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DAGLI APPALTI ALLE WEBCAM AI CIMITERI “FOGGIA E’ ORMAI GOVERNATA DAI CLAN”

La mafia, a Foggia, gestiva i tributi. E il cimitero. Prende gli appalti di ma­nutenzione delle strade, quello dei semafori. E ora ha puntato quello della videosorveglianza, in modo da poter controllare ogni angolo della città in qualsiasi momento. I clan, anche quelli storicamente opposti – i Moretti-Pellegrino-Lanza, i Sinesi-Francavilla e i Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese – hanno stretto un ac­cordo criminale per avere una mi­gliore capacità di influenza della po­litica e del controllo della cosa pubblica. Si spartivano così le case popo­lari e hanno eletto negli anni consi­glieri e assessori. E – a credere alle parole di Leonardo Francatila, pluripregiudicato oggi in carcere e ap­partenente all’omonima famiglia mafiosa, «votano Landella» – nel senso di Franco, sindaco di Foggia, prima in Forza Italia e oggi uomo di Matteo Salvini in Puglia.

Per queste ragioni il comune di Foggia è oggi al centro di accerta­menti da parte del ministro dell’In­terno che, nelle scorse settimane, ha insediato la commissione per va­lutare lo scioglimento per infiltrazio­ni mafiose. Lo ha fatto con un atto di accusa, che Repubblica è riuscita a consultare, che arriva a conclusioni durissime: «Collegamenti ambigui e discutibili di amministratori con soggetti orbitanti se non apparte­nenti a gruppi mafiosi locali». «Atti­vità amministrativa condizionata dalla criminalità organizzata mafio­sa foggiana nei delicatissimi settori dei lavori pubblici, della gestione dei tributi, dei servizi cimiteriali e di videosorveglianza urbana. Una siste­matica violazione degli obblighi di verifica antimafia sulle imprese le­gate da rapporti contrattuali con il Comune, che si è oggettivata in im­prese contigue ad ambienti mafio­si». E ancora: «Gravi omissioni nell’attività di verifica e controllo su settori delicati come l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica». Infine: «Infiltrazioni mafiose nell’attività amministrativa at­traverso la colleganza con impiegati comunali». Nell’atto di accusa – frutto del la­voro di polizia, carabinieri, Finanza e Dia – sono ricostruiti gli ultimi an­ni della criminalità nella città. E i collegamenti dei gruppi criminali con alcuni pezzi della politica. Nessuno di questi amministratori è indagato. Ma a interessare sono i rapporti che hanno con uomini e donne di mala­vita e la capacità di influenza che viene esercitata. Viene ricostruita la storia del sindaco, Franco Landella, che alle Regionali di dieci anni avrebbe avuto l’appoggio della fami­glia Piserchia, pregiudicati in mate­ria di traffico di stupefacenti. E non avrebbe mai nascosto le parentele acquisite con uomini ritenuti vicini a clan locali. C’è la consigliera comu­nale, ex assessora, Erminia Roberto, ex Lega, ora in Fdi. Fu lei a incontra­re un Francavilla nel corso di un con­siglio comunale. In cui l’uomo le chiedeva conto di alcune mancate promesse. «Se noi siamo mafiosi, senza offesa, la mafia è politica. E poi veniamo noi». La consigliera co­munale Liliana Iadarola, anche lei ex Lega oggi in Fdi, è invece la com­pagna del «pregiudicato Fabio Delli Carri». Con lui parla dell’appalto per il sistema di videosorveglianza che il Comune voleva installare. Ed è lui che le chiede di intercedere con il sindaco: «Gli dici, così mi met­ti in difficoltà… E lui quando dà la pa­rola la mantiene». Emblematico è il caso delle interdittive antimafia che il prefetto di Foggia, il superpoliziot­to Raffaele Grassi, ha adottato come strumento principale di aggressio­ne ai capitali illeciti: in questi anni diverse società che avevano appalti per i semafori, i tributi, il cimitero – hanno ricevuto interdittive anti­mafia ma, ciononostante, hanno continuato a lavorare per il Comu­ne. Emblematico è il caso della Ctm, società che farebbe capo al clan Trisciuoglio. La Ctm ha avuto, a settem­bre del 2019, il diniego all’iscrizione per la white list. Ma il Comune non ha chiesto i documenti per sei mesi. D’altronde il pensiero dell’ammini­strazione era chiaro. C’è un assesso­re, Bruno Longo, arrestato per una presunta tangente, e da qualche giorno in libertà, che intercettato di­ceva: «Queste interdittive ci hanno rotto un poco il ca…».

Giuliano Foschini

repubblica