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Novelle del Gargano lontano un secolo fa

La “Povera vita” del promontorio nei racconti di Alfredo Petrucci del 1914

Francesco Giuliani continua meritoriamente a rivisitare e ~ iproporre testi pugliesi che si rivelano non solo interessanti per la storia letteraria del Gargano, ma an­cne alquanto piacevoli alla lettura, quasi che non risentano affatto del peso degli anni che da noí Ili separano. Dopo Il Gargano di Beltramelli, è ora la volta di un testo narrativo di Al­fredo Petrucci, La povera vita. Si tratta di una raccolta di novelle che Petrucci pubblicò nel 1914 per la Giuntini-Rentivoglio di Siena. Alfre­do Petrucci, ben noto incisore e cri­tico d'arte, era originario di San Ni­candro Garganico dove nacque nel 1888. Studiò Lettere e Filosofia a Na­poli per poi lavorare nel campo delle Belle Arti ad Ancona. a Siena, a Bari e infine a Roma, dove concluderà i suoi giorni. Ma il forte legame con la sua terra natale si rivela in ognuna delle sue manifestazioni artistiche, a par­tire dalle bellissime incisioni che il­lustrano alcuni volumi sulla Puglia e sul Gargano, passando dalle poesie nel  valetto del suo paese, Epigrammi della montagna, fino a vari romanzi e racconti.

La povera vita, è appunto una sil­loge di quattordici novelle di chiara ambientazione garganica: infatti, an­che se l'autore non ne cita mai il nome, lo scenario che emerge dai rac­conti è sicuramente il suo paese na­tale. Più che sulle descrizioni d'am­biente. Petrucci si sofferma sull'os­servazione di singole situazioni pre­senti in un paese garganico dell'epo­ca. Il Gargano allora era quasi da considerarsi un'isola, per via delle difficoltà di viaggio e perciò di co­municazione. protrattasi fino all'ar­rivo della ferrovia garganica nel 1931. È su quest'ambiente chiuso che Pe­trncci concentrà la sua osservazione, con risultati che ci sorprendono. I personaggi che animano i suoi racconti appartengono a diverse clas­si sociali. Nella coralità del paese, spiccano farmacisti, preti, impiegati, contadini, perfino giornalisti e mu­sicisti, e tante figure di donna. Ab­biamo le zitelle che un fratello vor­rebbe sistemare; quelle che fanno gi­rare la testa a uomini soli come la giovane Alba in «La – nostalgia dell'amore». Male figure di donna più delicate si trovano in «La casa delle vergini». Sette ragazze chiuse in casa invec­chiano in attesa di «un cavaliere che andasse a rapirle come nelle leggen­de». La più giovane di loro ha un amore, e le lettere del suo amato por­tano la trepidazione nei cuori di que­ste «vergini sognanti». La maggiore, trentaseienne, decide di donare alla sorella più fortunata il suo corredo a cui ha lavorato per anni. La novella si chiude con la bella immagine di Ro­salba che, piangendo, scuce il suo no­me ricamato su un corpetto per scri­verci quello della sorella. Le ragazze di oggi, se accadesse loro di leggere la novella, avrebbero certo qualche dif­ficoltà a identificarsi in queste gio­vani donne recluse in un promon­torio-isola, ma sicuramente si fareb­bero una minima idea di come po­tevano vivere le loro trisavole (e forse apprezzerebbero maggiormente la li­bertà di cui possono godere nel tempo in cui vivono). Certo è che cento anni non hanno tolto niente dell'incanto di questi bre­vi racconti di vita di paese, davvero una povera vita, come recita il titolo: una vita fatta di poco, dove una mi­nima situazione venutasi a creare inaspettatamente poteva essere oc­casione per una svolta, e dove la tri­stezza, talvolta la frustrazione, cede­vano il posto al marchio secolare del­la rassegnazione.