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Regionali, incognita sul voto. A Roma si lavora per giugno. In Puglia i partiti sono spaccati. Emiliano non si schiera. Zaia e Toti premono per andare al voto entro l’estate. Il tema fa discutere politologi e costituzionalisti

Per ora non c’è alcun atto formale che indichi una data per le elezioni regionali. Ma il silenzio delle norme non significa che le forze politiche, il governo e i presidenti delle Regioni interessate non ne stiano parlando. Si va facendo strada – sotto la pressione di Veneto e Liguria – di un voto tra fine giugno e inizio luglio. Un orientamento condito con molte perplessità e il dichiarato agnosticismo di Michele Emiliano. Il presidente pugliese ha detto agli altri colleghi interessati di non volersene occupare avendo altro cui pensare (la pandemia) e di rimettersi alle loro decisioni.

Eppure tra i presidenti che premono c’è il veneto Luca Zaia che, in verità, di problemi ne avrebbe anche più della Puglia. Solo che, ha fatto capire Zaia in un recente colloquio a più voci, non è opportuno che le complesse decisioni sul futuro prossimo siano assunte da Regioni i cui presidenti siano scaduti e non sorretti da una legittimazione popolare.

Il tema è assai discusso tra costituzionalisti e politologi: da un lato si sostiene che l’emergenza può ben giustificare un rinvio (anche lungo) della date delle urne; dall’altro si obietta che a maggior ragione in un momento di emergenza, con le Assemblee legislative confinate in un angolo, occorrerebbe che i governatori fossero sorretti da un fresco mandato. Se si deve fare, ragiona il ligure Giovanni Toti, si faccia prima dell’autunno, quando si rischia una nuova ondata epidemica.

Finora il governo ha annunciato una indicazione per il rinvio. Poi però, nell’incertezza, la norma è sempre stata eliminata dai testi definivi. «Il problema del voto – dichiara Erio Congedo (FdI), presidente della commissione regionale Affari istituzionali – esiste ed è reale. Tocca ai governatori indire le elezioni, ma poi è sempre una norma nazionale ad armonizzare i tempi.

Siamo in attesa di questa disposizione. Se non arrivasse ci porremo il problema nella commissione che presiedo e che è competente sulla materia». Dal Pd arriva una frenata. Il capogruppo Paolo Campo è cauto: «Votare in estate? Non direi di no se ci fossero le condizioni per farlo. Ma non so se sia così. Vale, si badi, soprattutto per le opposizioni. Occorre fare campagna elettorale, spiegare, parlare, convincere. Tutto sul web? Non mi sembra una buona scelta». Per non parlare delle difficoltà a presentare le liste 45 giorni prima del voto, cioè entro fine maggio (se si votasse a metà luglio). «Non capisco – dichiara il segretario del Pd, Marco Lacarra – come si possa pensare ad altro se non a gestire l’emergenza. Si ragiona come se non ci fossero dei governatori in carica e invece ci sono. Invocare le urne mi sa tanto di irresponsabilità.

La Costituzione ammette il rinvio del voto per il Parlamento solo in caso di guerra? Ma quella che viviamo è assimilabile ad una situazione estrema come una guerra. E poi chi andrebbe a votare? Sarebbero elezioni farlocche». «Non abbiamo assunto alcuna posizione ufficiale – afferma il coordinatore di FI, Mauro D’Attis – perché tutto dipende da come il Mezzogiorno regge nelle prossime settimane. Capitasse al Sud solo una minima parte di quello che patisce la Lombardia, non ci potrebbe essere nessuna campagna elettorale. E in ogni caso, per votare in estate si dovrebbe presentare le liste entro maggio: mi sembrerebbe difficile». «Noi siamo pronti – segnala il capogruppo di FdI, Ignazio Zullo – ma su questo tema sarebbe giusto ascoltare prima di tutto la voce di Emiliano».

In astratto ai presidenti uscenti converrebbe votare subito per godere del consenso che arride a chi gestisce una emergenza. Ma, come detto, Emiliano non vuole apparire come colui che azzarda un calcolo. Viceversa osservatori smaliziati vedono nella mossa di Zaia, che pure non avrebbe alcun problema a farsi rieleggere presto o tardi che sia, il tentativo di fare provvista di voti popolari per giocarli in una contesa interna alla Lega. Per ora Salvini è in sella, però non si sa mai.

Francesco Strippoli
corrieremezzogiorno