Matteo Russi,decano dei produttori di olio biologico. Immersa tra gli ulivi della piana di Carpino, città dell’olio, e rivolta sul Lago di Varano esiste, da generazioni, questa azienda. L’attività principale è la produzione di olio d’oliva extravergine biologico e al centro dell’uliveto si trova l’Agriturismo Biorussi.
Dal suo osservatorio, come è cambiato questo territorio?
Come tutti i territori, anche questo è cambiato. C’è stata soprattutto un’evoluzione per quanto riguarda i prodotti agricoli. L’olio di Carpino è ormai conosciuto in tutto il mondo, fatto di ogliarola garganica. Noi, nel nostro piccolo, diamo il nostro contributo, e portiamo l’olio in mezza Europa. Ci fa piacere perché è promozione per il territorio, va avanti il nome di Carpino. Sotto questo aspetto c’è un miglioramento. Una maggiore consapevolezza.
Cosa manca ancora?
Il problema è un flusso turistico molto basso. Qui le persone arrivano per venti giorni, massimo un mese all’anno. Sono figli o nipoti che ereditano casa da familiari, che arrivano poi qua per le ferie. La stagione dovrebbe iniziare a maggio, ma non è così.
Come si fa negli altri mesi allora?
Noi avendo la campagna siamo sempre impegnati, perché quando finisci la stagione estiva, inizia quella olivicola. Passiamo dalla produzione alla commercializzazione di prodotti. Seguiamo la stagionalità dei prodotti, anche per la banchettistica dell’agriturismo. L’agricoltura non si tralascia mai. Seguiamo tutte le fasi per esempio che riguardano gli ulivi, dalla potatura all’irrigazione. Ma anche la ricettività ha la sua importanza, per esempio l’attenzione alle nostre camere, che stiamo ampliando.
Chi arriva qui come turista?
Soprattutto amanti della natura, appassionati di turismo lento. Visto che abbiamo il sito web e lavoriamo sui social, ci trovano. Vengono a trovarci e noi proponiamo pacchetti studiati appositamente per queste famiglie.
La presenza dei giovani a Carpino com’è?
C’è un ritorno alle radici, alle origini, perché essendo un paese agricolo, in tanti riscoprono un nuovo modo di fare agricoltura. Ma in un paese così piccolo i giovani devono essere impegnati. Altrimenti vanno via. Assistiamo con piacere da cinque o sei anni a gruppi di ragazzi che da soli organizzano squadre per raccogliere olive.
Si mettono insieme per crescere. Non c’è quindi individualismo?
Mah… Noi meridionali siamo poco propensi a cooperative, consorzi. Andiamo a ruota libera, ognuno pensa e agisce per conto suo. E’ un limite che non ci porterà da nessuna parte, lo dico sempre a tutti i miei amici che l’agricoltura carpinese, se non si organizza bene, finisce.
E abbiamo perso già tutti i treni, siamo in ritardo. Non andremo da nessuna parte, senza un consorzio o delle cooperative. Se oggi l’olio di Carpino ha un nome è perché delle aziende da ventanni lo hanno pubblicizzato, e hanno avuto la fortuna di avere la possibilità economica di investire tanto su questo prodotto. Ora bisognava creare nuove forme di associazionismo.
Perché non lo fate?
Manca la mentalità nostra. Siamo agricoltori che non riescono a fare squadra, a collaborare. Forse per gelosia.
Com’è il carpinese?
Testa dura. Non chiuso, ma aperto e accogliente, eppure per le proprie cose, molto individualista. Ognuno dirà che l’olio suo è migliore, invece di mettersi insieme portare avanti un brand comune, che è l’olio di Carpino. Noi dobbiamo prendere come esempio gli altri consorzi. La fortuna di un territorio è la sua materia prima.
Come la fava?
Secondo me la fava è finita. Perché non è stata gestita bene a livello di immagine. E’ rimasta circoscritta. Commercializzare 50 quintali all’anno di fave non porta ricchezza e nemmeno sviluppo. L’Olio? Si produce mille volte in più della fava. Carpino produce 250-300mila quintali di olive all’anno.
Dove vanno?
Il 60% resta qui, molto a Carpino e venduto come olio. La rimanenza, il 40% venduto come olive, che poi vanno fuori dalla Puglia, in Umbria e Toscana a mischiarsi per fare altri oli. Un peccato, perché il valore aggiunto, che è ricchezza, esce dal territorio. Quando si parla di frodi, non si considera che anche questa è una frode. Perché arrivano le nostre olive nei loro frantoio e diventa olio umbro, toscano, senza che nessuno lo sappia. Non bisogna venderle, ma fare la trasformazione qui. Abbiamo la fortuna di avere un marchio, Olio di Puglia, che ci consentirebbe di fare il salto. Vendere ancora le olive è uno sbaglio, non fa bene al territorio.
Tommi Guerrieri
l’attacco