MONTE S. ANGELO/ INTERDITTIVE ANTIMAFIA, I CLAN E LE MIRE SULL’ECONOMIA LEGALE. IL CASO SCIRPOLI 4 ANNI DOPO
In attesa delle prime interdittive antimafia del nuovo prefetto di Foggia, Carmine Esposito, continuano a reggere in giudizio gli atti adottati dai precedenti responsabili dell’Ufficio territoriale del Governo di Corso Garibaldi.
Dopo 4 anni dal ricorso al TAR, il giudice amministrativo di primo grado ha rigettato l’istanza del montanaro Michele Scirpoli, che a Monte Sant’Angelo svolgeva l’attività di commerciante ambulante di prodotti alimentari sul suo furgone.
Nel 2017 l’uomo, oggi 49enne, fu destinatario di una interdittiva antimafia dell’allora prefetta Maria Tirone, mentre il Comune di Monte Sant’Angelo era gestito da una commissione straordinaria a seguito dello scioglimento per infiltrazioni mafiose. Commissari erano Cantadori, Monno e Giangrande (quest’ultimo ora subcommissario presso il Comune di Foggia). Ad aprile 2017 stava per terminare la gestione straordinaria dell’ente, che a giugno tornò al voto dopo due anni. Tirone troncò i rapporti tra Scirpoli e la pubblica amministrazione “in quanto gli elementi oggettivi raccolti nel corso suffragano il quadro indiziario della presenza di possibili situazioni di infiltrazioni mafiose, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’attività a cui accede l’autorizzazione amministrativa richiesta”. Per tale ragione dopo pochi giorni il responsabile comunale del Settore agricoltura e foreste, Francesco Schiavone, revocò all’uomo l’autorizzazione rilasciata dal Servizio Annona ad aprile 2010 “per l’esercizio dell’attività di Commercio su aree pubbliche di tipo B (itinerante)”. Il TAR ha ora dato ragione alla Prefettura, con sentenza che è stata pubblicata lo scorso 3 giugno. Il ricorso era stato presentato da Scirpoli, difeso dall’avvocato manfredoniano Pasquale Aulisa, contro Ministero dell’Interno, Prefettura di Foggia (difesi dall’Avvocatura dello Stato) e Comune di Monte Sant’Angelo (difeso dall’avvocato Matteo Fidanza), chiedendo l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’Informativa antimafia interdittiva del 6 aprile 2017 e di tutti gli atti connessi, a cominciare dalla revoca dell’autorizzazione. Un caso di cui l’Attacco scrisse all’epoca. Adesso si fanno più chiare le motivazioni per cui la Prefettura decise di intervenire nei confronti del commerciante ambulante. L’impresa, che dal 2014 veniva esercitata anche a mezzo di un furgone appositamente attrezzato, costituiva attività lavorativa a conduzione personale. La prefetta Tirone rilevò nel proprio atto che Scirpoli il 20 aprile 2016 era stato arrestato con altre 19 persone per i reati di ricettazione e detenzione illegale di armi. In effetti era stato fermato insieme a nomi noti della criminalità montanara come Bartolomeo Rignanese, ritenuti vicini a Ivan Rosa.(citato nella relazione prefettizia sullo scioglimento, ucciso nel 2014 con modalità mafiose dopo esser stato ritenuto l’autore dell’atto intimidatorio, quello stesso anno, contro il garage del caposettore dell’UTC Giampiero Bisceglia, con una trentina di colpi di kalashnikov sparati). Successivamente, a maggio 2016 Michele Scirpoli fu attinto dalla misura di prevenzione dell’avviso orale emesso dalla Questura di Foggia ma era già sottoposto all’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Tirone spiegò che l’uomo era stato più volte controllato dalle forze di polizia in compagnia di soggetti contigui a gruppi criminali ed esattamente a marzo 2007 con due esponenti di spicco di un clan mafioso di Monte Sant’Angelo, a gennaio 2010 con un soggetto poi assassinato in agguato in stile mafioso e ancora altre volte fino al 2014. Inoltre si disse nell’interdittiva che è “il genero di un noto capo clan di Monte Sant’Angelo ucciso in un agguato, risultando egli stesso soggetto “mappato” nella criminalità organizzata”.
Scirpoli è infatti genero di Matteo Basta (ucciso in agguato di mafia e nipote di Primosa che fu il capo del clan Primosa-Alfieri, avverso ai Libergolis. Sulla base di tali rilievi e considerata la grave situazione dal punto di vista della presenza a Monte S.Angelo di organizzazioni criminali di stampo mafioso e che i precedenti di polizia di Scirpoli attengono alla materia delle armi, direttamente funzionali ad agevolare le azioni delittuose tipiche della criminalità organizzata garganica, la Prefettura riteneva la sussistenza di elementi oggettivi che suffragavano il quadro indiziario della presenza di possibili situazioni di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare l’attività economica svolta dal montanaro. Fatti estremamente datati, contro i quali è stata però inutile la difesa davanti al TAR, che ha provato invano ad affermare la non sufficienza degli elementi raccolti dalla Prefettura di Foggia al fine di legittimare la contestata interdittiva antimafia.
L’udienza si è tenuta lo scorso 5 maggio. Per il TAR “l’impugnato provvedimento prefettizio appare congruamente motivato e pienamente conforme alla normativa attualmente vigente in materia di documentazione antimafia”. Insomma, un atto adottato in modo corretto “in quanto sono stati ritenuti sussistenti concreti elementi da cui risulta che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare attività criminose ed esserne in qualche modo condizionata”. Secondo il prevalente orientamento del Consiglio di Stato, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazioni malavitose, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza, nell’attività imprenditoriale, della criminalità organizzata”. Il TAR Puglia ha infine definito “irrilevante anche la circostanza che Scirpoli sia stato condannato nel 2017 del Tribunale di Foggia per il reato di detenzione abusiva di arma da fuoco, avendo tuttavia il Tribunale escluso a suo carico qualsiasi ipotesi di reato associativo, quantomeno di carattere mafioso ed “… esprimendo anzi con la concessione delle attenuanti generiche, con una condanna mite (1 anno e 4 mesi), la sospensione della sua esecuzione e la revoca dell’obbligo di presentazione alla P.G. (che dunque al momento dell’emissione del provvedimento interdittivo era già venuto meno), una prognosi favorevole circa l’assenza di pericolosità e attitudine delinquenziale”.
Lucia Piemontese
l’attacco