica” è diverso che “vivere per la politica”

Riceviamo e pubblichiamo

 

 Caro Direttore,

mi insegue da un po’ di tempo la famosa osservazione di Demarato, ricordata da Erodoto: “Sebbene libero, non sono completamente libero, perché ho un padrone: la legge”. E, dunque, per non ingolfare le aule dei Tribunali (come attore o come convenuto) non farò nomi, anche perché, nel caso di specie, mi soccorre il ricordo di Erostrato, un cittadino greco del quarto secolo avanti Cristo che, al solo scopo di farsi pubblicità e far passare il suo nome alla Storia, incendiò il Tempio di Diana a Efeso. Ma la notizia passò sotto assoluto silenzio, e l’incendiario, dopo qualche giorno di inutile attesa di tenere la ribalta, deluso, pensò bene di suicidarsi.
    La democrazia è anche una “pazzia ammessa”, e in tempi calamitosi come il nostro è persino concesso a chi sostiene che “colui che all’inizio stabilì la legge era un uomo come me e come voi” di rivendicare il diritto di una nuova “legge” che autorizzi i figli a picchiare i padri.
    Che specie di educazione, dunque, rende l’uomo più idoneo a partecipare alla vita pubblica? Le risposte non possono che essere numerose. Se ci rivolgessimo agli antichi maestri per sapere che cos’è che distingue l’uomo dalle bestie, ci sentiremmo rispondere che è proprio la nozione di “rettitudine”. I nuovi maestri, invece, danno risposte diverse. Qui basta solo notare l’”attualità” della questione, aggiungendo, di passata, che “vivere di politica” è diverso che “vivere per la politica”, e che “retto” è colui il quale, potendosi arricchire, non lo fa.
     “Fare il male è più vergognoso che subirlo”. L’antico paradosso parrebbe ancora valido. Chiunque, è vero, può mettere insieme una serie di duplici argomenti su qualsiasi cosa. Uno dei grandi mali della vita politica è, però, il declinare della moderazione, il generale capovolgimento dei valori e la loro negazione, per cui gli sciocchi agiscono senza riflettere e i saggi riflettono senza agire. Grave è, infatti,  l’abitudine calunniosa di snaturare i fatti con notizie prive di verifica e di attendibilità.
    Se l’uso “accurato” della lingua è un elemento importante del pensiero politico, il suo “abile” impiego è un aiuto indispensabile per chi ha “vaghezza” di praticarlo.
    Un aiuto salutare può venire da un comune vocabolario, a proposito del verbo “cacciare”. In un’accezione non proprio marginale, “cacciare” significa inseguire, ricercare incessantemente, incalzare qualcuno con impegno e tenacia, per catturarlo… E’ proprio questo, il caso che mi ha visto per qualche tempo preda di cacciatori maldestri.
    

Un saluto.     
Giuseppe Maratea