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REGIONALI/ SI LITIGA SULLA DATA DEL VOTO. C’è CHI SPINGE PER LA PRIMAVERA 2026 DATA LA VICINANZA ALLE SUCCESSIVE POLITICHE

Uno slittamento alla primavera nessuno lo vede dav­vero all’orizzonte. Tanto che alla fine si confrontano spinte opposte per fissare la finestra a ottobre. Non necessariamente con quell’election day pure auspicato dal governo, ma comunque in tempo da un lato per riuscire a chiudere i bilanci, dall’altro per evitare la campagna elettorale sotto l’ombrellone.

In attesa che si sciolgano i nodi delle candidature, la lite tra gli schieramenti, si concentra insomma sulla data delle prossime elezioni regionali, che ogni Re­gione può decidere da sé. La data dell’appuntamento elettorale è un cruccio che attraversa – anche al loro interno – sia la maggioranza sia l’opposizione e che, quest’ultima, punta, nello scenario ideale, a quel 4 a 1 che segnerebbe, nelle speranze, l’inizio della cavalcata verso le politiche del 2027.

Le Marche, il nuovo «Ohio» di questa tornata, potrebbero essere le prime a esprimersi se Fran­cesco Acquaroli, meloniano in cerca del bis, dovesse confermare l’intenzione di chiamare i cit­tadini alle urne il secondo o il terzo weekend di settembre. Mat­teo Ricci, lo sfidante che è so­stenuto da una «coalizione am­pia» che va dall’estrema sinistra ai centristi cattolici e riformisti (19 sigle, tra le quali si fa notare l’assenza di Azione), sta chie­dendo invece che si vada a metà ottobre «come in Toscana». Lì Eugenio Giani, dopo avere stop­pato il tentato blitz di Vincenzo De Luca per il «rinvio», ha già fatto sapere che convocherà le elezioni il 12 o al più tardi il 19 ottobre. Anche lui potrebbe tor­nare in campo ma per il momento si limita a dire che «il bilancio da presidente è positivo», poi sa­ranno «i partiti che in qualche modo, nella loro dialettica in­terna e fra di loro, nella coa­lizione, arrivano a maturare la designazione ufficiale».

Il momento per comporre tutte le scelte, nel centrosinistra, do­vrebbe arrivare «entro la metà di luglio», dicono i bene informati. Per chiudere la rosa bisogna pri­ma chiudere l’accordo con Giu­seppe Conte, e con lo stesso De Luca, per la Campania. Il can­didato nell’ottica della coalizione unitaria dovrebbe andare al Mo­vimento 5 Stelle, che punterebbe sull’ex presidente della Camera Roberto Fico, non proprio il pre­ferito del governatore uscente.

In Puglia invece, salvo sorpre­se, dovrebbe scendere in campo l’ex sindaco di Bari, oggi europarlamentare e recordman di preferenze Antonio Decaro. Men­tre il Veneto a tentare la sorte dovrebbe esserci il già sindaco di Treviso dem Giovanni Manildo.

Proprio il Veneto resta la vera spina nel fianco del centrodestra. La partita è legata a doppio filo al destino di Luca Zaia, che guida ininterrottamente la Regione da 15 anni. Sul suo futuro si rin­corrono ipotesi e retroscena, dal­la corsa come nuovo sindaco di Venezia la prossima primavera alla presidenza di una grande partecipata pubblica. Ma nel tam tam c’è chi guarda a un seggio in Parlamento, visto che i nomi in pole tra quelli che circolano per f raccogliere l’eredità del «doge» sono per lo più parlamentari, tutti eletti in collegi uninominali. Lo è Alberto Stefani, il vice di Matteo Salvini su cui punta la Liga Veneta (che preferirebbe vo­tare a ottobre anziché a novem­bre e che è pronta a correre da sola se la candidatura non do­vesse essere di nuovo leghista), e lo sono pure i senatori di Fdi Luca De Carlo e Raffaele Speranzon. Se la scelta cadesse su imo di loro scatterebbero le ele­zioni suppletive. Ma Giorgia Me­loni, Antonio Tajani e Salvini, quei «leader» che tutti invocano, ancora non si sono seduti al ta­volo per dirimere la questione.

(ansa)