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IL FAGELLO SOCIALE DELL’USURA

 Ecco come sconfiggerla

 

 

 

 

 

 

Chi avesse la pazienza di leggere la dettagliata e coraggiosa relazione che Francesco Della Martora (poliedrico pubblicista foggiano dell’800), su richiesta dell’Intendenza, inviò, il 10 giugno 1848, all’allora Ministro dell’Agricoltura e Commercio, Giuseppe Torella, che, sollecitato dal collega dell’Interno, desiderava informazioni sullo sviluppo economico ed industriale della Capitanata, troverebbe che ciò che ci può interessare oggi è stato detto per tempo e con molta precisione.
Mi riferisco all’increscioso fenomeno dell’“usura”.
Il Della Martora, nella sua relazione, premettendo che le industrie pugliesi, per prosperare, hanno bisogno, innanzi tutto, di mezzi; che l’imprenditore deve essere messo in condizione di trovare facilmente danaro e che deve ottenerlo al «giusto prezzo» e non a quello che ad esso concede l’usura, agita – per la prima volta e con toni forti – il devastante fenomeno dell’usura.
In quell’epoca, il ricorso al prestito privato raggiunse tassi di interesse vergognosamente iugulatori (pari al 10% al mese).
A riprova di ciò, oltremodo significativa è l’analisi che, sul problema, fece un attento economista pugliese dell’epoca, il De Cesare: «Queste smodate usure, facendo la ricchezza di taluni che ieri avevano poco o niente, han fatto credere che lo speculare sia più lucroso che seminare; e non pochi proprietari si han venduto il podere per mutare la loro qualità di onesti possidenti e industriosi in quella di sfacciati speculatori o, meglio, di impudenti usurai».
Oggi, non solo in Capitanata, il «flagello» sociale dell’usura è ancora presente ed ha assunto caratteri «raffinati». Si annoverano, infatti, forme «ambigue» di usura, in cui il corrispettivo per il finanziamento è rappresentato da adempimenti diversi da prestazioni pecuniarie. A volte, l’usuraio, approfittando della condizione di difficoltà economica della sua “preda”, assume il ruolo di fornitore e la vittima è vincolata all’acquisto di merce scadente a prezzi elevati oppure al trasferimento di proprietà dei suoi beni in favore dell’usuraio o dei suoi adepti.
Da anni, anche da parte di autorevoli magistrati (tra cui Lucia Navazio, giudice per le indagini preliminari e giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Foggia, esperta in diritto penale commerciale ed autrice di una pregevole monografia sull’usura), si prospetta la necessità di una più attenta valutazione, a livello legislativo, del “costo” del principio «societas delinquere non potest» (la persona giuridica non può delinquere) nell’attuale dimensione del fenomeno societario, tesa ad una opportuna revisione del principio – vigente nel nostro ordinamento – dell’irresponsabilità penale delle «persone giuridiche». Ma la politica nicchia.
Un efficace contrasto all’usura non può, infatti, non passare per la riforma dell’art. 27 della nostra Costituzione, che circoscrive la responsabilità penale alle «persone fisiche», tenendo indenni le «persone giuridiche».
Le motivazioni di teoria generale del diritto sono sostanzialmente queste. La «persona giuridica», vista in rapporto alle «persone fisiche» che la costituiscono organicamente, ha una sua “volontà”, che, come quella del soggetto individuo, può essere indirizzata alla realizzazione di fatti illeciti. Ecco perché il nostro legislatore dovrebbe prevedere delle sanzioni penali anche a carico delle imprese. Un regime di pene complementari e specializzate, da tempo recepito nella legislazione d’oltralpe.
In Francia è, infatti, prevista la responsabilità penale a carico degli enti (banche comprese), con misure ad elevato indice di deterrenza.
Per fare un esempio, mentre in Italia, se un dirigente di banca, nell’esercizio delle sue funzioni, commette fatti di usura, ad essere condannato penalmente è solo quel dirigente, in Francia, invece, per il fatto del dirigente, risponde penalmente anche la banca stessa, cui è possibile irrogare sanzioni severissime, che vanno dalla sua «chiusura provvisoria» fino a quella «definitiva», con nomina di un liquidatore. Lì il «principio della trasparenza» è effettivo. Lì i «controlli» che le banche effettuano al loro interno sono  costanti e penetranti. Lì il «gioco» non vale la «candela». Lì si rischia di «chiudere bottega».
Un primo passo verso questa direzione potrebbe essere l’istituzione, a livello territoriale, di un «Osservatorio permanente antiusura», con funzioni eminentemente preventive. Parallelamente, occorre che la politica italiana affronti il tema di una radicale riforma del «sistema» del credito ufficiale, rendendolo effettivamente più accessibile.
Sarebbe auspicabile che i nostri parlamentari, eletti in Capitanata (terra di Francesco Della Martora), a prescindere dallo schieramento di appartenenza, si facciano congiuntamente portatori di una proposta di legge in tal senso.

Alfonso Masselli