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VIESTE/ VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013. NOI E I SOLDATI INGLESI E AMERICANI (5)

Gli inglesi poco tempo dopo l’insediamento nel nostro comune riattivano la segheria di Mandrione e gli operai dipendenti da quell’azienda tornano tutti al lavoro. Raggiungono la segheria in bicicletta. Nella foresta Umbra segano piante, alla grande, e a Mandrione le ritagliano nelle forme e per gli usi a cui i pezzi sono destinati; poi con i camion militari trasportano il materiale al capolinea ferroviario di Calenella. Al ritorno, è abbastanza frequente che diano un passaggio a viaggiatori che scesi dal treno non hanno trovato l’autobus per Peschici e Vieste e a viandanti casualmente incontrati lungo la strada. Ma non mancano comportamenti meno comprensivi, come questo che un giorno m’è capitato di vedere. Un soldato forse scocciato d’essere fermato troppo spesso per dare un passaggio, o a cui sia stato proibito concederlo dai superiori, ha messo sul muso del suo camion un cartellino con la scritta “nienti portare”(sic).

In generale, inglesi e americani si comportano bene. I contatti con i cittadini di Vieste sono cordiali, ma brevi e saltuari, perché qui rimangono pochi giorni, non sufficienti per instaurare rapporti con la popolazione civile. Tant’è che non si sente parlare di loro relazioni amorose con ragazze del paese, come avviene in altri centri dove i militari sono di stanza, né poi si saprà di unioni germinate a Vieste e arrivate sull’altare in America.

Militari alleati se ne vedono parecchi in giro, sia di mattina che di pomeriggio. Circolano per i fatti loro, tranquillamente, per lo più in due o tre insieme, entrano nei negozi, si siedono nei bar o caffè senza affollarli, chiacchierano, consumano qualcosa, pagano. A Vieste ci sono quattro caffè o bar, nei quali si consuma poco e si gioca molto, a carte. Uno è quello già menzionato, “Mmizz u Fuss”, il cui proprietario, Matteo Fusco, ne è anche gestore insieme al figlio Tonino. Matteo, da giovane, è stato alcuni anni in America e, a parlare, se la cava bene con quegli avventori venuti d’oltremare. Gli altri tre si trovano al Corso Lorenzo Fazzini, uno dopo l’altro, ed esistono tuttora (2013). Primo quello dei fratelli Ruggieri, Sante e Giovanni – u cafè d’ San Giuan per i viestani, ora Cristalbar -, segue quello di Gabriele Iannizzaro, ora Italbar -, quindi il caffè del poco meno che ventenne Nino Del Piano, ora Caffè Centrale. Ma da consumare c’è ben poco. Dall’inizio della guerra, sono scomparsi dalle vetrine le bevande e i dolciumi classici: caffè, cioccolato, liquori conosciuti, e tutti gli altri prodotti i cui ingredienti s’importavano dall’estero. Al loro posto c’è qualche surrogato. Per esempio c’è il caffè d’orzo (in pratica, orzo abbrustolito), del cioccolato fatto con le carrube (sic), qualche liquore fatto in casa con l’estratto. Ciò che non manca, che c’è ed è originale, sono i derivati dall’uva, in particolare vermut, malvasìa, moscato locale e qualche prodotto da mettere sotto i denti, come i fichi secchi con le mandorle, che nel caffè di Fusco sono bene in vista in un vaso di vetro, sul bancone.

Volendo, è facile attaccar discorso con quei militari, noi col poco d’inglese appreso alla svelta sui libricini di frasi fatte con la relativa pronuncia e poche nozioni di grammatica e loro con il poco d’italiano appreso da quando sono in Italia o ereditato da genitori italo-americani.

Radio Bari, che è la radio nazionale dell’Italia del Sud, trasmette notiziari, messaggi in codice alle organizzazioni partigiane che operano nel centro-nord Italia e musiche americane a getto continuo. Al ritmo di un nuovo ballo, il boogie-woogie, furoreggia fra i giovani un motivo che ti conquista al primo ascolto, In the mood. Sa di gioia di vivere, di cose nuove, di libertà. E’ quasi un inno. Lo ha lanciato l’orchestra di Glenn Miller, ma presto lo suonano pure le più modeste orchestrine nostrane.

Di tanto in tanto, avanti ai caffè sopra nominati capita di vedere dei soldati americani che, al suono di una radio, talvolta di una fisarmonica, si esibiscono nel boogie-woogie. Un pomeriggio avanzato, avanti all’Italbar, mi trovo ad ascoltare un soldato americano che suona la fisarmonica. Due altri soldati ballano il boogie-woogie. Tra la piccola folla che si è formata v’è un gruppetto di quattro-cinque ragazze che si scambiano sorrisi e parole. I ballerini le notano e uno d’essi con il dito indice le invita a ballare. Tra le ragazze c’è qualche esitazione, poi due più coraggiose non resistono alla tentazione e accettano l’invito. Se ballano bene non so dirlo. Ciò che posso dire sicuramente è che piace ai presenti, che si divertono e applaudono. Fors’anche per la novità dello spettacolino di piazza.

In questo periodo nuove canzoni italiane entrano in circolazione, quali “In cerca di te” più nota come Solo me ne vo per la città, e poi Angelina, e That’s amore, canzone questa di grande successo, che non è raro ascoltare ancora oggi. La più popolare è la prima, Solo me ne vo per la città, che a Vieste crea una piccola nota di colore: la canticchia con frequenza un vigile urbano precario, mentre gira a passo lento per le vie della città. La gente che l’incrocia o lo sente stando alla finestra, lo guarda e sorride. Quella canzone gli resterà come soprannome fra i suoi contemporanei.

Se tanti prodotti non si trovano negli esercizi pubblici, tanti altri se ne trovano presso improvvisati piccoli trafficanti di roba proveniente chissà come dai militari americani. Per lo più sono persone senza mestiere che hanno trovato come sbarcare il lunario e godersi finalmente una piccola agiatezza. Vendono sigarette americane, chewing-gum, stecche di cioccolata, scatolette di carne, apparecchi radio, un po’ di tutto. E’ “mercato nero”, come quello degli alimentari che prospera in Italia da quando sono razionati.

Durante l’estate del ’44, alla spiaggia del castello, un po’ distante dalla zona occupata dai bagnanti, più o meno dove ora c’è l’Hotel Pizzomunno, una mattina, sulla fascia che rasenta la battigia del mare, dove la sabbia è umida e compatta, atterra un piccolo aereo americano con a bordo il solo pilota. Porta il pane di giornata, ai soldati che si trovano nei Rest Camp. Alcuni bagnanti si avvicinano curiosi, scambiano qualche battuta col pilota. Qualcuno chiede di assaggiarne un pezzo. E’ pane bianco come non se ne vede da prima della guerra. I due militari non si fanno pregare e offrono delle porzioni. La scena si ripeterà per tanti giorni ancora.

In quella lunga estate, sorvolano spesso Vieste i quadrimotori americani, diretti in Romania (alleata della Germania) a bombardare i pozzi di petroliferi e gli apprestamenti militari tedeschi e romeni. Al ritorno, qualche aereo sembra barcollare, presumibilmente bucato dalla contraerea tedesca, come il quadrimotore che vediamo precipitare in mare, un mattino tardi, a 100/200 metri dallo scoglio del faro.

 Da agosto e per tutto settembre, quasi tutti i giorni altri aerei partono dall’aeroporto di Amendola, diretti sulla Polonia (la destinazione la conosceremo dopo la guerra), dove è in corso una battaglia eroica dei patrioti polacchi, che il 1° agosto sono insorti a Varsavia contro i tedeschi quando le truppe sovietiche erano giunte nelle vicinanze. Portano soccorso con lanci di armi, vettovaglie e medicinali, dato che i sovietici si sono fermati. Per quale ragione si sono fermati? Secondo i sovietici per attendere rinforzi, secondo gli occidentali per scopi politici antiliberali.

 L’epica resistenza di quei valorosi terminerà il 2 ottobre con il loro annientamento.

 Nell’Italia occupata dagli anglo-americani, sebbene dagli Stati Uniti arrivino adesso piroscafi carichi di grano, ancora non si riesce a soddisfare tutto il fabbisogno della popolazione. Vige sempre il razionamento dei generi alimentari, che durerà fin oltre la fine della guerra. A Vieste però non tutti ne soffrono, perché i produttori locali di grano riescono a portare a casa, di nascosto, più di quanto gli spetta. L’eccedenza va naturalmente a beneficio delle loro famiglie e di qualche parente e amico; in parte anche al mercato nero, dove è venduto a prezzo maggiorato. Che non è alla portata di tutte le borse. Per tante famiglie bisognose sussiste un forte disagio, che il 19 marzo del ’44 esploderà in un tumulto.

Poi, a dicembre del ’45, arriva un’imprevista manna… dal mare. A cala della Pergola, vicino Pugnochiuso, s’incaglia un mercantile americano carico di 7300 tonnellate di grano. Era diretto in Alta Italia. I marinai lo abbandonano. Nessuno arriva a vigilare la nave. Da Vieste, chi ha una barca, e così da Mattinata e da Manfredonia, e da Monte Sant’Angelo con i muli, tanti arrivano sul posto a prelevare di quel ben di Dio. Fanno la spola per circa un mese, fino a svuotare il mercantile. Tutta quell’abbondanza farà scendere il costo del grano fuori tessera a prezzi largamente accessibili.

Via via che gli Alleati avanzano verso il Nord Italia, i Rest Camp vengono spostati al loro seguito. Dalla fine del ‘44 in poi, a Vieste, di militari alleati se ne vedranno sempre meno.

5 (continua)

Ludovico Ragno

Il Faro settimanale