Tanto bello quanto fragile: il Gargano, la cui natura è conosciuta e ammirata in tutto il mondo, è un territorio che presenta numerose criticità dal punto di vista idrogeologico. Di dissesto si parla ogni volta che si manifestano eventi climatici considerati estremi, tali da provocare alluvioni, frane e altri disastri. Ma sebbene il dissesto idrogeologico possa generarsi a seguito di fenomeni meteorologici, le azioni che causano un degrado del suolo sono quasi del tutto di origine antropica, legate cioè a varie attività umane, che hanno conseguenze notevolmente gravi, in primis direttamente sulla sicurezza delle persone e in secondo luogo perciò che provoca in termini di danni economici alle comunità. Il rischio idrogeologico in Italia rappresenta una problematica di grande rilievo. Il rischio risulta infatti diffuso in modo capillare lungo il territorio ma naturalmente, a seconda delle aree, il fenomeno varia e può generare diverse conseguenze, come per esempio frane, esondazioni (poiché il dissesto idrogeologico è correlato anche a fenomeni distruttivi propri delle acque di superficie), alluvioni, dissesti di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo conoidi nelle aree montano-collinari, e ancora sprofondamenti. La Puglia ha un consistente rischio idrogeologico e tra le aree a maggiore pericolosità idraulica spicca la provincia di Foggia (4,6%), seguita a ruota da Bat (4,5%), Taranto (4,4%), Bari (1,9%), Brindisi (1,8%) e Lecce (1,3%). Quello che è certificato, stando ai dati del- l’Ispra, è che quasi tutti i Comuni presentano aree a pericolosità da frana e idraulica: ben 58 (sul totale di 61 ) a Foggia, 37 a Bari, 27 a Taranto, 19 a Brindisi 79 a Lecce, 10 nella Bat.
Uno degli eventi più catastrofici degli ultimi tempi, che ha ricordato ai cittadini di Capitanata quanto sia vulnerabile questa terra, risale al settembre del 2014. Peschici e buona parte della costa del Gargano nord vennero inondati di acqua, fango e detriti, scesi a mare dopo alcuni giorni di maltempo. In quella circostanza perse la vita il giovane allevatore di Vico Antonio Facenna,uscito di casa per andare a controllare il bestiame. Quello fu un evento devastante, come è noto, e
altrettanto raro: si stima che abbia una periodicità intorno al secolo. Questo non significa che i garganici possano dormire sonni tranquilli, anche perché i fenomeni cosiddetti estremi si verificano più di frequente pervia dei cambiamenti climatici a cui si assiste negli ultimi tempi e a fare paura potrebbe essere anche un temporale più violento del normale. Il punto è che dal rischio idrogeologico ci si può proteggere, con una attenta programmazione e interventi mirati sulle aree più pericolose. A tal proposito la Regione Puglia ha stanziato ingenti risorse, molte delle quali destinate al Gargano e in particolare a Peschici. Di recente è stata aggiudicata la gara per la progettazione dei lavori di messa in sicurezza contro le inondazioni della Piana di Peschici-Canale Ulse, del valore di 8,6 milioni di euro. E non saranno i soli. Ecco perché gli esperti del territorio hanno deciso di far sentire la propria voce, nella speranza che i soldi vengano utilizzati nel migliore dei modi e possano servire davvero a mitigare il rischio idrogeologico che minaccia il promontorio. A l’Attacco parlano il geologo di Peschici Stefano Biscottie l’ingegnere ambientale di Carpino Leonardo Schiavone.
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IL GEOLOGO – “SI LAVORI CON OCULATEZZA E PROFESSIONALITÀ IN TEMPO DI PACE: NON VORREMMO RIVEDERE I PONTI A RASO SUL LIVELLO DEI CANALI”
Non è un modo per fare allarmismo’’, esordisce a l’Attacco il geologo di Peschici Stefano Biscottima è in tempo di pace che bisogna prepararsi con opere strutturali di ingegneria idraulica ad affrontare eventi severi, i cui tempi di ritorno si accorciano sempre di più.
La questione relativa al dissesto idrogeologico del Gargano sollevata dal geologo è generale ma attiene strettamente al particolare. “I canoni dell’ingegneria idraulica tradizionale vanno riscritti: come così come sono non funzionano più – evidenzia a l’Attacco Biscotti -, Faccio il paragone con l’incendio del 2007. La stessa Peschici è stata vittima del tristemente noto incendio di proporzioni gigantesche che ha fatto scuola. La Protezione Civile nazionale, non solo regionale, si è rifatta a quell’episodio e ha preso le contromisure, preparandosi ad eventi così estremi. Da quel momento in poi è cambiato tutto: la Protezione Civile attuale non ha nulla a che fare con quella antecedente all’incendio. Anche l’alluvione del 2014 dovrebbe fare scuola, cosa che però non sta accadendo. Vedo per esempio relazioni idrauliche, pure fatte da ingegneri quotati, che però affrontano i torrenti del Gargano come se fossero quelli della Pianura Padana. Invece si tratta di corsi d’acqua particolari e andrebbero gestiti per quello che sono. Hanno delle piene repentine che scendono a forte velocità e sono caratterizzate da una notevole erosione. Nell’alluvione del 2014 proprio questa erosione ha portato in mare, e sottostimo, un volume di sedimenti di 100mila metri cubi”. Quei sedimenti rimasero per mesi ad imbrattare il mare, divenuto marrone. Anche la spiaggia venne erosa da quei flussi canalizzati e ci volle tantissimo tempo perché riprendessero il loro assetto originario. Quali sono quindi le criticità dei canali e gli errori che commettono gli ingegneri idraulici? “Li considerano come se fossero attraversati da acqua di rubinetto, pulita – risponde Biscotti – ma ovviamente non è così perché le acque delle piene di questi torrenti sono un miscuglio di acqua, tanto fango, detriti ghiaiosi e di materiale vegetale. Ci sono alberi di una trentina di metri di altezza che finiscono nei canali che fanno sì che i ponti si tappino, fanno l’effetto dei trombi in un sistema cardiovascolare; e quando si tappano si ha l’esondazione. I ponti sono tutti sottodimensionati, anche se con le verifiche attuali, risultano rispondenti ai canoni tradizionali di ingegneria idraulica. Mi spiego meglio: la parte libera sulla carta sarebbe sufficiente per fare transitare l’acqua in un evento di piena ma così non è nella pratica perché oltre all’acqua c’è tutto il volume dei sedimenti erosi e degli alberi trascinati dai canali. Questa distanza tra teoria e pratica dipende dal fatto che a volte non si interfacciano le varie professionalità: l’ingegnere idraulico fa il suo lavoro, fa i calcoli in base al dato dell’acqua che transita in un certo bacino. Ma se si interfacciasse con un geologo o un agronomo o un forestale capirebbe che se anche la sua verifica è perfetta non funzionerà anche per il solo passaggio di un tronco sotto al ponte, costruito a raso sul canale. Dovremmo tornare all’ingegneria dell’antica Roma: i ponti erano molto arcuati proprio per far transitare gli alberi”. Insomma tanta tecnologia per poi perdersi in un bicchiere d’acqua, verrebbe da dire.
“Dopo 20 anni che studio questi canali vorrei far sentire la mia voce – spiega il geologo -, non è possibile vedere una progettazione idraulica moderna che non tenga conto degli errori del passato, ora si stanno investendo e si investiranno tanti soldi pubblici per fare fronte a quello che è accaduto ma non vorremmo vedere di nuovo i ponti a raso con la sezione del canale come sono adesso. Anche perché non occorre la piena che ritorna ogni 100 anni per mettere in difficoltà il territorio: basta anche una pioggia con un tempo di ritorno di 30 anni a causare questi problemi”.
La riflessione non ha a che fare soltanto con il ripensamento dei ponti che, secondo il geologo, andrebbero tutti abbattuti e rifatti. Riguarda anche la creazione delle vasche di laminazione. “Si tratta di terreni agricoli molto ampi, di almeno un ettaro, che devono essere demanializzati, per delle esondazioni programmate. Devono essere ribassate di due, tre metri rispetto al livello originario e devono essere allagate in presenza di una piena; sono degli ottimi ammortizzatori che rallentano l’energia cinetica dell’acqua. Non solo, trattengono i detriti più pesanti che cadono sul fondo e quindi nei canali a valle arriva meno acqua e più pulita. I canali di Peschici per esempio non potranno mai funzionare bene in presenza di eventi importanti di piena se non ci sono queste vasche di laminazione. Al momento sono assenti ma credo siano in programma”. Dovrebbero realizzarsi infatti sia per il canale Calena che per l’Ulse. L’ente appaltante dei lavori relativi al dissesto idrogeologico in Puglia è l’Ufficio del commissario straordinario delegato per l’attuazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, carica oggi ricoperta da Raffaele Sannicandro.
Ma al netto delle pur necessarie opere idrauliche, il vero freno delle alluvioni è il bosco, precisa il geologo. “Se c’è il bosco, se la vegetazione è ben conservata, poco bisogna poi fare a valle; se invece si comincia a tagliare abusivamente o si autorizza un taglio degli alberi eccessivo, gli effetti diventano irreparabili. Preservare il bosco quindi è essenziale. Così come la conoscenza di questi fenomeni da parte dei residenti è importantissima: i cittadini vanno informati sui piani di Protezione Civile, sui rischi del territorio in cui abitano. Le opere d’ingegneria idraulica hanno un ruolo importantissimo ma anche avere coscienza della pericolosità della situazione può salvare vite umane. Quindi è importante l’informazione e la conoscenza del territorio. Il nostro Gargano è bellissimo ma tanto fragile, le alluvioni sono fenomeni naturali e prima o poi avvengono, nella storia li abbiamo conosciuti e abbiamo individuato i luoghi più a rischio. Purtroppo l’uomo ha una memoria corta, le cicatrici di un’alluvione si riparano abbastanza velocemente, più velocemente rispetto a quelle di un incendio. In un anno o due gli effetti vanno a scomparire, quindi ci si dimentica di cosa sia successo. Ed è proprio in tempi di pace che invece bisogna lavorare con oculatezza e professionalità affinché si affronti nel migliore dei modi un evento posteriore”, ha infine auspicato Biscotti.
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L’INGEGNERE AMBIENTALE – “FONDAMENTALE LA PIANIFICAZIONE E LA MANUTENZIONE ORDINARIA DEL TERRITORIO, DA AFFIDARE ANCHE AI RESIDENTI CON I CONTRATTI DI FIUME”
Focalizza la sua attenzione sulla manutenzione e la pianificazione l’ingegnere ambientale Leonardo Schiavone, di Carpino, anche lui professionista attento alle vicende del suo territorio. “Bastano le quattro gocce d’acqua per mettere in crisi i canali – esordisce a l’Attacco -. Questo perché molto spesso manca la manutenzione, non quella straordinaria, che richiede somme cospicue, mi riferisco soprattutto alla manutenzione ordinaria. I canali di fatto vengono abbandonati a loro stessi. Non solo, l’errore che si fa molto spesso è considerare il canale e basta, dimenticando che a monte c’è un bacino idrografico: tutta la porzione di territorio che contribuisce al deflusso delle acque all’interno di quel canale”. Manutenzione ordinaria non significa quindi soltanto pulizia ma in una visione più ampia, manutenzione dell’intero bacino idrografico. “E l’unico modo per ottenerla è la pianificazione onnicomprensiva, non solo della gestione delle acque ma dell’intero territorio; del bosco, della foresta e del bacino, in una valutazione organica di tutto ciò che sta a monte rispetto all’asta fluviale, che non è altro che la parte terminale del deflusso delle acque. Forse si ignora che l’acqua comincia a scorrere già nei 10 metri quadri del terreno intorno al canale e piano piano tende ad avvicinarsi al torrente, come lo riconosciamo visivamente. Il primo deflusso è superficiale, di ruscellamento”. Manutenzione vuol dire innanzitutto limitare l’impermeabilizzazione del suolo. “Se piove su una strada asfaltata c’è maggior deflusso di acqua rispetto ad una pioggia che cade su un
terreno perché il terreno assorbe più acqua. Se la terra è coltivata assorbe più acqua, invece un terreno abbandonato tende a diventare compatto, cioè più impermeabile. Sarebbe quindi auspicabile favorire il ritorno alla coltivazione della terra, come accadeva fino a 30-40 anni fa, quando c’era il contadino che arava in modo da consentire al terreno dì trattenere quanta più acqua possibile, cosa che adesso non c’è quasi più. Di conseguenza scorre più acqua e arriva nei canali con una velocità e una violenza maggiore che riesce a trasportare materiali più grossi come alberi che pesano tonnellate, come abbiamo visto nel 2014”. Nell’ottica della pianificazione quindi non bisogna ragionare solo in previsione di eventi estremi ma soprattutto ordinari. La società barese per la quale lavora Schiavone si occupa di dissesto ma, rileva il professionista, vengono richiesti per lo più progetti per tamponare le emergenze, che non riguardano l’area del bacino idrografico. L’ente pubblico che si occupa di pianificazione e manutenzione è l’Autorità di bacino, anche se l’attività è talmente complessa che non può riguardare un unico ente ma coinvolge tutta una serie di realtà che vanno dalla Regione fino ad arrivare ai Comuni.
“Negli ultimi anni – ha illustrato Schiavone – si stanno cercando di realizzare dei piani che di fatto esistono già da una ventina d’anni, va detto che l’Autorità di bacino della Puglia è una delle più innovative e sta cercando di incentivare una gestione più capillare dei bacini. È difficile infatti che un ente regionale possa calarsi sui singoli piccoli bacini presenti sul territorio. Si sta quindi puntando ai contratti di fiume o di foresta: patti fra diversi stakeholders (anche privati) che rientrano nei territori. Ci dimentichiamo spesso del privato nella pianificazione ma invece è colui che sta veramente sul territorio, parlo del pastore o dell’agricoltore, figure che una volta erano
predominanti e che oggi vanno perdendosi. Ma sono loro che gestiscono la tema, a differenza dei tecnici che invece stanno seduti alla scrivania. Dovremmo cercare di sviluppare meglio questi contratti perché si tratta di una idea molto innovativa, partita come al solito dal nord. Uno dei primi in Italia è stato stipulato per il fiume Lambro in Lombardia. Purtroppo stentano a prendere piede nelle nostre zone, non si tratta di una questione culturale ma credo più organizzativa. Spesso nella pianificazione tendiamo a ragionare solo a tavolino e quindi la partecipazione tra pubblico e privato si riduce ad uno scambio epistolare, difficile poi da attuare. Manca di fatto il processo partecipativo che invece è particolarmente incoraggiato, anche dall’Unione Europea”. Bisognerebbe far capire però in primis agli abitanti del territorio quanto sarebbe importante evitare il danno (che pure in teoria viene – a volte – ristorato ma in tempi lunghissimi e non in modo soddisfacente), secondo il principio del “prevenire è meglio che curare”.
“Una cosa che ancora non sappiamo fare. La pianificazione ben fatta deve partire dal basso, non può essere calata dall’alto per funzionare davvero, perché deve seguire le esigenze e le necessità di chi vive nei territori. In questo modo si coinvolgerebbero tutti gli enti e soprattutto persone che non sono mai state interpellate e che potrebbero finalmente capire che il vincolo imposto non è solo qualcosa che dà fastidio”. Detto questo, va da sé che gli interventi strutturali debbano essere eseguiti perché risolvono problemi reali: quindi ponti, quindi vasche quindi manutenzione del verde, per evitare le piene.
“Le norme tecniche per le costruzioni del 2018, le più recenti, prevedono un franco di sicurezza proprio per gli attraversamenti stradali, i ponti, maggiorato nel caso in cui si preveda il passaggio di tronchi, spesso però questo elemento non viene considerato. La norma non dice di quanto debba essere incrementato l’arco in caso di transito di alberi ed è proprio su questo che bisognerebbe battere maggiormente: bisognerebbe fare degli studi per capire di che dimensioni potrebbero essere gli alberi che passano sotto al ponte e di conseguenza adeguarlo. Mi rendo conto che a parole sembra tutto semplice e che nell’ambito dell’applicazione le cose si complicano, ma questo non dovrebbe allontanare dal vero obiettivo: evitare altri disastri.
Va inoltre fatta un’altra considerazione: in passato gli eventi estremi erano meno frequenti rispetto a oggi, “il che vuol dire che ci troviamo in presenza di cambiamenti climatici che hanno determinato un impatto forte sul territorio, non possiamo chiudere gli occhi su quanto sta accadendo così come non possiamo trascurare il tema dell’uso del suolo. Si tratta dei due grandi filoni che causano l’aumento del deflusso superficiale delle acque. Dovremmo rispolverare qualche buona pratica di 50 anni fa. Anche allora c’erano tanti problemi ma oggi abbiamo tutte le potenzialità per risolverli e guardare al passato ci servirebbe per capire come gestire meglio il nostro territorio”, ha concluso Schiavone.
Cinzia Celeste
l’attacco