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Vieste/ L’inchiesta SCACCO AL RE:”Gli sparai ma non è morto s’è bloccata l’arma se no…” (2)

«Prima comandava Marco, gli ho sparato. Mo’ voglio comandare io. Non è morto e siamo rivali, quello da una parte e io sto da un’altra. Quello dà fastidio a chi sta vicino a me, e io do fastidio a chi sta vicino a lui». Così parlava Giovanni Iannoli a luglio 2018 confessando a un conoscente – a dire dell’accusa – d’aver partecipato al tentato omicidio del capo clan rivale Marco Raduano avvenuto a Vieste la sera del 21 marzo precedente. Sono le intercettazioni la prova principale in mano a Dda, carabinieri e squadra mobile per sostenere che furono i cugini Giovanni e Claudio Iannoli arrestati per tentato omicidio nell’operazione «Scacco al re» a cercare di uccidere Raduano: con loro avrebbe agito Gianmarco Pecorelli assassinato il 19 giugno 2018; e l’agguato sarebbe stato ordinato dal rivale di Raduano, Girolamo Perna ritenuto al vertice del clan contrapposto, a sua volta ammazzato lo scorso 26 aprile. L’accusa ipotizza che i cugini Iannoli abbiano cercato di uccidere Raduano in quanto temevano a loro volta d’essere eliminato. «Gli ho sparato» direbbe Giovanni Iannoli in un’intercettazione perché quello mi ha detto che dovevo andare a lavorare, che io non dovevo fare più niente. Cioè lui mi aveva dettato le regole a me e di che non dovevo fare. Poi mi ha visto che mi sono avvicinato a Claudio e hanno detto: “chissà quei due che stanno organizzando, mo’ li dobbiamo uccidere”. E allora prima che ci uccidevano loro a noi ci abbiamo provato noi e non ci siano riusciti. Ecco qual è il discorso, te l’ho già detto sette volte e non lo vuoi capire». Raduano raggiunto a spalle, gluteo e mano dai colpi esplosi da un mitra e due fucili esplosi da tre killer appostati sotto casa della vittima, se la cavò perché un’arma si sarebbe inceppata. Come emergerebbe da un’ulteriore intercettazione di Giovanni Iannoli che confidandosi con una persona, a luglio avrebbe confidato: «Così stanno i fatti. Sono andato alla casa» (a casa di Raduano per l’accusa) «e gli ho sparato e non l’ho preso. Si è bloccato il fucile, se no l’avrei ucciso, capito? Perché a prenderlo lo abbiamo preso, no al centro l’abbiamo preso di striscio. Se n’è scappato, ecco il morale della favola qual è. Secondo te perché è morto Gianmarco?» (con riferimento all’omicidio Pecorelli del 19 giugno 2018) «Perché lui sa che sta da quell’altra parte, hai capito? Quello lui è una bandiera, noi siamo un’altra bandiera, siamo due bandiere diverse». In un’altra intercettazione di luglio 2018, Giovanni Iannoli si sarebbe rammaricato del fatto che la vittima scampò («là se andava bene mo’ era tutta un’altra cosa») ed anche della mancata presenza di un killer esperto al suo fianco al momento dell’agguato a Raduano: «se viene una persona pratica, se viene un cristiano pratico, è diverso. Là non è che ci voleva un professionista, però ci voleva sempre Un cristiano pratico perché il fatto è quello che è: la distanza era da qua a là, era facile. Io sono arrivato vicino, da qua a là, che quello ormai dove ca… doveva andare. Quando siamo arrivati fine, non sono andato più avanti, che dovevo andare a fare? Quello che tenevo non funzionava più. Poi quando me ne sono andato, cioè che non ci sono riuscito, piglia ed ha funzionato. No, non si era inceppata perché ho spa¬rato due botte, e già non si capiva più niente, che quello già se n’era andato. Quando me ne sono andato che ho provato, è andato un’altra volta», e cioè l’arma ad agguato concluso e fallito aveva ripreso a funzionare. Eppure Iannoli l’aveva provata il giorno prima l’arma «e tutto era a posto», il che ha fatto scattare anche 1’aggravante della premeditazione. gazzettacapitanata