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12 Febbraio/ IL BICCHIERE PIENO

Gli esseri felici sono pacati e tranquilli. Portano dentro di sé il loro cuore come se fosse un bicchiere pieno che il minimo movimento può far trabocca­re o rompere.  

Jules-Amédée Barbey D’aurevilly

Ho tra le mani la prima edizione francese (1874) del romanzo Le diaboliche dello scrittore Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly (1808-89), un testo che probabilmente non leggerò mai: mi bastano poche pagi­ne per trovarlo enfatico, steso secondo i canoni di uno stile opulento e ridondante, dalle atmosfere un po’ sulfuree e lampeggianti. Incon­tro, però, una frase che ben s’adatta a essere proposta per una rifles­sione.

Essa ha per tema la vera felicità che, contrariamente all’opi­nione corrente, non nasce dalla frenesia di godere e di moltiplicare le esperienze, bensì dalla pacatezza, dalla pace, dalla calma. L’equivo­co secondo il quale la quiete sia indizio di morte e l’autentica vitalità sia invece l’animazione, lo scompiglio, il movimento, il rumore ci ha resi tutti stressati e insoddisfatti.

L’immagine usata dallo scrittore francese è suggestiva: quando si deve procedere con un bicchiere colmo fino all’orlo, bisogna avanzare adagio, così da non rovesciarlo o farlo cadere in frantumi. Purtroppo sono tante le cose, soprattutto nei nostri tempi, che militano contro questa pacatezza e tranquillità interiore. È divertente quello che si nar­ra del pittore pavese Tranquillo Cremona (1837-78) che pure apparte­neva alla scapigliatura milanese.

Si dice, infatti, che sulla sua porta di casa avesse appeso questo cartello: «Tranquillo Cremona prega di la­sciare Cremona tranquillo!». Ci sono persone, infatti, che – avendo po­co da fare nella vita – si assumono la missione di far perdere tempo o infastidire il prossimo. Certo, non bisogna essere misantropi o musoni, simili a orsi scontrosi; ma la quiete, la solitudine, la tranquillità dovreb­bero più spesso alonare qualche ora della nostra giornata.

Gianfranco Ravasi