Menu Chiudi

CHE LA GIUSTIZIA NON DIVENTI UN’ILLUSIONE!

Il Consiglio Superiore della Magistratura si attiviIl recente arresto, con l’accusa di concorso in concussione (il più ignobile dei reati di cui possa macchiarsi un magistrato), del giudice del tribunale civile di Bari, Domenico Ancona, è motivo di profonda inquietudine collettiva.
Secondo gli investigatori – riporta un’agenzia Ansa – sarebbe stata richiesta ad un’impresa barese una mazzetta da 15.000 euro perchè fosse dichiarato provvisoriamente esecutivo un decreto ingiuntivo di pagamento verso il quale era stata fatta opposizione.
La notizia inquieta maggiormente se si considera che il giudice Ancona era stato recentemente rinviato a giudizio dal Gip del tribunale di Lecce per un presunto episodio di tentativo di concussione ai danni di un Consorzio che studia l’Uomo di Altamura (lo scheletro calcificato risalente ad un’età collocabile intorno ai 250 mila anni fa). Ciò nonostante, Ancona ha continuato a prestare “servizio” presso il tribunale civile di Bari.
Appena nove mesi fa, sono stati arrestati – per corruzione – altri due magistrati: Vincenzo Maccarone, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, e Lanfrano Balucani, consigliere di Stato.
Se le accuse supereranno il vaglio della magistratura giudicante, il cittadino qualunque non potrà non sentirsi assolutamente impotente davanti a chi, forte del suo ruolo e della sua posizione, stringe patti di ferro con gli “amici” di turno.
Nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita nei confronti dei predetti alti magistrati, è scritto che il sostituto procuratore generale della Cassazione, Maccarone, assicurava ai suoi “amici” il suo «costante contributo» con un’espressione considerata emblematica dal Gip: «…io sono qua». «Nel senso ovviamente – è scritto nell’ordinanza – che per loro c’é e ci sarà sempre» (fonte Ansa).
Quanto alla presunta corruzione, il Gip di Perugia, Claudia Mattini, che ne ha disposto l’arresto, ha ritenuto che sia Maccarone che il consigliere di Stato Balucani «hanno reiteratamente e costantemente fatto mercimonio della loro funzione pubblica, interferendo sulle decisioni che i rispettivi Uffici dovevano assumere», ricevendo «utilità di vario genere e comunque rappresentate, per entrambi i magistrati, dalla possibilità di fruire gratuitamente di battute di caccia, in riserva, e al dono di una giacca da caccia per ciascuno nonché, per quanto riguarda Vincenzo Maccarone, anche da soggiorni gratuiti presso» un noto albergo di Perugia «ed il dono di un fucile da caccia del valore di 2.100 euro» (fonte Adnkronos).
E’ vero, c’è la presunzione di innocenza, ma la tesi accusatoria è davvero preoccupante. La percezione negativa che la gente potrebbe già avere del funzionamento della giustizia italiana non può e non deve essere sottovalutata.
“Una mela marcia rischia di rovinare l’intero cesto”, recita un noto adagio. Se poi le “mele marce” sono più di una, il rischio diventa allarmante.
Ecco perché oggi più di ieri è auspicabile che il Consiglio Superiore della Magistratura si mostri tempestivo ed effettivo nei suoi interventi, non solo di tipo repressivo (aprendo di volta in volta fascicoli disciplinari a carico di certi magistrati) ma anche – e soprattutto – di tipo preventivo, favorendo il nascere di una “questione morale” all’interno della magistratura stessa.
Attendere per muoversi che certi “comportamenti” siano scoperti, significa indurre la collettività ad “appellarsi alla fortuna”.
Per la verità, un «input» in tal senso è stato lanciato, due anni fa, dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, Nicola Marvulli, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2006. Rivolgendosi ai colleghi magistrati, ebbe a dichiarare: «Dobbiamo riconoscere con umiltà che oggi la magistratura, a causa dell’inadeguatezza dell’amministrazione della giustizia, più non gode dell’antico prestigio, quello che era il prestigio della casta: e del resto, in qualsiasi democrazia, il prestigio non è più correlato all’esercizio di una funzione, ma al modo con il quale questa si esercita. La magistratura potrà recuperare ed accrescere ad un tempo il prestigio perduto se tutti insieme, con la nostra attività, sapremo essere fedeli interpreti della legge e garanti della sua osservanza. Dobbiamo, altresì, nell’irrinunciabile difesa della nostra indipendenza, essere consapevoli che questa difesa non può prescindere dall’arricchimento della nostra professionalità: l’ignoranza apre la porta all’errore, ma spalanca anche la finestra alla cieca obbedienza ad ogni possibile sollecitazione verso soluzioni che possono offendere la giustizia e la legalità. Un grande giurista romano, nel 44 a.C., parlando della sua esperienza professionale» chiosò Marvulli «rivelava di essersi più volte “appellato alla fortuna” perché non gli capitasse di difendere dinanzi ad un giudice corrotto, e di avere “invocato addirittura l’aiuto degli dei” perché non gli accadesse di incontrare un giudice ignorante, perché, egli scriveva, “dalla corruzione ci si può difendere, dall’ignoranza mai”».
Parole pesanti, quelle del Presidente Marvulli, ma consapevoli.
Ed allora, il Consiglio Superiore della Magistratura si attivi, se non si vuole che la gente – a distanza di duemila anni – la pensi come quel famoso giurista dell’antica Roma.

Alfonso Masselli