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Una grande sfida

La questione del patrimonio culturale immateriale è al tempo stesso una grande occasione e una grande sfida per il nostro Paese.
Noi a volte abbiamo saputo sfruttare le occasioni, altre volte meno. Spesso piangiamo sul latte versato e mi auguro che questa volta, invece, facciamo sul serio. Certo l’Italia non ha cominciato con il piede giusto e per dimostrarlo voglio fare riferimento soltanto a due fatti significativi.

 

Il contributo obbligatorio all’UNESCO che l’Italia dovrebbe versare nell’ambito della partecipazione alla Convenzione Internazionale relativa al patrimonio Culturale Immateriale è di circa 350mila euro, cioè l’1% del contributo obbligatorio che l’Italia versa all’UNESCO normalmente cui si aggiungono altri 400-500mila euro per i costi di esperti,missioni, il che porta il totale a circa 850mila euro.
Conosciamo tutti le difficoltà economiche del nostro Paese, sta di fatto, però, che nel 2004, il governo italiano nella persona del ministro per le Innovazioni tecnologiche Stanca, ha finanziato un portale che si chiama "Italia.it" inaugurato dall’attuale ministro dei beni culturali Rutelli. Un portale che dovrebbe rappresentare l’Italia nel mondo ed ha avuto un costo di 45milioni di euro. Le regioni italiane, nella conferenza del loro Coordinamento, hanno chiesto l’oscuramento di tale portale per il suo bassissimo livello di contenuti; ad esempio vi si afferma che la Basilica di San Pietro è una chiesa periferica di Roma e, tra i "grandi italiani", si pongono allo stesso livello Gianni Rivera e Dante Alighieri. D’altronde, in un convegno a Milano, oltre 300 operatori dell’informatica hanno fatto rilevare che il costo effettivo di un portale del genere non supera mai 1milione di euro, mentre in questo caso se ne sono spesi 45milioni di euro.
Tra l’altro non è l’unico portale che è stato realizzato per finalità consimili: nello stesso periodo sono stati stanziati 37,3 milioni di euro per un progetto di motore di ricerca che rimanda ad altri siti per versioni digitali di opere di pubblico dominio come libri e musica.
Sarà del tutto casuale, immagino, che a realizzare questi portali sia stata la Ibm, azienda di cui l’ex ministro Stanca è stato top manager prima di diventare ministro. E deve essere del tutto casuale il fatto che la seconda società che ha co-realizzato questi portali si chiami Finsiel, che nel suo consiglio di amministrazione ospita il dott. Paolo Viggevano ex capo della segreteria tecnica e consigliere politico del ministro Stanca.
Ecco cosa intendo quando dico che l’Italia è partita con il piede sbagliato nell’affrontare la sfida della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale. Mi auguro che rapidamente si arrivi a scelte diverse. Intanto, ci troviamo di fronte all’ipotesi di organizzare al Circo Massimo un grande spettacolo paracircense, a cura del Ministero per i Beni Culturali, che dovrebbe servire, in teoria, a valorizzare, appunto, il patrimonio culturale immateriale del nostro Paese. L’iniziativa consisterebbe nel far convergere a Roma sagre paesane, sfilate in costume, sagra dei ceri di Gubbio, e altre cose del genere in uno spettacolo che tra l’altro ha un suo precedente "nobile" in occasione della creazione, nel 1936, da parte di Benito Mussolini del "Carro di Tespi".
In tal senso, purtroppo, in Italia esiste una continuità di approccio discutible con il patrimonio culturale immateriale che ci fa assolutamente distinguere, in negativo, nel panorama internazionale. Se questi sono i primi passi, Dio ci salvi da quelli successivi.
Dico questo non per buttare cenere sul nostro capo, ma perché è ora di cambiare strada.
È ora di fare quello che il direttore Bouchenaki dice: cominciare effettivamente a considerare il patrimonio culturale immateriale per quello che è e non la sommatoria delle sagre strapaesane e dei marchi IGP dei cibi, specie mentre l’Unione Europea, talora, mette in pericolo anche parti del patrimonio culturale enogastronomico, ad esempio approvando l’uso dei trucioli nel vino per il falso invecchiamento e la produzione di bevande chiamate "aranciate" con il 0% di contenuto d’arancia. Credo, infatti, che da un lato ci siano altri terreni (come la politica agricola comunitaria, le politiche agroalimentari europee, ecc.) su cui ci si possano attivare iniziative adeguate, dall’altro sulla questione specifica della politica verso i beni culturali immateriali occorra effettivamente un grosso colpo d’ala che l’Italia è in grado, se vuole, di avere e di produrre.
Cosa intendo per "colpo d’ala"? In questa stessa pubblicazione vengono presentate esperienze che rappresentano elementi capaci di indicare che si può e si deve avere un colpo d’ala, che non siamo dei sognatori, che non siamo degli utopisti a dire che ciò deve e può avvenire.
Ad esempio, l’esperienza della provincia di Trento, che non ha aspettato la convenzione dell’UNESCO per muoversi, è estremamente importante, a mio avviso, sul piano internazionale e non è un caso che la provincia di Trento collabori ormai su tale terreno anche con comunità cinesi; ecco un esempio di esperienze addirittura "esportabili" (con i dovuti adattamenti).
Mi chiedo perché le province di Perugia, di Salerno, di Viterbo, di Ragusa non possano magari ispirarsi a tali esperienze di Trento?
Non dico copiarle, perché così come non si copia la democrazia, e quando si tenta di esportarla si fanno dei danni catastrofici, non si copia nemmeno l’esperienza sui beni culturali, bisogna sempre inventare, poiché ogni luogo ha la sua percezione. Ma non vedo perché altri Enti Locali italiani non possano prendere esempio da esperienze del genere.
Da parte dell’Anci c’è un notevole sforzo su questo terreno, in particolare con la strutturazione di una realtà che si chiama Res Tipica, avente come obiettivo quello favorire l’impegno dei Comuni nella valorizzazione del territorio in quanto tale.
Finora, però, dentro questa iniziativa permane l’esistenza di 22 associazioni intercomunali (che comprendono 1760 comuni italiani) che si occupano della nocciola, della lenticchia, ecc. ossia di prodotti specifici: pregevolissime tematiche non fosse che nel resto d’Europa (per esempio Francia e Spagna) da tempo ci si occupa dell’insieme dei saperi, dell’insieme degli elementi di un territorio più che dei suoi specifici elementi settoriali.
Particolarità, elementi settoriali certo importanti, ma che se restano oggetto prevalente di interesse, azione, promozione possono diventare fattori di suicidio di una strategia complessiva e che, per di più, creano nel permanere delle molteplicità di associazioni ed enti preposti, sovrapposizioni, conflittualità e sprechi legati alla proliferazione delle presidenze, delle segreterie, delle riviste, delle sedi.
Io non credo sia questa la strada giusta, bensì quella che ci suggerisce l’UNESCO, sebbene anche i suoi documenti pregevolissimi spesso vengono dimenticati in qualche cassetto da parte delle Istituzioni che li esaltano nei momenti delle celebrazioni.
La strada giusta mi appare quella di un approccio che sviluppi a tutti i livelli le sinergie. Questo vuol dire, ad esempio, che assieme al comitato scientifico giustamente insediato presso il Ministero dei Beni Culturali dal ministro Rutelli su questi temi, deve nascere un forum della società civile e questi temi devono "farsi oggetto di movimento", diventare terreni di una battaglia culturale nel territorio e non essere affidati solo ad un gruppo di "saggi" che si devono confrontare quotidianamente con dei funzionari i quali, nella migliore delle ipotesi, non hanno un diretto rapporto con i territori che sono invece l’espressione vera del patrimonio culturale immateriale e coi loro abitanti.
Il testo prodotto dalla Provincia di Trento sulla sua collaborazione con la Cina, ad esempio, rivela che il governo cinese ha stabilito una serie di principi in base ai quali i veri proprietari del bene culturale sono gli abitanti dei villaggi, e in caso di contrasto tra gli interessi turistici e tutela del patrimonio culturale deve prevalere quest’ultimo, di cui i suddetti abitanti sono i titolari. Vorrei che in questo campo l’Italia si collocasse almeno al livello della Cina, e, perché no, un passo avanti: ci sono esperienze in Italia che provano che è possibile.
Propongo, pertanto, che si crei un forum dove, accanto ai rappresentanti dell’accademia, dell’università, del mondo della ricerca, ai rappresentati delle istituzioni come l’Anci, l’Unione delle Province Italiane (Upi), la Conferenza delle Regioni Italiane (come tali e non come sommatorie di associazioni settoriali e di singoli amministratori difensori di sagre paesane), siano presenti i rappresentanti dell’associazionismo, della società civile organizzata. Presenze, ad esempio, che riflettano le esperienze di Legambiente, di Slow-Food, quelle di piccole e grandi associazioni nel territorio e dei soggetti che si battono, spesso inascoltati, per la tutela dei saperi tradizionali.
Credo che non solo tali soggetti abbiano il diritto-dovere di esprimersi sulla materia, ma che possano dare un contributo necessario per il colpo d’ala di cui parlavo.
In sintesi, un approccio "a rete" come prima condizione: una rete che sia anche rete di soggetti; come seconda condizione un approccio che non discrimini, che permetta la trasparenza, il controllo, il suggerimento, il dialogo, il confronto, e accolga la denuncia, laddove si fanno prevalere interessi di bottega, di campanile o di corrente sugli interessi di difesa e tutela del patrimonio culturale immateriale italiano.
Ultimo elemento: il rapporto per me imprescindibile tra questione del patrimonio culturale immateriale e questione ambientale; non si tutela il patrimonio culturale immateriale se non in stretto rapporto con la questione ambientale che vuol dire le tematiche della desertificazione, dei mutamenti climatici, della distruzione delle basi agronomiche sia del paesaggio sia delle produzioni agroalimentari (e dunque delle stesse ricette), sia delle pratiche tessili, sia di altri elementi dei saperi e del saper fare.
Ad esempio le ceramiche di Caltagirone sono oggi al 99% prodotte usando il biscotto ceramico che viene da Faenza perché a Caltagirone esso non si produce più, in quanto sono state degradate le cave, che oggi servono solo a produrre le piastrelle per i bagni, magari per i mafiosi. Di conseguenza, se la ceramica di Caltagirone si crea dipingendo su un biscotto ceramico che viene da Faenza, di caratteristiche completamente differenti, essa non é più la vera ceramica di Caltagirone, né i colori sono più gli stessi. Questo è un problema sociale, culturale, ma è anche un problema ambientale, perché i saperi ed i saper fare vengono messi a morte anche dalle ecomafie, dalle devastazioni del territorio, dalle discariche abusive.
Il legame tra questione ambientale e del patrimonio culturale è imprescindibile e se non l’affrontiamo avendo consapevolezza della sua centralità non otteniamo risultati seri.
Quali sono le prospettive in positivo? Esse derivano dal fatto che l’Italia è uno dei Paesi del Mediterraneo più ricchi di patrimonio culturale immateriale e tale da contenere anche il valore dell’interculturalità.
In due modi: primo perché siamo stati, più di altre regioni del mondo, luogo di transito, di flusso, di invasioni, di sinergie di popoli e culture diverse (ad esempio in Sicilia sono passate 16 civilizzazioni differenti, cosa che per esempio in Lituania non è avvenuto) e ciò ha prodotto in Italia una ricchezza stratificata di patrimonio orale, di patrimonio immateriale, molto alta, sempre che si sia in grado di tutelarla e valorizzarla.
In secondo luogo perché abbiamo anche un alto valore interculturale da difendere, da preservare, da promuovere nel momento in cui preserviamo, promuoviamo e difendiamo il patrimonio culturale immateriale: quello dei migranti che sono oggi uno degli elementi oggettivamente sostanziali per il mantenimento del nostro stesso patrimonio culturale immateriale, come in talune produzioni agroalimentari, ceramiche, lapidee, oltre che fattore di continuo stimolo alla riscoperta degli intrecci fra tradizioni. Per questo, bisogna tutelare insieme una rete di valori che è contemporaneamente quella della cultura, dell’ambiente, ma anche la rete dell’interculturalità. Cerchiamo di non perdere questo treno: non ce ne saranno altri.
Silvio Marconi
Antropologo ed esperto di sviluppo integrale