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30 Gennaio/ SOLITUDINE

La solitudine, l’ho conosciuta tra i4ei 12 anni. Unico tra otto fratelli e so­relle, andavo a scuola percorrendo un’antica strada romana. Un’ora di soli­tudine per andare a scuola, due ore di solitudine a mezzogiorno per consu­mare il pane e cioccolato nell’aula disertata dai miei compagni, un’ora la sera per tornare a casa. Questa solitudine fu benefica.

AIMÉ DUVAL

Nel volume autobiografico II bambino che giocava con la luna, padre Aimé Duval, noto cantautore spirituale francese, racconta così la sua infanzia e adolescenza, avvolta nell’alone della solitudine e commen­ta: «Ho avuto in tal modo il tempo di darmi certezze a mia misura. Queste certezze hanno avuto a loro volta il tempo di depositarsi lenta­mente durante la mia vita».

Esiste, dunque, una benedizione della so­litudine: non per nulla l’esperienza mistica suppone il silenzio interio­re e spesso esteriore (l’aggettivo «mistico» deriva dal greco myein, «tacere», così come la parola «mistero»). Il rumore assordante delle di­scoteche, il muoversi in branco, il chiacchiericcio vacuo e fatuo sono i segnali di una dispersione dell’intimità e della stessa identità.

«Bisogna essere soli per non essere mai soli» diceva paradossal­mente un autore spirituale, consapevole che la sua solitudine era po­polata da Dio e dal mondo che lo circondava. Tuttavia c’è una solitu­dine che può essere maledizione, come dice il biblico Qohèlet: «Guai a chi è solo! Se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (4,10).

Si tratta dell’isolamento che è vuoto e abbandono. In esso sboccia la mala pianta della disperazione, dell’incomunicabilità, dell’autismo spirituale. Ed è, allora, vero quello che scriveva nell’opera Fuoco pallido il romanzie­re russo-americano Vladimir Nabokov (1899-1977): «La solitudine è il campo da gioco di Satana». Chi è senza legami e senza amore diventa schiavo dell’infelicità, dell’odio, della desolazione. A noi tocca, allora, l’impegno di aiutare costoro ad abbattere il muro del loro isolamento.

Gianfranco Ravasi