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29 Giugno/ LA CITTÀ ETERNA

Ben a ragione Roma viene chiamata eterna, perché eterno è indubbiamente l’effetto che produce sulla coscienza. Si ama persino la sua corruzione più dell’integrità di altri luoghi.

HENRY JAMES

La solennità degli apostoli Pietro e Paolo, che cade in questa gior­nata, ci riporta davanti agli occhi la città di Roma. Conservo di que­sta città un ricordo pieno di nostalgia e non solo per ragioni religio­se, essendo la sede di Pietro: là, infatti, ho vissuto più di sette anni, durante la mia giovinezza e la mia formazione teologica. Attorno a questo caput mundi si sono intessuti grandi elogi ma anche tanti luo­ghi comuni. Ne è specchio il famoso scrittore americano Henry Ja­mes (1843-1916) che, contagiato dal «virus europeo», come egli con­fessava, giunse a Roma e ne parlò ampiamente nei suoi Schizzi transatlantici (1875) da cui abbiamo estratto la nostra citazione.

Da un lato, c’è quel senso di eternità testimoniato sia dallo splen­dore dei suoi monumenti sia dalla successione petrina che ha nel Pa­pa la sua presenza costante e viva e che rende questa metropoli qua­si «trascendente», nonostante la sua pesantezza e la sua carnalità. Ma ecco, d’altro lato, l’idea di corruzione e di inerzia, connessa an­che alle funzioni di capitale burocratica e politica.

Idea spesso esa­sperata fino a diventare un cliché, un pregiudizio, anche perché cor­ruzione e inefficienza abitano in tutte le città. Roma è, così, un simbolo efficace della nostra storia e della realtà umana, fatta di grandezza e di debolezza e quindi dotata di gloria e di luce ma an­che bisognosa di conversione. È comunque suggestivo che san Paolo dichiarasse con orgoglio di essere cittadino romano (Atti 22,27).

Gianfranco Ravasi