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I vandali del Gargano…

Voluto dalla Regione. Costruito nel Parco nazionale. Firmato da Portoghese. Costato 50 miliardi di lire. Ma da dieci anni il faraonico centro turistico è abbandonato.

Un’opera firmata da un maestro. Con un costo faraonico. In un contesto da sogno. Salvo un uni­co problema: dopo dieci anni di cause legali, adesso è completa­mente abbandonata. Nell'Italia degli eco­mostri c'è un caso da manuale, dimentica­to tra i boschi di uno degli angoli più affa­scinanti del Gargano. Si chiama Baia Cam­pi: un centro direzionale per il turismo, di­segnato da Paolo Portoghesi e nel quale so­no stati gettati oltre 50 miliardi di vecchie lire. Cinquantaquattromila metri cubi di cemento, spuntati nel cuore del Parco na­zionale del Gargano. E non si tratta della speculazione di un palazzinaro senza scru­poli, ma di un complesso voluto e possedu­to dalla Regione Puglia. Tutto abbandonato. Tutto sospettato di enormi violazioni della legge. Eppure di soldi il colosso del Gargano ne ha inghiot­titi a dismisura. Nel '94 sono stati spesi 4 miliardi di lire per comprare gli arredi: il fa­lansterio ospita un albergo da 370 letti con bar, ristorante, sala congressi, piscina olim­pionica, nasca relax, negozi, campi da ten­nis ed altro. Nella struttura c'è poi un cen­tro per la produzione di 15 mila pasti a1 giorno per servire la domanda degli eserci­zi turistici della costa, una lavanderia indu­striale per pulire 60 quintali di tovagliame in un'ora, sala giochi e discoteca; e infine, una scuola di perfezionamento alberghie­ro, nonché uffici e servizi annessi alle tre at­tività. Adesso però è terra di nessuno, ber­saglio ghiotto per sandali e ladri: penetra­re nell'edificio è un gioco da ragazzi. L’epopea del colosso del Gargano nasce nel 1983, quando la Regione Puglia decise di promuovere una richiesta di finanziamen­to per un «progetto di sviluppo integrato del turismo». L'affare consisteva nella co­struzione di due enormi agglomerati, deno­minati «centri pilota», da collocare nel Gargano e nel Salento. Il primo stop venne dal Cipe, ma la giunta dell'epoca, un trico­lore Psi-Dc-Pri, non si arrese. Il miraggio era il solito del Sud: la creazione di «2.500 nuovi posti di lavoro». Per la sede venne in­dicata Baia Campi, un tratto di costa incon­taminato. La Snam, proprietaria del suolo, si impegnava a cedere il terreno alla Regio­ne a titolo gratuito, a patto di gestire per un paio d’anni la struttura. Anche se poi, al­l’Eni vennero versati 1500 milioni. L'area era sottoposto a vincolo idrogeologico dal 1923, paesaggistico e forestale dal 1971, ma la giunta di Bari non si preoccupò del­le norme e nel 1936 si auto-rilasciò il nulla osta paesaggistico, incaricando l'architetto Paolo Portoghesi del progetto. Le ruspe co­minciarono a lavorare due anni dopo. Intanto si era scatenata la battaglia legale per fermare il mostro. Sovrintendenze e magistratura si sono mosse con decisione, Italia nostra non ha risparmiato denunce. Ci sono stati sequestri e annullamenti, condanne e prescrizioni. Il ?0 luglio '94 il pretore di Vieste, Silvana Clemente, riconosceva <<il reato di altera­zione di bellezze naturali>>. Infatti, si legge nel dispositivo della sentenza ala costruzio­ne è stata ritenuta la causa di notevole de­turpamento delle caratteristiche dell'area e del suo equilibrio paesaggistico con la con­danna penale dei componenti della giunta regionale della Puglia e del rappresentante legale della società concessionaria dei lavo­ri e con l'ulteriore condanna dei medesimi al risarcimento del danno ambientale». In soldoni, appena 9 milioni di lire a testa. Epilogo: la corte d'appello di Bari ha di­chiarato la prescrizione della condanna e la Cassazione ha confermato l'estinzione del reato, ribadendo comunque <<irreversibi­le distruzione del paesaggio>>.

E’storia recente la proposta dell'ex presi­dente della provincia di Foggia, Antonio Pellegrino, di farne un casinò. Ma la Regio­ne non si è ancora pronunciata. Italia no­stra insiste nel chiederne la demolizione. Li­bera, l'associazione antimafia, lo conside­ra il segno del trionfo dell'illegalità: «Quell'obbrobrio risulta abbandonato da più di dieci anni: si demolisce o si utilizza prima che se ne impadronisca la mafia locale».