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VIESTE, VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013 – L’ESTATE DEL 1943 –

L’estate, da noi, è chiamata la bella stagione. Spesso, soltanto la stagione. L’estate del 1943, a Vieste, è il ritratto della bella stagione. In Europa e in altre aree del pianeta divampa la guerra. Però qui se ne avvertono solo, e in parte, i disagi. Il caldo si fa sentire come Dio lo manda, dato che nell’arredo domestico non esistono ancora i climatizzatori. Ma la gente non si lamenta, anzi è contenta: Il mare, che lambisce gran parte della nostra città, richiama sulle sue rive, come negli anni passati, i bagnanti di casa. Così, le persone senza impegni di lavoro, più di tutti i giovani e le ragazze con meno di vent’anni, adesso vanno al mare. Secondo i gusti e le compagnie si distribuiscono sui lidi dentro l’abitato e quelli appena fuori: la spiaggia della pescheria, quelle del Castello e di S. Lorenzo, le sponde rocciose di S. Francesco e di Sotto la Ripa. Ci vanno non per prendere la tintarella, che comunque prendono, ma per nuotare, sdraiarsi sulla sabbia, giocare, tuffarsi fra le onde, saltare dagli scogli e, Sotto la Ripa, saltare anche dalle antenne del trabucco quando non pesca. La campagna è prodiga di frutti: fichi, fichi d’India, gelsi, meloni, angurie, uva, le piccole mele gialle, bruttine ma tanto profumate, che chiamiamo muledd, tutti reperibili direttamente dal produttore al consumatore. Dato il buon numero di battelli da pesca qui esistenti, anche il pesce non manca, pur se qualche giorno si fa la fila alla pescheria. In mezzo alle strade, è facile vedere intorno a qualche torsolo di mela nugoli di mosche che, se gli passi vicino, si alzano in volo.

Nelle sere di luna, il ritrovo dei giovani, come negli anni del tempo di pace, è alla Banchina, il nostro lungomare di fronte al faro, il cui nome ufficiale è Via Cristoforo Colombo. Molti passeggiano, altri conversano seduti sul muretto che delimita la strada verso il mare e, di fronte, sul bordo della cunetta, che d’estate è asciutta. Non circolano macchine private che disturbino le compagnie. In quegli incontri della sera, talora fiorisce o si consolida un approccio sentimentale. Sul finire della strada, dove comincia l’area portuale, trova luogo, protetto dall’oscurità, l’incontro furtivo di coppiette più audaci. Ma gli innamorati sanno trovare anche altri angoli appartati.

Nei campi, nelle botteghe artigiane, nelle attività industriali il lavoro si svolge regolarmente, sebbene manchino i giovani. Le donne, e gli uomini di età superiore ai quarant’anni rimasti a casa per l’età, lavorando adesso più di prima, rimediano all’assenza di quelli che sono andati alla guerra.

Fin qui tutto è come prima, come in tempo di pace. Ma, guardando ad altre cose, i cambiamenti ci sono, e come! A cominciare dall’oscurità totale quando scende la sera. Le luci pubbliche, infatti, sono spente, perché vige l’oscuramento, che avvolge tutte le città, grandi e piccole. Col farsi del buio, nelle case e nei negozi, è obbligatorio appendere dietro i vetri delle finestre e delle vetrine un panno o un cartone, affinché la luce non si veda all’esterno. Si pensa così di impedire ad eventuali aerei nemici incursori di individuare e colpire i nostri centri abitati. Quando non c’è la luna, nelle strade si circola con la lampadina tascabile azzurrata e rivolta verso il basso. Talora con qualche difficoltà. Specie nelle vie strette e contorte di Vieste vecchia, con il fondo di acciottolato, qua e là dissestato.

Nella vita civile c’è dell’altro che non è come prima della guerra. La più significativa novità è il razionamento dei generi alimentari di maggiore consumo: pane, farina, pasta, olio, burro, zucchero perfino il sapone. Di fatto sono assegnati a ciascun cittadino, mediante una tessera, un tot grammi giornaliero di derrate, in quantità ridotta rispetto a quella consumata mediamente dagli italiani in tempo di pace, da ritirare nei negozi autorizzati: giornalmente il pane, mensilmente altre derrate come l’olio e lo zucchero. D’estate, le calzature più usate fino al tramonto del sole sono gli zoccoli di legno, che non si comprano nei negozi di scarpe, ma presso le segherie locali. Ci sono anche novità che non pesano sulla vita quotidiana, comunque connesse con la guerra. Ad esempio, sono chiuse le sale da ballo e proibiti le feste pubbliche. La ragione sta nel proclamato dovere di conformare il comportamento dei civili all’austerità del momento, al rispetto dovuto ai fratelli che combattono in terre lontane, per mare e nei cieli, in Africa, nella penisola balcanica, in Grecia, in Russia, e da poco anche in Sicilia.

Nelle ricorrenze dei santi patroni e delle altre feste della tradizione viestana, si svolgono soltanto le funzioni religiose e la processione.

Da quando l’Italia è in guerra, la mattina del 30 aprile, giorno in cui iniziano i riti in onore della nostra Patrona santa Maria di Merino, nella chiesa cattedrale avviene una scena molto toccante, destinata a rimanere nel ricordo di chi è stato presente. Quando la statua della Madonna viene prelevata dalla sua nicchia e, issata sulle spalle dei portatori, alta sulla folla dei devoti, attraversa la navata centrale per giungere all’altare maggiore, da molte delle donne presenti si levano grida imploranti: ”Madonna, grazia! Madonna, grazia!”. Invocano la grazia di far tornare a casa sani e salvi i figli, i mariti, i fratelli in divisa militare, che i familiari non sanno neppure dove si trovano. E’ un momento di fortissima commozione, che coinvolge tutti, che lascia sgomenti. Nei giorni della festa, 7, 8, 9 e 10 maggio, sono cancellati tutti gli ingredienti profani della festa stessa, quelli che in tempo di pace ne costituivano la straordinaria scenografia: luminarie sul Corso Fazzini, giostre, fuochi d’artificio, bancarelle, la banda o le bande musicali in giro per le strade e il pomeriggio e la sera in concerto in Piazza del Fosso.

La musica ora si può ascoltarla solo alla radio. Le canzoni sono eseguite dalle popolari orchestre di Pippo Barzizza e del maestro Angelini ed appartengono a due filoni. Uno è quello degli italici motivi melodico-sentimentali, quali Tornerai, Un’ora sola ti vorrei, Ma l’amore no, romantica motivo del film “Stasera niente di nuovo”, Pippo non lo sa, Stella d’argento, e…via cantando. L’altro è quello delle canzoni cosiddette “del tempo di guerra”, le nostre Vincere, Giarabub, Caro papà…. Però queste, eccessivamente retoriche, sono canticchiate poco o niente dalla gente, diversamente dalla tedesca Lilì Marlene, intessuta di immaginaripensieri rivolti da un soldato in marcia verso il fronte alla sua ragazza. Lilì Marlene, melodiosa e struggente di nostalgia, riscuote un successo strepitoso, tanto grande che straripa dai patri confini e viene cantata anche dai soldati degli eserciti avversari (inglesi e francesi), tradotta nelle rispettive lingue.

La Banchina, luogo della passeggiata serale negli Anni Trenta e Quaranta.

Ludovico Ragno

1 – (continua)

IL FARO SETTIMANALE