A km. 13,300 a nord-est di Monte S. Angelo e alla distanza di km. 10,400 a nord di Mattinata, si eleva, nell’agro di quest’ultimo Comune garganico, solitario, maestoso e superbo, a m. 874 s.l.m., Monte Sacro, , la più alta vetta di tutto il Gargano orientale.
La roccia del monte è calcarea, risalente al cretaceo e all’eocene, con tracce tufacee del miocene e del pliocene; il terreno è ricco di idrati ferrosi, di allumina, di silice e anche di calcare, ma povero di argilla, ed è di colore variabile dal rosso grigiastro a quello oscuro.
Numerosi elci e querce, risparmiati dal vandalico disboscamento dell’ultimo quarantennio del sec. XIX, rendono testimonianza dei folti querceti e dei fitti boschi garganici cantati dal venosino Quinto Orazio Fiacco: Carm. II, ix, 6-8 :-… aut Aquilonibus querceta Gargani laborant et foliis viduantur ormo … ; Epistol. 114,202:- Garganum mugire putes nemud…
E’ tradizione antichissima che il detto monte, fin quasi alla fine del sec. V d.C.. fosse chiamato Monte Dodoneo a causa d’un famoso antichissimo tempio colà eretto in onore di Zeus Dodoneo.
E’ noto che in Grecia, a km. 20 a sud-ovest di Giànnina (Ioànnina), c’è Dodona (Dodòni)), sede di un antico oracolo che risale al secondo millennio a.C. Omero ne fa menzione nel decimo libro dell’Iliade, laddove narra di Achille che prega il dio di Dodona. L’oracolo era sito in un boschetto di querce e i sacerdoti traevano ispirazione per i loro responsi dallo stormire delle foglie e anche dal suono prodotto da uno scudiscio metallico che il vento faceva sbattere contro una bacinella di ottone.
Nel sec, XIII a.C. vi venne introdotto il culto di Zeus ed esso da quel primo santuario epirota si diffuse in tutte le terre soggette all’influenza culturale ellenica. Nel sec. VI d.C. il goto Alarico distrusse quel che era rimasto di quel tempio, già eclissato da Delfi nel periodo classico.
Gli scavi hanno riportato alla luce i resti dell’antichissimo santuario. Dopo l’ingresso nell’area archeologica, sono visibili a destra lo stadio e quindi a sinistra l’immenso teatro, uno dei più grandi della Grecia, fattovi costruire nel sec. III a.C. dal re epirota Pirro, e di cui restano, sebbene abbia molto sofferto per il cedimento del terreno, i poderosi muri di sostegno, alti più di 20 metri, la cavea quasi intatta e parti della scena. Restaurato, esso ospita oggi le classiche rappresentazioni che vi si danno nella serena cornice della valle anticamente sacra. Più avanti sono le fondazioni degli edifici sacri, indicati da targhe marmoree: La cosiddetta casa dell’oracolo, sita tra due piccoli templi; un tempio ellenistico; due templi, antico e nuovo, di Dione; un tempio di Eracle, più volte rifatto e infine trasformato nei ss. V-VI in basilica paleocristiana.
In alto sono visibili i restidella cinta quadrilatera, lunga m. 600, delle mura della città, alte tre metri, risalente al sec. IV a.C.La città epirota sorgeva in mezzo a una grande foresta di querce: erano queste che, secondo la leggenda, rendevano gli oracoli di Zeus col loro mormorio, che i Selli, suoi sacerdoti, interpretavano. Prima che la sua grandissima fama fosse oscurata dall’oracolo di Delfi, si riteneva che esso fosse esso l’oracolo più antico della Grecia, di origine addirittura preindoeuropea.C’è la possibilità di pernottare in un comodo rifugio montano, a m. 630 s.l.m., in modo da poter godere all’alba del superbo spettacolo di quel paesaggio fiabesco.Ben presto il culto di Zeus Dodoneo si estese dalla Thesprotìa alle terre pugliesi e le alture del promontorio garganico divennero sedi di esso.Gli oracoli sacri erano anche qui interpretati da sacerdoti e, come in Grecia, in epoche posteriori, da sacerdotesse: erano desunti dallo stormire di una o più querce sacre (di cui sul Gargano esistevano foreste quali quella di Dodona), o dal gorgogliare d’una fonte sgorgante ai piedi di quegli alberi, o dal tubare e/o volare di colombe sacre,oppure ancora dallo squillo di celmali bronzei mossi dal vento.
La fondazione di una città di Dodona nella Daunia, a somiglianza di quella thesprota, e la erezione d’un tempio a Giove Dodoneo sul Gargano, da considerarsi più antico dei santuari ivi dedicati a Calcante e Podalirio, si rannodano alle prime immigrazioni di popolazioni non italiche sulla costa garganica. Questo tempio sarebbe stato innalzato da Pilunno II, figlio del re illirico Pilunno I e condottiero della migrazione japigia e sposo della jàpige Danae. A lui si attribuisce l’invenzione del centimolo (mulino a trazione animale). Venerato come nume sotto il nome di Stercuzio, o Sterquilinio, per avere scoperto l’utilità del concime animale, i sudditi grati gli eressero un tempio suntuoso nell’area dell’odierno rione di Monte S. Angelo, detto volgarmente Junno. Secondo altri scrittori di mitologia classica, il tempio della Dodona garganica sarebbe stato eretto da un suo discendente, Dauno, re della Daunia (Apulia), figlio di Licaone e fratello di Jàpige e Peucezio, che fu aiutato in guerra da Diomede, reduce da Troia e “victor Gargani”, cui in ricompensa diede in moglie la figlia Euippe. Il culto alla divinità dodonea si mantenne vivo anche quando agli antichi abitatori del Gargano si sovrappose con la forza delle armi Roma, perché questa rispettò le credenze religiose e i culti indigeni, mescolandoli a quelli ai suoi dei nazionali. Alcuni vorrebbero identificare il Monte Dodoneo col Monte Drion, che sorgeva, secondo Strabone di Amasea Pontica (63 a.C. – 19 d.C.), sul Gargano (1. VI): sulla cima di Monte Drion era eretto un sacello di Calcante, al quale chi avesse chiesto un oracolo doveva immolare un ariete nero e dormire poi avvolto nella pelle di questo (incubatio). Alla radice del monte, alla distanza di 100 stadi dal Mare Adriatico, era sorto il sacello di Podalirio, dal quale emanava un fiumicello, le cui acque sanavano tutte le malattie del bestiame.
Questa opinione e quella di volere identificare il sacello di Podalirio con la Chiesa della Badia benedettona di Monte Sacro, ubicandola con grave errore nella Coppa li Sacri, tra S. Meandro Garganico e la spiaggia di Torre Maletta, sono del tutto da scartarsi: perché il Monte Drion distava dal mare circa 100 stadi, corrispondenti a km. 18,500, mentre il Monte Dodoneo (oggi Monte Sacro) dista dalle più vicine spiagge di Mattinata e Mattinateli solo km. 9,500 (6,500 in linea d’aria; perché il sacello di Podalirio sorgeva alla radice del monte, mentre invece la Chiesa benedettina fu costruita sulla sommità della montagna.
L’editto di Milano del 313, pur dando inizio a una ripresa della propagazione dellq fede cristiana, non significò affatto la fine del paganesimo, il quale si ritrasse dalle città nelle campagne e nei villaggi (pagi, donde il suo nome). Ancora in prevalenza in Occidente, continuò a sussistere accanto al Cristianesimo anche dopo l’ìeditto del 341 dei figli di Costantino (Cesset superstitio, sacrificiorum aboleatur insania): la successiva legislazione antipagana segnò solo la morte legale, non quella effettiva, del paganesimo. Le masse rurali, rimanevano attaccate alla religione avita. Per estirpare l’idolatria e operare la loro conversione al Cristianesimo occorsero secoli.
Le prescrizioni imperiali circa la demolizione dei templi pagani, anche di quelli abbandonati, vennero nelle campagne eseguite lentamente, sicché molti sfuggirono alla distruzione. S. Benedetto trovò a Monte- cassino un tempio di Apollo circondato da boschetti sacri, dove i contadini dei dintorni portavano le loro offerte e celebravano sacrifici v. Badia di Montecassino, Montecassino. Sunto storico, Sora, Camastro, 1923, pp. 10 s. ].
Badia di Monte Sacro, a Mattinata, sono visibili anche resti di fabbricati più antichi, in cui si ravvisano tracce d’un preesistente tempio pagano.
La denominazione “SS. Trinità” data alla Cella, poi Priorato, infine Abbazia, di Monte Sacro fu deliberatamente scelta in contrapposizione alla dedica del precedette santuario pagano a Zeus – Giove, ritenuto dai Greci e dai Romani il dio supremo del mondo, il dio per eccellenza, realmente adorato dai Dauni su quel sacro monte che da Zeus, venerato principalmente a Dodona, era chiamato Dodoneo.
E’ questa, di Dodona e Mattinata, la migliore testimonianza dell’unità cultuale, usuraie ed etnica tra le antiche genti delle due opposte sponde adriatiche, che nessuna vicenda storica è mai valsa a cancellare, la motivazione fors’anche delle avventure italiche di Alessandro il Molosso e Pirro.
Emilio Benvenuto